Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1008 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12.

– Ricorrente –

Contro

R.A., rappresentata e difesa dall’avv. Massimo Amato elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. D. Santonastaso in Roma viale Pola n. 9.

– Controricorrente –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della Campania n. 10354/48/14 depositata il 1/12/2014.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella camera di consiglio dell’8 giugno 2021.

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 10353/48/14 depositata il 1.12.2014.

La vicenda trae origine dalla notifica dell’avviso di accertamento ***** per l’anno d’imposta 2007, nei confronti della contribuente R.A., a rettifica (del reddito da lei dichiarato nella misura di Euro zero) mediante accertamento sintetico, ricorrendone i presupposti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 30, comma 4. La contribuente aveva opposto l’atto impositivo con ricorso alla CTP di Caserta che lo rigettava. Il successivo appello veniva, invece, accolto dalla CTR con la suindicata pronuncia, che l’Amministrazione ha impugnato ponendo a base del ricorso un unico motivo, per la violazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6.

E’ rimasta intimata la contribuente R.A..

CONSIDERATO

che:

Il ricorso va accolto per le ragioni che seguono.

Il giudice regionale ha motivato l’accoglimento dell’appello del contribuente sul presupposto fosse emersa, come fonte di maggiore capacità di spesa, la vendita, nel 2005, di beni mobili, dalla quale la parte aveva ricavato Euro 113.585,60.

Riteneva la CTR non rilevante la mancata prova circa la perdurante disponibilità di tale risorsa anche al tempo dei contestati incrementi patrimoniali (2007) e la mancata prova della destinazione di quelle risorse all’acquisizione degli incrementi patrimoniali rilevati e per fronteggiare le connesse spese di gestione.

L’Amministrazione contesta la decisione ponendo in dubbio si possa presumere la perdurante disponibilità di risorse, ricavate da uno smobilizzo avvenuto nel 2005, ancora negli anni 2008 e 2011, senza adeguata prova su tale circostanza. E pone anche in dubbio su come si possa ravvisare “contiguità temporale” tra i due termini, invece tra loro distanti.

Il giudice regionale – rileva la ricorrente – ha poi ritenuto provata la ulteriore, maggiore capacità di spesa derivante dall’asserito disinvestimento, avvenuto nel 2007, per Euro 102.533,35, di quote del Fondo Intesa *****, considerato “ritualmente documentato”.

Tale ultima valutazione – deduce ancora l’A.F. – non appare condivisibile dal momento che quella disponibilità è palesemente carente sul piano probatorio. Infatti, la stessa contribuente aveva affermato, nel ricorso introduttivo, di non aver potuto produrre agli accertatori, che ne avevano fatto specifica richiesta, l’estratto conto sul quale sarebbe stato versato l’importo derivato dal suddetto disinvestimento. Attribuendo tale difficoltà a Banca Intesa, che non le aveva fornito quel supporto documentale, causa la fase di fusione che in quel periodo aveva riguardato l’Istituto.

Da tale stessa giustificazione discende una evidente contraddizione tra il giudizio della CTR, che ha genericamente ritenuto l’operazione “ritualmente provata”, a fronte della indisponibilità di prova documentale, ammessa dalla stessa parte per giustificarne la mancata produzione, attribuendola alla responsabilità della banca. La CTR, in altri termini, ritiene fornita dalla contribuente una prova che la stessa parte afferma di non aver potuto assolvere.

Peraltro, la giustificazione addotta dalla contribuente è assai poco plausibile posto che le operazioni di fusione impegnano, verosimilmente, i vertici degli istituti bancari coinvolti, ma non anche le articolazioni sul territorio, a discapito di operazioni di routine, quale quella di fornire al cliente copia degli estratti conto.

La sentenza risulta, in ogni caso, a prescindere dalle smagliature motivazionali, non conforme all’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte che ha più volte affermato come “In tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (Sez. 5 -, 04/08/2020 n. 16637).

Ne discende che la CTR ha mancato di esigere dal contribuente che provasse non solo la disponibilità delle asserite ulteriori risorse in esito al ricavato dalla vendita di beni mobili di famiglia, atte a giustificare la sua capacità di spesa, ma anche la durata del possesso, considerato il non breve lasso tra la disponibilità e gli incrementi e che producesse, inoltre, idonea documentazione per dimostrare, se non la destinazione delle risorse proprio alle spese contestate, quanto meno che ciò fosse stato possibile. Non vi è poi alcuna prova che il ricavato della vendita di beni mobili nel luglio 2005 fosse ancora nella disponibilità della contribuente anche nel periodo interessato dall’accertamento.

Per quanto poi riguarda la disponibilità conseguente al disinvestimento di quote del “Fondo Intesa”, è addirittura la stessa disponibilità della risorsa che non è appurata, considerato che, per provare, come richiestogli dagli accertatori, il versamento del ricavato sul suo conto corrente presso Banca Intesa, è ragionevole presumere che la parte disponesse della ricevuta rilasciatagli all’atto dell’operazione e, comunque, l’impedimento addotto è da ritenere inverosimile.

Conseguentemente, è fondato il motivo dedotto dall’A.F., secondo la quale, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 non risulta dimostrata, alla stregua dello standard probatorio fissato dalla richiamata giurisprudenza, la disponibilità delle ulteriori risorse non reddituali, indicate dalla contribuente in Euro 113,585,60, afferenti alla vendita di mobili di famiglia ed in Euro 102.533,35, relative al disinvestimento di titoli.

Il ricorso, pertanto, deve essere accolto. La sentenza va cassata con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, per il riesame e per la definizione sulle spese.

PQM

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, per il riesame e per la definizione sulle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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