Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1023 del 14/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2982/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12.

– ricorrente –

contro

B & T Gestimmobili s.r.l. in liquidazione.

– intimata –

avverso la sentenza n. 378/2/2016 della Commissione tributaria regionale del Molise, depositata il 20/7/2016.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Oronzo De Masi nella Camera di consiglio del 16 novembre 2021 tenuta mediante collegamento da remoto.

RITENUTO

che:

La società contribuente acquistava, con atto registrato il 18/3/2008, un immobile sito in zona qualificata “di recupero edilizio” del Comune di ***** e chiedeva le agevolazioni fiscali di cui alla L. n. 168 del 1982, art. 5, ai fini del pagamento delle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa, sul presupposto che la vendita aveva ad oggetto un bene compreso in zona di recupero secondo il disposto della L. n. 457 del 1978, art. 27 e ss., anche se il relativo “piano” non fosse stato adottato.

L’Amministrazione finanziaria negava le agevolazioni e, con avviso di liquidazione, provvedeva al recupero delle ordinarie imposte, sostenendo che al momento dell’acquisto l’immobile non si poteva considerare inserito nell’ambito di “piani di recupero” edilizio vigenti.

La società B & T Gestimmobili impugnava l’avviso e l’adita commissione tributaria provinciale di Campobasso accoglieva il ricorso osservando come fosse sufficiente la delibera comunale individuante la “zona” di recupero urbanistico nella quale ricadeva l’immobile compravenduto.

La decisione è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale del Molise, con la sentenza n. 378/2/16, depositata in data 20/7/2016, avverso la quale l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

che:

con il primo mezzo, la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, perché erroneamente la CTR ha dubitato dell’ammissibilità dell’appello in quanto l’Ufficio non muove alcuna specifica censura alla sentenza di primo grado, essendosi limitato a riportare le motivazioni già esposte nell’atto di rettifica e nella successiva costituzione in giudizio, considerato che costituisce idoneo motivo di gravame quello che prospetta tesi opposte a quelle sostenute nella sentenza impugnata.

Con il secondo mezzo, denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, perché la motivazione della sentenza impugnata risulta meramente apparente.

Con il terzo mezzo, denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 457 del 1978, artt. 27 e 28, perché erroneamente la CTR afferma che il requisito oggettivo dell’agevolazione consiste nel fatto che il Comune di Campobasso abbia provveduto all’individuazione delle aree ed alla successiva perimetrazione degli immobili, essendo invece richieste l’avvenuta approvazione di un piano di recupero e la sua concreta esecuzione, nei tempi previsti, come richiesto anche dalla L. n. 457 del 1978, art. 5.

Con il quarto mezzo, denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, e della L. n. 457 del 1978, art. 28, perché contraddittoriamente la motivazione della sentenza della CTR, per un verso, dà atto della necessità dell’inserimento dell’immobile in un piano di recupero esistente, e non già solo in un’area individuata e perimetrata, per altro verso, afferma la sussistenza, nella fattispecie esaminata, dei presupposti soggettivi e oggettivi, nonostante l’indiscussa assenza del piano.

La prima censura è fondata.

La decisione della CTR dei Molise “in parte qua” è contraria al principio, affermato da questa Corte, secondo cui “Nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione”. (tra le tante, Cass. n. 707 del 2019).

La Corte ha, altresì, precisato che il carattere devolutivo pieno proprio dell’appello, mezzo d’impugnazione volto ad ottenere il riesame della causa nel merito, l’onere di impugnazione specifica richiesto dal citato D.Lgs., art. 53, “non impone all’appellante di porre nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione rispetto a quelli già respinti dal giudice di primo grado, specie ove le questioni che formano oggetto del giudizio siano di mero diritto”. (Cass. n. 32838 del 2018).

L’Agenzia delle Entrate, con il gravame, ha riproposto le argomentazioni difensive non accolte dal primo giudice e tanto basta ai fini qui considerati.

Nel processo tributario, infatti, stante il carattere devolutivo pieno dell’appello volto ad ottenere il riesame della causa nel merito, l’onere di impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non impone all’appellante di porre nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione rispetto a quelli già respinti dal giudice di primo grado, specie ove le questioni che formano oggetto del giudizio siano di mero diritto.

La seconda e quarta censura sono infondate.

La Corte ha evidenziato che “Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture”. (Cass. n. 13977 del 2019, Cass. n. 22232 del 2016, Cass. Sez. U. n. 7667 del 2017, Cass. n. 22232 del 2016 e Cass. n. 16599 del 2016).

Nella specie, il giudice del gravame ha dato conto, seppur con motivazione stringata, delle ragioni poste a fondamento della decisione atteso che, condividendo quanto esposto nella sentenza di primo grado, assume che sia la condizione oggettiva, che quella soggettiva, richieste dalla L. n. 168 del 1982, art. 5, per il riconoscimento dell’agevolazione fiscale, “devono essere (soltanto) dichiarati al momento della registrazione dell’atto”, perché “l’effettiva attuazione del recupero, progettata nell’atto di trasferimento, invece, è un evento futuro rispetto alla registrazione” del trasferimento immobiliare.

