LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10861/2016 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente-
contro
CO.M.IN. srl in liquidazione, con l’avv. Giampaolo Raia, l’avv. Giuseppe Falcone, l’avv. Francesco Falcone, nel domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Iorio, in Roma, al Vittorio Emanuele II;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Calabria – sez. di Catanzaro, n. 400/3/2015, depositata il 24 marzo 2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mucci Roberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione;
nessuno comparso per le parti, non essendosi presentata istanza di discussione.
FATTI DI CAUSA
La società contribuente era oggetto di una verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza che, al suo esito, redigeva un p.v.c. assunto in data 19.12.2005 in relazione all’anno d’imposta 2003, svolgendo alcuni rilievi. Al predetto p.v.c. faceva seguito un avviso di accertamento con cui l’Ufficio contestava, tra l’altro, anche la violazione del principio di competenza ai sensi dell’art. 109 TUIR.
Adito il giudice di prossimità e costituitosi l’Ufficio, il ricorso veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale che aveva ritenuto ingiustificata, sotto più profili, la ripresa a tassazione in ragione della mera iscrizione ritardata di un costo riguardante l’anno precedente nel bilancio di esercizio e, nel contempo, legittima la disapplicazione di norme procedurali al fine di evitare una alterazione del risultato economico.
La decisione di primo grado veniva confermata dal Collegio d’appello.
Ricorre per cassazione l’Amministrazione finanziaria, affidandosi a tre motivi di censura, cui replica la società contribuente con tempestivo controricorso, producendo memoria in prossimità dell’udienza e ulteriore memoria in seguito alle conclusioni scritte del Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo il patrono erariale avanza censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR (ex art. 75 TUIR). In sostanza afferma che i corrispettivi delle cessioni di beni mobili si considerano conseguiti alla data di consegna o di spedizione degli stessi, rimanendo precluso al contribuente scegliere a quale anno d’imposta imputarli. Afferma che, conseguentemente, i corrispettivi e le spese devono essere contabilizzati alla data in cui le prestazioni sono ultimate. Soggiunge che a tale principio non fa da contraltare quello della doppia imposizione, invocato dai giudici di merito, evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta.
1.1 In via preliminare occorre respingere l’eccezione di inammissibilità svolta dalla difesa della società contribuente avendo il patrono erariale puntualmente indicato le specifiche disposizioni normative che ritiene violate dalla sentenza gravata, dopo aver espressamente riportato le affermazioni in diritto che si ritenevano in contrasto con le disposizioni indicate, rectius in contrasto con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, parimenti richiamata.
Ancora in via preliminare occorre dichiarare l’inammissibilità della “richiesta” avanzata da parte contribuente di declaratoria di “nullità di un provvedimento che solo in maniera parziale si ferma a valutare un periodo senza porsi il problema di cosa è avvenuto nei periodi collegati” (cfr. pag. 5 ricorso).
Trattasi di censura che il contribuente dichiara di aver svolto in primo grado ma che non risulta essere stata coltivata, benché assorbita, in grado di appello o innanzi a questo Giudice di legittimità con controricorso incidentale.
Tanto premesso, il motivo è fondato.
1.2. Questa Corte si è recentemente pronunciata su una vertenza nella quale il giudice di merito aveva accolto il ricorso del contribuente richiamando il precedente isolato della pronuncia n. 28016/2009, così come è avvenuto nella presente fattispecie, così statuendo: “secondo la ricorrente, la norma citata prevede il principio di competenza, da ritenersi inderogabile, non potendo il contribuente scegliere a proprio piacimento l’anno di esercizio al quale imputare i costi; la ricorrente rileva anche che la sentenza della Corte di cassazione citata dal giudice di appello costituirebbe un precedente isolato, nell’ambito di numerose pronunce tutte nel senso dell’inderogabilità dei criteri di competenza; il motivo è fondato; in linea generale occorre premettere che “in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (attuale art. 109), sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza” (Sez. 5, Sentenza n. 16349 del 17/07/2014); l’art. 109 T.u.i.r., comma 2 lett. A), che riproduce, in termini, il testo dell’art. 75 TUIR, prevede che le spese si considerano sostenute, a seconda dei casi, al momento della consegna o della spedizione; la norma, quindi, fissa, quali criteri inderogabili per l’individuazione dell’effetto traslativo, “la data della consegna” o “la data della spedizione”, con palese riferimento giuridico alla consegna ed alla spedizione di beni mobili regolate, rispettivamente, dall’art. 1510 c.c., comma 1 e 2 (in tal senso vedi Cass., Sez. 5 n. 341 del 2006); si e’, anche, osservato che, ai fini dell’individuazione dell’esercizio di competenza, nel caso di acquisto di merce affidata a terzi per il trasporto, occorre individuare il momento traslativo del bene mobile, e tale individuazione si fa ai sensi dell’art. 1510 c.c., cui la norma tributaria rimanda, e dunque tenendo conto, oltre che della data della spedizione, quale risulta dai documenti che accompagnano la merce, anche delle condizioni generali dello specifico contratto di trasporto, dalle quali soltanto può desumersi l’eventuale non coincidenza della data di spedizione con l’effettivo trasferimento della disponibilità giuridica della merce, anche prescindendo dal momento della consegna all’acquirente, e ciò in armonia con il principio di competenza economica, che governa l’imputazione temporale delle componenti del reddito (vedi Cass. Sez. 5 n. 1633 del 2008; Sez. 5 n. 6142 del 2009; Sez. 6, n. 25083 del 2013; Sez. 5, Sentenza n. 1633 del 25/01/2008);
in base all’art. 1510 c.c., comma 2, l’effetto traslativo della proprietà sulla merce si verifica nel momento della spedizione e, solo nel caso in cui le condizioni di contratto ne indichino uno diverso, va fatto riferimento alla pattuizione delle parti e pertanto, deve ribadirsi anche nel caso di specie, il principio secondo cui “in tema d’imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, in caso di acquisto di merce affidata a terzi per il trasporto, ai sensi dell’art. 1510 c.c., comma 2, a cui la norma tributaria rimanda, l’effetto traslativo si considera verificato alla data della spedizione, quale risulta dai documenti che accompagnano la merce, a meno che le condizioni dello specifico contratto, che è onere del contribuente allegare, non indichino un momento diverso, sicché, in base alla regola generale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (attuale art. 109), comma 2, lett. a, il relativo costo si considera sostenuto e va, quindi, imputato all’esercizio dell’anno in cui il bene è stato spedito” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16771 del 09/08/2016).
