Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1002 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23204/2014 R.G. proposto da:

Edil DN s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, D.N.L., D.N.G. e D.N.N., elettivamente domiciliati in Roma, via di Priscilla n. 35, presso lo studio del Dott. Ranieri de Maria, rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Tricarico e dall’avv. Stefano Bononi giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 820/20/14, depositata il 30 aprile 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 febbraio 2021 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 820/20/14 del 30/04/2014 la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Modena (di seguito CTP) n. 336/01/10, la quale aveva accolto i ricorsi riuniti proposti da Edil DN s.r.l. e dai singoli soci D.N.L., G. e N. (di seguito, anche cumulativamente, Edil DN) avverso un avviso di accertamento notificato alla società (concernente IRES, IRAP e IVA) e tre avvisi di accertamento notificati ai soci (concernenti IRPEF), tutti relativi all’anno d’imposta 2005;

1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento nei confronti della società era stato emesso in ragione della vendita sottocosto di talune unità immobiliari e per una errata valutazione delle rimanenze finali; gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci, invece, riguardavano i redditi derivanti dalla partecipazione alla società;

1.2. la CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate e rigettava l’appello incidentale condizionato di Edil DN evidenziando, per quanto ancora interessa in questa sede, che: a) gli indizi a supporto dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla vendita sottocosto degli immobili erano molteplici e non limitati al semplice confronto con i valori OMI e, unitariamente considerati, lo rendevano senz’altro legittimo; b) in ogni caso il metodo adottato dall’Ufficio era “esente da censura perché in linea con le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93 – comma 6”; c) la sussistenza di una serie di elementi presuntivi dai quali veniva rilevata la sussistenza di un prezzo inferiore a quello reale giustificava la rettifica anche ai fini IVA, nonostante la previsione del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 15, comma 1, conv. con modif. nella L. 22 marzo 1995, n. 85;

2. avverso la sentenza della CTR Edil DN proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi;

3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso Edil DN deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 15, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando l’impossibilità di rettificare, a fini IVA, il corrispettivo di una vendita immobiliare se indicato in misura non inferiore al valore determinato dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 4, (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro – TUR), salvo che il corrispettivo della vendita sia indicato da altro atto o documento in possesso dell’Ufficio e/o rinvenuto aliunde;

2. il motivo è fondato;

2.1. secondo quanto previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 15, comma 1, “Ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto non si procede a rettifica del corrispettivo delle cessioni di fabbricati classificati o classificabili nei gruppi A, B e C, salvo che dà atto o documento il corrispettivo risulti di maggiore ammontare, se lo stesso è indicato nell’atto in misura non inferiore al valore determinato ai sensi del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P:R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 4”;

2.1.1. tale disposizione è stata abrogata dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35 conv. con modif. nella L. 4 agosto 2006, n. 248, con effetto a far data dal 04/07/2006 (cfr. L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 265: cfr. Cass. n. 23379 del 19/09/2019) e non ripristinata dalla L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 4, che, riformulando il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, ha eliminato, ai fini IVA, la stima basata sul valore normale delle transazioni immobiliari (cfr., da ultimo, Cass. n. 6128 del 05/03/2021 e la giurisprudenza dalla stessa richiamata);

2.2. peraltro, la disposizione abrogata (D.L. n. 41 del 1995, art. 15, comma 1più sopra riportato, in vigore fino al 03/07/2006), trova applicazione al caso di specie in quanto l’avviso di accertamento si riferisce all’anno d’imposta 2005 e quindi riguarda atti formatisi antecedentemente alla sua abrogazione (cfr. Cass. n. 4969 del 24/02/2021 e Cass. n. 18260 del 24/06/2021);

2.2.1. trattasi, infatti, di disposizione che, introducendo una limitazione al potere di accertamento dell’Agenzia delle entrate, ha una chiara natura sostanziale e, pertanto, la sua applicabilità ratione temporis non può essere messa in discussione dalla disciplina successivamente introdotta;

2.2.2. invero, detta disposizione ha lo scopo di ridurre la possibilità di rimettere in discussione, in sede di accertamento, il prezzo di cessione dei fabbricati classati nelle categorie A, B e C, laddove lo stesso sia stato contrattualmente determinato in misura uguale o superiore a quanto risultante dalla applicazione dei criteri previsti dall’art. 52, comma 4, TUR;

2.2.3. la ratio legis e’, quindi, quella di evitare che, in sede di compravendita, vengano dichiarati importi simulati irrisori e di favorire la dichiarazione di un importo ritenuto legalmente congruo, con la contropartita, per il contribuente, di evitare l’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria;

2.2.4. si noti che, come chiarito dalla risoluzione del 29 aprile 1996, n. 62/E/III-7-1081 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’art. 15 non prevede alcuna deroga al criterio di determinazione della base imponibile riferito ai trasferimenti di fabbricati, che e’, comunque, costituito, secondo i principi delle direttive comunitarie recepiti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13 dall’ammontare complessivo del corrispettivo effettivamente pagato al cedente secondo le condizioni contrattuali, ma viene riconosciuta rilevanza, ai fini dell’esecuzione del controllo sulla corretta applicazione dell’IVA, al fatto che sia indicato nell’atto di vendita un prezzo inferiore al parametro determinato in base alla rendita catastale;

2.2.5. in tali ipotesi, pertanto, non opera in via automatica la presunzione che sia stata ridotta la base imponibile, in quanto la norma contenuta nel richiamato art. 15 è volta ad individuare situazioni che suggeriscono l’opportunità di eseguire controlli da cui possano emergere elementi concreti che l’Agenzia delle entrate può utilizzare per l’esercizio dei poteri di accertamento;

