LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12105/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
F.D. e M.M., con l’avv. Giuseppe Marra, l’avv. Francesca Marra, nel domicilio eletto presse l’avv. Roberto Folchitto, nel suo studio in Roma, al viale dei Monti Parioli, n. 28;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Lombardia, sez. di Milano, n. 688/49/2015, depositata il 27 febbraio 2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 ottobre 2021 dal Cons. Marcello Fracanzani;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Roberto Mucci, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione;
nessuno comparso per le parti, non essendosi presentata istanza di discussione.
FATTI DI CAUSA
I contribuenti, coniugi residenti in Comune di Bedero Valcuvia, venivano attinti da due avvisi di accertamento con cui l’Ufficio riprendeva a tassazione alcune somme detenute all’estero in relazione all’anno d’imposta 2007.
I due atti impositivi venivano pertanto impugnati avanti la Commissione tributaria provinciale ivi censurando, oltre ai profili di merito, anche la radicale inesistenza della loro notificazione per non essere state rispettate le procedure previste dal combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1 e dell’art. 140 c.p.c..
La decisione sfavorevole ai contribuenti veniva riformata dal Giudice d’appello.
Ricorre a questa Corte l’Avvocatura generale dello Stato che svolge due motivi. Resistono i contribuenti con tempestivo controricorso, seguito da memoria in prossimità dell’adunanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vengono proposti due motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo il patrono erariale lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 140, 156 e 160 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Deduce l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto la notifica degli avvisi impugnati radicalmente inesistente in quanto avvenuta senza il rispetto delle formalità previste dall’art. 140 c.p.c. ma ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e).
Peraltro, gli avvisi di accertamento di cui trattasi erano stati “notificati” mediante “procedura di deposito in busta sigillata presso la casa comunale di Bedero Valcuvia ed affissione di deposito, in busta sigillata, nel relativo albo, poiché nello stesso comune non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente” prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, e ciò sebbene i contribuenti, contrariamente a quanto scritto nella relata, risiedessero nel territorio comunale di Bedero Valcuvia.
Afferma che le dedotte irregolarità rispetto al corretto iter notificatorio non dovevano comportare l’inesistenza ma tutt’al più la nullità della notifica, essendo stata sanata dalla tempestiva impugnazione dei due avvisi di accertamento da parte dei contribuenti.
I controricorrenti eccepiscono che la materiale consegna degli avvisi non poteva tenere il luogo della notificazione per tre concorrente ragioni.
In primo luogo, perché la consegna dell’atto era avvenuta “casualmente” in occasione di un accesso dei contribuenti presso l’amministrazione comunale, peraltro solo a mani della sig.ra M. cui veniva consegnato anche l’atto diretto al sig. F.; in secondo luogo, perché non era stato affiso alcun avviso presso la casa di abitazione, in terzo luogo perché non risultava essere stata inviata l’ulteriore comunicazione di avviso con raccomandata a.r.).
Il motivo è fondato.
1.1. In materia di notifica inesistente e nulla questa Corte, a Sezioni Unite, ha affermato – ancorché in rapporto alla notificazione del ricorso per cassazione – che “L’unica norma del codice di procedura civile che si occupa dell’invalidità della notificazione è l’art. 160, il quale, sotto la rubrica “Nullità della notificazione”, dispone che “La notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione degli artt. 156 e 157”. Ai fini che qui interessano assume centrale rilievo l’art. 156 (“Rilevanza della nullità”), il quale prevede che: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge” (comma 1); “Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo” (comma 2); “La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato” (comma 3). Una prima osservazione può essere già formulata: in tema di notificazione, come in generale di atti processuali, il codice non contempla la categoria della “inesistenza”, nemmeno con riguardo alla sentenza priva della sottoscrizione del giudice, qualificata come affetta da nullità per la quale è tuttavia esclusa, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 2, l’applicazione del principio dell’assorbimento nei mezzi di gravame – sul tema cfr. ora Cass., sez. un., n. 11021 del 2014 -; nullità, quindi, assolutamente insanabile (in relazione alla quale viene evocata, da una gran parte della dottrina e della giurisprudenza, la figura della inesistenza). Tale constatazione, tuttavia, per un verso non è appagante: il legislatore non ha motivo di disciplinare gli effetti di ciò che non esiste, non solo, com’e’ ovvio, dal punto di vista storico-naturalistico, ma anche sotto il profilo giuridico; per altro verso, induce a ritenere che la nozione di inesistenza della notificazione debba essere definita in termini assolutamente rigorosi, cioè confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione (già da tempo la giurisprudenza ha sottolineato l’esigenza di assegnare carattere residuale alla categoria dell’inesistenza della notificazione: Cass., sez. un., n. 22641 del 2007 e n. 10817 del 2008; Cass. n. 6183 del 2009 e n. 12478 del 2013).