La sentenza impugnata non si è conformata ai suddetti principi, ritenendo derogabile il principio della competenza in assenza di danno erariale ed affermando la possibilità per la contribuente di imputare i costi nell’esercizio successivo a quello della spedizione per il solo fatto della sussistenza della clausola Fob, senza verificare quali fossero in concreto i termini dell’accordo contrattuale tra le parti” (Cfr. Cass., V, n. 23547/2020).
Nella fattispecie in esame è incontroverso tra le parti che la contribuente non abbia rispettato il principio di competenza, che deve essere osservato anche in mancanza di danno erariale.
Il motivo è pertanto fondato e va accolto.
2. Con la seconda doglianza la difesa erariale lamenta la violazione e falsa dell’artt. 106 e 109 TUIR (ex artt. 71 e 75 TUIR) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, affermando che le critica svolte con il primo motivo debbono intendersi valevoli anche in relazione all’annullamento, da parte dei giudici di merito, della ripresa a tassazione relativa ai crediti pro – solvendo. In sostanza afferma che l’eventuale perdita connessa alla cessione di crediti pro solvendo non è ammessa in capo al cedente non sussistendo i requisiti di certezza e definitività.
Il motivo riprende il precedente ed è fondato per le seguenti ragioni. Questa Corte è intervenuta più volte affermando, anche di recente, In tema di redditi d’impresa, la cessione di un credito pro soluto a un prezzo inferiore all’effettivo valore dello stesso costituisce una perdita su crediti, la quale, in presenza del requisito dell’inerenza, è deducibile, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5, soltanto a condizione che risulti da elementi certi e precisi ovvero che il debitore sia assoggettato a procedura concorsuale. Peraltro, l’automatica deducibilità opera soltanto in quest’ultimo caso, stanti le garanzie derivanti dalle procedure concorsuali sul piano della certezza dell’insolvibilità e dell’entità delle perdite, mentre in tutti gli altri casi è richiesta la prova dell’effettiva riduzione di valore del credito, indipendentemente dal corrispettivo pattuito, e dunque della oggettiva definitività della perdita, della quale è onerato il contribuente. (Cass.
V, n. 5787/2021), A fortiori, infatti, i crediti pro solvendo possono essere dedotti solo con la prova rigorosa di una valutazione di rischio per il cedente: In tema di determinazione del reddito d’impresa, la deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti, prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 71 (secondo la numerazione introdotta dal D.Lgs. n. 30 dicembre 1993, n. 344, art. 106) si applica ai crediti ceduti “pro solvendo” se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente. (Principio affermato con riferimento a crediti ceduti in factoring). (Cass. V, n. 14337/2011, conforme da n. 2133/2002, n. 10215/2003, n. 13803/2005, n. 22169/2006).
3. Con l’ultimo motivo l’Avvocatura dello Stato profila censura per nullità della sentenza in relazione alla mancanza del requisito motivazionale previsto dal combinato disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61 e art. 36, comma 2, n. 4 e violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; con la sentenza gravata, invero, la CTR aveva rigettato le doglianze relative alla valutazione delle rimanenze per non aver l’Ufficio indicato la norma in base alla quale la contribuente avrebbe dovuto seguire la procedura indicata.
In relazione a detto profilo il patrono erariale lamenta la natura meramente apparente della decisione gravata, tale da non comprenderne il percorso logico-giuridico seguito, avendo invece l’Amministrazione finanziaria indicato la norma elusa negli “art. 59 Tuir e s.s.”.
Il motivo è infondato.
Nella fattispecie in esame non viene in contestazione la mancata indicazione della norma violata nell’avviso di accertamento quanto la sua mancata indicazione negli atti di primo e secondo grado.
Peraltro, è noto il principio per cui all’Amministrazione finanziaria è precluso il potere di integrare la motivazione del provvedimento.
In ogni caso il motivo è infondato, avendo la parte ricorrente citato l’art. 59 TUIR, recante norme in tema di dividendi e che nulla spiega in punto di rimanenze, sicché è corretta l’affermazione della CTR quando sostiene che l’Ufficio non aveva indicato la norma in base alla quale la contribuente avrebbe dovuto seguire la procedura dallo stesso segnalata.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo e secondo motivo, rigettato il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Calabria – Catanzaro, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022