2.3. secondo quanto disposto dall’art. 15, pertanto, nell’ipotesi di prezzo dichiarato uguale o superiore a quello risultante dall’applicazione dell’art. 52, comma 4, TUR, l’eventuale rettifica è possibile solo quando il diverso prezzo accertato risulti da un documento scritto, come, ad esempio, accade quando il contratto definitivo rechi l’indicazione di un prezzo inferiore a quello indicato nel contratto preliminare di compravendita ovvero anche nell’eventuale contratto di mutuo stipulato dall’acquirente con un ente creditizio;

2.3.1. onde non privare la norma del suo significato pratico, il riferimento ad atti e documenti contenuto nel D.L. n. 41 del 1995, art. 15, comma 1, va applicato restrittivamente, senza lasciare spazio ad interpretazioni estensive o analogiche;

2.3.2. la possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, pertanto, deve ritenersi limitata alle sole ipotesi in cui il prezzo dichiarato a fini fiscali sia inferiore a quello previsto dall’art. 52, comma 4, TUR (come verificatosi nell’ipotesi esaminata, da ultimo, da Cass. n. 23379 del 2019, cit.) e non anche, nell’ipotesi in cui lo stesso sia uguale o superiore (come accade nel caso di specie), laddove la rettifica sarà consentita all’Amministrazione finanziaria solo se “da atto o documento il corrispettivo risulti di maggiore ammontare”;

2.4. la CTR non ha fatto corretta applicazione dei superiori principi di diritto, ritenendo legittimo l’accertamento fiscale del maggior prezzo sulla base di semplici elementi presuntivi anche nell’ipotesi in cui il corrispettivo dichiarato dalle parti sia compatibile (in quanto uguale o superiore) a quello legalmente predeterminato;

2.4.1 invero, la CTR ha ritenuto che legittimamente l’Ufficio abbia tratto la presunzione che sia stato pagato un corrispettivo superiore a quello indicato nei contratti di vendita in ragione dell’insieme dei documenti prodotti (prezzi indicati in alcuni contratti di vendita; importo dei mutui; valutazione degli immobili al metro quadro inferiore a quella degli immobili in costruzione);

2.4.2. in realtà, la CTR avrebbe dovuto verificare, in relazione alle singole vendite, se risultasse, da uno specifico atto o documento (ad es., contratto preliminare, contratto di mutuo), l’indicazione di un prezzo di vendita superiore a quello specificato nel rogito, senza evincere detto prezzo da una serie di elementi presuntivi;

2.5. va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di IVA, in caso di cessione di beni immobili, ai fini della determinazione della base imponibile, il D.L. n. 41 del 1995, art. 15 conv. in L. n. 85 del 1995 (applicabile “ratione temporis”), deve essere interpretato nel senso che qualora il corrispettivo indicato nell’atto di compravendita sia uguale o superiore al valore indicato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, può essere emesso avviso di rettifica unicamente nel caso in cui il prezzo reale risulti da un documento scritto, non essendo ammissibile la prova per presunzioni”;

3. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non essendo l’accertamento fondato su elementi indiziari gravi precisi e concordanti;

4. il motivo è assorbito con riferimento alla ripresa IVA mentre, per il resto, è in parte infondato e in parte inammissibile;

4.1. secondo, la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (così Cass. n. 9474 del 12/04/2017);

4.1.1. in questo quadro normativo, è stato precisato, in particolare, che, sebbene il giudice tributario possa fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità, tale elemento non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori elementi indiziari (Cass. n. 2155 del 25/01/2019; Cass. n. 24550 del 04/11/2020; in tema di imposta di registro si veda anche Cass. n. 21813 del 07/09/2018);

4.2. la CTR ha puntualmente applicato il superiore principio di diritto, evidenziando che l’accertamento dell’Amministrazione finanziaria non è fondato sui soli valori OMI, ma su una pluralità di elementi indiziari (prezzi indicati in cinque compravendite, superiori al valore’ normale; prezzo di valutazione degli immobili al metro quadro, superiore per gli immobili allo stato grezzo rispetto agli immobili ultimati; valore indicato nei mutui, superiore a quello di alienazione; valutazione delle rimanenze finali), elementi indiziari che sono stati valutati, nel loro complesso, idonei a legittimare la ripresa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d);

4.3. inoltre, il giudice di appello non si è solo limitato a ritenere legittimo l’operato dell’Ufficio, ma ha correttamente valutato nel merito gli elementi indiziari forniti a fronte delle allegazioni dei contribuenti, compiendo un accertamento di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità con la deduzione di un vizio di violazione di legge, così sembra voler fare parte ricorrente;

4.4.in altri termini, la CTR ha compiuto una duplice valutazione: a) ha correttamente ritenuto legittimo l’accertamento compiuto dall’Ufficio fondato su elementi indiziari plurimi e non limitati ai soli valori OMI; b) ha confermato nel merito la fondatezza delle presunzioni alla base dell’accertamento compiuto, non validamente poste in discussione dalle difese di Edil DN;

4.4.1. ne consegue che, sotto il profilo della legittima motivazione della ripresa, il motivo è infondato, mentre, nel merito, la censura si rivela inammissibile, perché tende a mettere in discussione, con la proporzione di un vizio di violazione di legge e non di motivazione, l’accertamento di fatto compiuto dalla CTR;

5. in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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