La terza censura è fondata.

Questa Corte si è più volte occupata dei presupposti – oggettivo e soggettivo – dell’agevolazione in questione ed ha affermato che: “L’agevolazione fiscale di cui alla L. n. 168 del 1982, art. 5, comma 1, è subordinata alla contemporanea presenza di due condizioni, di carattere generale, consistenti nell’essere gli immobili trasferiti già inseriti in un piano di recupero del patrimonio edilizio (di iniziativa pubblica o privata, purché convenzionato) L. n. 457 del 1978, ex art. 27 e ss., e nella realizzazione degli interventi di recupero da parte degli acquirenti dei beni. Ne consegue che il beneficio può essere riconosciuto, stante anche la natura delle norme agevolatrici, di stretta interpretazione, solo se la ristrutturazione sia eseguita in attuazione del piano indicato all’atto del trasferimento e non quando l’immobile, incluso nelle zone di recupero, sia restaurato o addirittura alienato dopo la scadenza del termine per l’esecuzione del piano, ormai inefficace per la parte in cui non ha avuto attuazione”. (Cass. n. 27904 del 2018).

E’ stato anche chiarito che: “In tema di agevolazioni fiscali, la L. n. 168 del 1982, art. 5, nel prevedere l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa per gli atti di trasferimento di immobili compresi nei piani di recupero di cui alla L. n. 457 del 1978, art. 27, pone una norma di natura eccezionale, da interpretarsi restrittivamente, sicché l’equipollenza tra piano di recupero e piano particolareggiato non può intendersi generalizzata, ma va limitata, come stabilito dalla L. n. 457 del 1978, art. 34, solo ai piani particolareggiati già approvati alla data di entrata in vigore della legge e finalizzati al risanamento del piano edilizio esistente” (Cass. n. 2397 del 2017).

I piani di recupero, come individuati dalla L. n. 457 del 1978, art. 28, “prevedono la disciplina per il recupero degli immobili dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree (…) anche attraverso interventi di ristrutturazioni urbanistiche” che hanno come destinazione “le zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso” (L. n. 457 del 1978, art. 27).

Si tratta, dunque, di strumenti urbanistici con lo specifico scopo di contribuire ad adattare il tessuto edilizio e urbanistico esistente a finalità specifiche, mediante la realizzazione di interventi di recupero, così come definiti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 (stessa L. n. 457 del 1978, ex art. 31), e cioè, interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ristrutturazione urbanistica.

Tali piani, ai sensi della citata L., art. 28, sono approvati con deliberazione del consiglio comunale ed attuati dai proprietari – singoli o riuniti in consorzio – oppure dai comuni, con interventi diretti o mediante il convenzionamento con i privati.

Per gli interventi attuati dai privati è prevista, dalla medesima L., art. 30, la presentazione di proposte di piani di recupero, proposte che vengono adottate con deliberazione del consiglio comunale unitamente alla convenzione contenente le previsioni stabilite dalla L. n. 1150 del 1942, art. 28, comma 5, e successive modificazioni (realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, con l’assunzione dei relativi oneri a carico del proprietario).

Ciò detto, i giudici sia di primo che di secondo grado, discostandosi dalla chiara giurisprudenza sopra richiamata, hanno ritenuto sufficiente l’adozione della delibera del Comune di Campobasso con la quale era stata individuata la “zona” di recupero urbanistico, ma nulla dicono le sentenze circa l’effettiva approvazione del piano di recupero urbanistico, benché l’Ufficio avesse specificamente contestato rientrando la relativa questione appieno nel “thema decidendum” – “la mancata approvazione del Piano di Recupero Edilizio (…) condizione necessaria per usufruire delle agevolazioni tributarie di cui alla L. n. 1687 del 1982, art. 5”, come pure risulta riportato a pag. 2 della sentenza d’appello.

Ed allora, come puntualmente rilevato dalla Corte (Cass. n. 12515 del 2013, “la ratio del regime agevolativo non è semplicemente rapportabile all’essere stato effettuato un intervento edilizio nell’ovvio rispetto delle prescrizioni urbanistiche (standard) proprie del piano particolareggiato, sebbene quella – affatto specifica – di sostenere dal punto di vista fiscale chi abbia posto in essere un intervento edilizio finalizzato a dare attuazione a un piano di recupero. E tanto postula la precondizione che il piano medesimo sia vigente all’atto della dichiarazione di intento (id est, della compravendita) e della susseguente esecuzione dell’intervento”.

Le esposte considerazioni conducono all’accoglimento del ricorso e alla cassazione dell’impugnata sentenza.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa, nel merito, rigettando l’originaria impugnazione della società contribuente avverso l’avviso di liquidazione.

La compensazione delle spese processuali dei gradi di merito è giustifica dal progressivo consolidarsi dei principi innanzi richiamati, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta ai restanti motivi, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.

Compensa le spese processuali dei gradi di merito e condanna l’intimata al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese processuali, che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472