1.2. In definitiva, deve affermarsi che l’inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto. L’inesistenza non e’, dunque, in senso stretto, un vizio dell’atto più grave della nullità, poiché la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto. Rilievo fondamentale va attribuito in materia al cit. art. 156 c.p.c. (richiamato dall’art. 160), nel quale trova diretta espressione – unitamente all’art. 121 (“Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”) e all’art. 131, comma 1 (secondo il quale, quando la legge non prescrive che il giudice pronunci sentenza, ordinanza o decreto, “i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo”) – il principio di strumentalità delle forme degli atti processuali, che permea l’intero codice di procedura civile ed al quale, quindi, l’interprete deve costantemente ispirarsi. Le forme degli atti, cioè, sono prescritte al fine esclusivo di conseguire un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto è destinato ad assolvere nell’ambito del processo, e così, in definitiva, con lo scopo ultimo del processo, consistente nella pronuncia sul merito della situazione giuridica controversa: che il principio del, di cui all’art. 111 Cost. ed all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, comprenda, tra i valori che intende tutelare (oltre alla durata ragionevole del processo, all’imparzialità del giudice, alla tutela del contraddittorio, ecc.), il diritto di ogni persona ad un “giudice” che emetta una decisione sul merito della domanda ed imponga, pertanto, all’interprete di preferire scelte ermeneutiche tendenti a garantire tale finalità, costituisce affermazione acquisita nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., sez. un., nn. 15144 del 2011, 17931 del 2013, 5700 del 2014, nonché Cass. nn. 3362 del 2009, 14627 del 2010, 17698 del 2014, 1483 del 2015), anche alla luce di quella della Corte EDU, la quale ammette limitazioni all’accesso ad un giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra altre, Omar c. Francia, 29 luglio 1998; Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995), ponendo in rilievo la esigenza che tali limitazioni siano stabilite in modo chiaro e prevedibile (v., ad es., Faltejsek c. Rep. Ceca, 15 agosto 2008). In particolare, riveste importanza decisiva l’art. 156 cit., comma 3, il quale, dopo che nel comma precedente è previsto che la nullità può essere pronunciata – anche al di là dell’espressa comminatoria di legge – “quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”, stabilisce, con formula perentoria e di chiusura, che la nullità “non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”. Da tale norma discendono, per quanto concerne la notificazione, le seguenti conseguenze: a) occorre che un “atto”, riconoscibile come “notificazione”, esista, nei ristretti termini sopra indicati, e che verranno di seguito precisati; b) se così e’, qualunque vizio dell’atto ricade nell’ambito della nullità, senza che possa distinguersi, al fine di individuare ulteriori ipotesi di inesistenza attraverso la negazione del raggiungimento dello scopo, tra valutazione ex ante e constatazione ex post, poiché il legislatore ha chiaramente inteso dare prevalenza a quest’ultima – in piena attuazione del principio della strumentalità delle forme -, cioè ai dati dell’esperienza concreta, sia pure dovuta ad accadimenti del tutto accidentali, rispetto agli elementi di astratta potenzialità e prevedibilità. Scopo della notificazione è quello di provocare la presa di conoscenza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilità, con gli effetti che ne conseguono (in termini – per quanto qui interessa – di instaurazione del contraddittorio). In presenza di una notificazione nulla, così come opera la sanatoria per raggiungimento dello scopo, attraverso la costituzione in giudizio della parte intimata, correlativamente, in mancanza di tale costituzione, il giudice, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., deve dispone la rinnovazione della notificazione (fissando a tal fine un termine perentorio), a meno che la parte stessa non abbia a ciò già spontaneamente provveduto. Entrambi i rimedi, che sono previsti a fronte del verificarsi del medesimo presupposto della nullità della notificazione – con l’unica peculiarità che l’attivazione spontanea della parte (con la costituzione o la rinnovazione) rende superfluo l’intervento del giudice -, operano con efficacia ex lune, cioè sanano con effetto retroattivo il vizio della notificazione (quella originaria, nel caso di rinnovazione): ciò è previsto espressamente nel cit. art. 291 (“la rinnovazione impedisce ogni decadenza”), si configura come una normale qualità del concetto di sanatoria e costituisce un’ulteriore espressione del principio di strumentalità delle forme. Va ribadito, per completezza, che il detto effetto sanante ex tunc prodotto dalla costituzione del convenuto – la quale non è mai tardiva, poiché la nullità della notificazione impedisce la decorrenza del termine (per tutte, Cass., sez. un., n. 14539 del 2001) – opera anche nel caso in cui la costituzione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullità (tra altre, Cass., sez. un., n. 5785 del 1994; Cass. nn. 10119 del 2006, 13667 del 2007, 6470 del 2011). La notificazione è solitamente definita come una sequenza di atti, un procedimento, articolato in fasi e finalizzato allo scopo indicato nel paragrafo precedente. Gli elementi costitutivi imprescindibili di tale procedimento vanno individuati, quanto al ricorso per cassazione: a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita: restano, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa. La presenza di detti requisiti, che possono definirsi strutturali, va ritenuta idonea ai fini della riconoscibilità dell’atto come notificazione: essi, cioè, sono sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione, rendendo qualificabile l’attività svolta come atto appartenente al tipo previsto dalla legge” (Cfr. Cass., Sez. Un., n. 14916 del 2016).
