LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 18700 del ruolo generale dell’anno 2015 proposto da:
FHL s.r.l., già Fergia s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Mario Calgaro e Paolo Panariti per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Celimontana, n. 38, presso lo studio dei medesimi difensori;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, n. 257/06/2015, depositata in data 27 gennaio 2015;
udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 23 novembre 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Fergia s.p.a. (ora FHL s.r.l.) un avviso di recupero con il quale veniva ad essa contestato, in qualità di capogruppo delle società controllate, che il credito Iva risultante dalle liquidazioni di gruppo per l’anno 2006, riportato nel 2007, era stato compensato con debiti Iva per un importo maggiore rispetto a quello garantito con la fideiussione, con conseguente indebita parziale compensazione; erano state, conseguentemente, irrogate le sanzioni; avverso l’atto di recupero la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Vicenza; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: era infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello; l’atto di recupero del credito Iva era legittimo, in quanto la mancata prestazione della garanzia fideiussoria non rendeva perfezionabile la compensazione di cui alla speciale procedura di liquidazione dell’Iva di gruppo, con la conseguenza che era dovuto ex tunc il versamento dell’imposta; l’atto di recupero, infine, era stato notificato entro i termini decadenziale;
la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere reso una motivazione apparente sulla questione della inammissibilità dell’atto di appello dell’Agenzia delle entrate;
il motivo è inammissibile;
la censura prospettata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), presuppone l’omesso esame da parte del giudice di un fatto decisivo per la controversia, ma tale vizio non può essere prospettato in relazione ad errores in procedendo che la parte lamenta abbia compiuto il giudice del gravame laddove ha ritenuto ammissibile l’atto di appello;
d’altro lato, non può comunque ragionarsi in termine di motivazione apparente, avendo il giudice del gravame riportato, in primo luogo, il contenuto dei motivi di appello e ritenuto che, in sostanza, gli stessi fossero ammissibili in quanto comportavano “un nuovo esame di legittimità e di merito”;
in sostanza, il giudice del gravame, dopo avere esaminato il contenuto dell’atto di appello e l’eccezione della società, ha ritenuto che la prospettazione compiuta con l’impugnazione atteneva alla corretta interpretazione della disciplina normativa da applicare (in questo senso deve intendersi il riferimento a “questioni di legittimità” utilizzato in sentenza), in particolare alla compensabilità o meno del credito Iva nell’ambito della speciale disciplina dell’Iva di gruppo ove non fosse stata rilasciata la richiesta garanzia fideiussoria, profilo che coinvolgeva l’esatta interpretazione della valenza della prestazione di garanzia, se cioè avente funzione meramente cautelare o costitutiva per la corretta operatività della particolare procedura;
d’altro lato, va ribadito che in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto, dei presupposti sui quali si era fondato l’accertamento in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve all’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. Civ., 5 ottobre 2018, n. 24641);
il principio risulta particolarmente aderente al caso di specie, in cui la questione prospettata è di mero diritto, sicché, sotto tale profilo, il requisito della specificità dell’appello non può infatti essere inteso nel senso che l’appellante sia tenuto a ricercare nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione, quasi che gli sia precluso di sottoporre all’esame del giudice del gravame quelli già respinti dal primo giudice;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, e del D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, in quanto, al momento in cui è stato notificato l’avviso di recupero l’amministrazione finanziaria era decaduta dal potere di accertamento dell’esistenza del credito, sicché il credito era divenuto certo, con la conseguenza che la mancata prestazione della garanzia fideiussoria non poteva avere rilevanza ai fini del recupero del credito compensato;
il motivo è infondato;
questa Corte (Cass. Civ., 25 giugno 2021, n. 18350) ha precisato, facendo riferimento agli arresti giurisprudenziale già in precedenza resi, che, poiché la disciplina dell’Iva di gruppo costituisce mera agevolazione rispetto all’esercizio degli obblighi di dichiarazione e dei diritti conseguenti delle società controllate, la prestazione della garanzia non ha funzione meramente cautelare dell’esistenza del credito, ma costituisce un presupposto costitutivo ai fini della effettiva operatività della medesima, essendo, quindi, necessario che sussistano i presupposti formali imposti al fine di beneficiare del particolare regime in esame, in coerenza con il principio secondo cui la compensazione, in materia tributaria, è ammessa nei soli casi previsti dalla legge;
sotto tale prospettiva, non può essere seguita la linea difensiva secondo cui non sia necessaria la prestazione di garanzia nel caso in cui il credito non potrebbe essere contestato per essere l’amministrazione finanziaria decaduta dal potere di controllo;
la suddetta linea interpretativa (sebbene seguita incidentalmente da questa Corte con la sentenza 20 ottobre 2010, n. 21515), invero, non è corretta, in quanto si fonda sulla errata considerazione che la prestazione della garanzia ha una mera finalità cautelare mentre costituisce un presupposto necessario per la corretta applicazione della disciplina in esame, da attuarsi obbligatoriamente quando la società che ha ceduto il proprio credito ha optato per la scelta di avvalersi della liquidazione dell’Iva di gruppo cedendo il proprio credito in favore del gruppo societario, piuttosto che procedere, normalmente, alla detrazione del credito Iva con un proprio debito ovvero a richiedere il rimborso, come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30;
la natura meramente facoltativa di questa scelta impone alla società cedente di seguire necessariamente gli obblighi, anche formali, richiesti dalla normativa di riferimento, in particolare di prestare la garanzia, sicché, il mancato adempimento della prestazione richiesta per l’adesione all’Iva di gruppo comporta l’obbligo di versare l’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate;
la pronuncia censurata è dunque in linea con la giurisprudenza di questa Corte, avendo ritenuto che la prestazione di garanzia abbia valenza costitutiva della regolarità della procedura;
il ricorso è dunque infondato, con conseguente rigetto;
vanno comunque compensate le spese di lite del presente giudizio, atteso il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale sulla questione della natura giuridica della prestazione di garanzia in data successiva alla presentazione del ricorso;
si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuti.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso e compensa le spese di lite del presente giudizio; dà atto si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuti.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022