LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25166 del ruolo generale dell’anno 2013 proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– ricorrente –
contro
ICSA Industria Cuscinetti s.p.a. (già ICSA s.p.a.) in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Mario Garavoglia, Claudio Lucisano e Maria Sonia Vulcano per procura speciale a margine del controricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Crescenzio, n. 91, presso lo studio di questi ultimi difensori;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 86/1/2013, depositata in data 16 luglio 2013;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 ottobre 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Icsa s.p.a. (ora Icsa Industria Cuscinetti s.p.a.) un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2005, aveva accertato una maggiore Ires, Irap e Iva, per mancata fatturazione di operazioni attive, per emissione di fatture di vendita non imponibili (in mancanza della prova dell’uscita delle merci dal Paese), nonché per mancato assoggettamento ad Irap del prestito di personale; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, che aveva ritenuto legittimo l’atto impositivo solo relativamente al primo rilievo; la società aveva quindi proposto appello principale e l’Agenzia delle entrate appello incidentale;
la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello principale della società e rigettato quello incidentale dell’Agenzia delle entrate, in particolare ha ritenuto che: relativamente al primo rilievo, i documenti di trasporto erano riferibili alle merci indicate nelle fatture ed erano stati emessi per esigenze informatiche o per una diversa destinazione rispetto alla sede del cliente, sicché non rappresentavano documenti di accompagnamento di merci non fatturate; con riferimento al secondo rilievo, le dichiarazioni Intrastat potevano essere considerate idonei elementi di prova dell’avvenuto trasporto presso altro Paese; infine, con riferimento al terzo rilievo, dalla formulazione delle clausole del contratto redatto tra la contribuente e la Snr Roulements era evincibile che quest’ultima aveva eseguito una prestazione di servizi per il controllo di qualità presso la contribuente e non un prestito di personale;
avverso la suddetta pronuncia ha quindi proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso, illustrato con successiva memoria;
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mucci Roberto, ha depositato le proprie conclusioni scritte con le quali ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame o per omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in quanto, relativamente al primo rilievo, concernente la mancata fatturazione di operazioni attive, non ha illustrato gli elementi sulla base dei quali ha ritenuto che i documenti di trasporto manualmente redatti erano stati emessi per esigenze informatiche o per una diversa destinazione e non ha tenuto in considerazione le argomentazioni difensive svolte dall’Agenzia delle entrate nei gradi di merito e con l’appello incidentale;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame o per omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in quanto, relativamente al secondo rilievo, concernente l’emissione di fatture di vendita non imponibili in mancanza della prova dell’uscita delle merci dal Paese, non ha indicato per quali motivi e sulla base di quali elementi è stato ritenuto che le dichiarazioni Intrastat potevano essere considerate documenti utili ai fini della prova del trasporto delle merci in altro Paese, anche tenuto conto della linea difensiva dell’Agenzia delle entrate;
con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame o per omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in quanto, relativamente al terzo rilievo, concernente il mancato assoggettamento ad Irap del prestito di personale, non ha esplicitato le ragioni per le quali il contenuto delle clausole contrattuali avrebbero dovuto condurre a ritenere che di trattava di una prestazione di servizi e non di distacco di personale;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono inammissibili;
gli stessi, invero, sono stati proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, applicabile al presente giudizio, stante la norma transitoria di cui al predetto art. 54, comma 3, secondo cui l’intervento normativo “si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione” e, dunque, alle sentenze pubblicate a partire dall’11 settembre 2012;
va quindi ribadito che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione ed è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U., 28 ottobre 2021, 23746; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053);
in sostanza, la modifica normativa ha inteso limitare il giudizio di legittimità ai soli casi in cui il giudice del merito, nell’applicazione della legge, abbia omesso di considerare e di pronunciare su di un fatto (costitutivo, impeditivo, modificativo o estintivo) controverso tra le parti;
in realtà, dall’esame del contenuto della sentenza censurata si evince che la stessa, nel contesto della motivazione, ha esaminato le diverse questioni prospettate e, con una valutazione in fatto non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che: relativamente al primo rilievo, dopo avere esaminato specificamente ciascuno dei documenti di trasporto, gli stessi erano riferibili alle merci indicate nelle fatture ed erano stati emessi per esigenze informatiche o per una diversa destinazione rispetto alla sede del cliente, sicché non rappresentavano documenti di accompagnamento di merci non fatturate; con riferimento al secondo rilievo, le dichiarazioni Intrastat potevano essere considerate idonei elementi di prova dell’avvenuto trasporto presso altro Paese; infine, con riferimento al terzo rilievo, dalla formulazione delle clausole del contratto redatto tra la contribuente e la Snr Roulements era evincibile che quest’ultima aveva fornito una prestazione di servizi per il controllo di qualità presso la contribuente e non un prestito di personale;
risulta, quindi, compiutamente effettuato, per ciascuno dei rilievi posti all’attenzione del giudice del gravame, un accertamento in fatto in ordine alla regolarità delle operazioni eseguite;
né può ragionarsi in termini di motivazione apparente, profilo di censura che sembra essere stato prospettato mediante il riferimento alla omessa motivazione contenuto nella rubrica dei motivi di ricorso, posto che le conclusioni cui è pervenuta la sentenza censurata sono la conseguenza degli accertamenti in fatto dalla stessa esposti nella motivazione, sicché sussiste l’esposizione del ragionamento logico seguito ai fini della decisione;
prive di rilevanza, inoltre, sono le doglianze relative alla mancata considerazione delle deduzioni difensive prospettate dalla ricorrente, ciò sotto due diversi profili;
in primo luogo, va osservato che con il ricorso per cassazione, anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. civ., 22 giugno 2018, n. 16563): nella fattispecie, la censura in esame si traduce, per contro, proprio in una sostanziale rivalutazione del materiale istruttorio documentale già sottoposto all’esame del giudice di merito, certamente inammissibile in sede di legittimità;
inoltre, parte ricorrente, al fine di fondare la correttezza delle ragioni di censura proposte, non indica specificamente quali fatti decisivi e controversi oggetto del giudizio ritiene di dovere individuare e porre all’attenzione di questa Corte, essendosi limitata a riprodurre il contenuto dei motivi di appello, senza procedere, tuttavia, ad una specifica selezione del contenuto degli stessi in modo da consentire a questa Corte di valutare e apprezzare le ragioni del dedotto vizio di motivazione;
in conclusione, i motivi di ricorso sono inammissibili, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento, Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022