Nella fattispecie in esame risulta che la sig.ra M. abbia ritirato i due avvisi, compreso quello del sig. F., senza che quest’ultimo ricevesse peraltro alcuna comunicazione.
Risulta in ogni caso integrato il secondo presupposto indicato dalle Sezioni Unite di questa Corte, costituito dalla “consegna intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi ex lege”.
Di contro, non risulta integrato il primo presupposto indicato dalle Sezioni Unite costituito dalla “attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato”. Dalla disamina del ricorso, ove il patrono erariale dichiara di aver riportato fedelmente la relata di notifica, non risulta infatti indicato il “soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa”.
In ogni caso il procedimento notificatorio in oggetto non può dirsi concluso nemmeno sotto il diverso profilo della omessa produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento, da spedire mediante raccomandata a.r.. Sul punto la questione è stata risulta dalla recente sentenza resa a Sezioni Unite n. 10012/2021 e già ribadita da questa Corte che ha precisato che “La sentenza impugnata ha accertato che la notificazione dell’atto impugnato e avvenuta per temporanea irreperibilità del destinatario a termini dell’art. 140 c.p.c., in relazione alla quale notificazione – come recentemente ribadito dalle Sezioni Unite – la comunicazione di avvenuto deposito assume una importanza fondamentale ai fini della conclusione del procedimento notificatorio, tanto che si impone la produzione in giudizio anche dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (Cass., Sez. U., 15 aprile 2021, n. 10012). Pertanto, in assenza della comunicazione di avvenuto deposito, il procedimento notificatorio non può ritenersi concluso, perché solo l’esame di detta comunicazione consente di verificare che il destinatario abbia avuto effettiva conoscenza del deposito dell’atto presso l’ufficio postale e che ne sia stato pertanto tutelato il diritto di difesa (Cass., Sez. Lav., 20 giugno 2019, n. 16601; Cass., Sez. V, 21 febbraio 2019, n. 5077).” (Cfr. Cass., V, n. 21545/2021).
Il motivo è pertanto fondato.
2. Con la seconda doglianza la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1997, art. 60 e degli artt. 140,156 e 160 c.p.c. in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n..
Sostiene che, quand’anche fosse accertata l’erroneità dell’iter notificatorio da parte del messo notificatore, quell’errore non dovrebbe ricadere sull’Amministrazione finanziaria. In altri termini l’errore del messo notificatore, non essendo imputabile all’Ufficio, non dovrebbe poter determinare l’insanabile della notificazione in danno dell’Ufficio.
Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo.
Peraltro, e più radicalmente, l’omissione degli adempimenti dell’art. 140 c.p.c. rende la notifica nulla e, comunque sanata ex art. 156 c.p.c. dalla impugnazione tempestiva dell’atto.
Sotto diverso profilo, invece, in sede di memoria viene posta la questione della decadenza dal potere impositivo: se, infatti, la costituzione del convenuto o l’esperimento dell’azione sanano i profili di notifica, non fanno rivivere il potere da cui sia decaduta l’Amministrazione, trattandosi del decorso di un termine diverso, con carattere decadenziale (e non prescrizionale). Senonché, di tale doglianza non si rinviene menzione in ricorso o in sentenza, ma solo nella memoria, senza che la parte si periti di indicarne la tempestiva proposizione, riportando i passi degli atti introduttivi dove la questione sia stata proposta al giudice di merito, consentendo a questa Corte di verificare trattarsi di circostanza non nuova.
In definitiva, il ricorso è fondato e merita accoglimento con rinvio al giudice di merito.
PQM
La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Lombardia, sez. di Milano, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022