Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1026 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3381/2016 proposto da:

Agenzia delle Entrate, difesa ex lege dall’Avvocatura dello stato elettevimante do.ta in Roma, in via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

SAPABA S.P.A. S.r.l., con sede legale in ***** (C.F. e P.IVA:

*****), in persona del Lr., rappresentata e difesa dagli avv.ti Matteo Targhini e Alberto Gommellini del foro di roma ed elettivamente dom.ta presso quest’ultimo in Roma, via E. Duse n. 35 (C.F.: *****);

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 1421/07/2015 emessa dalla CTR Emilia Romagna in data 25/06/2015 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Milena Balsamo, lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. De Matteis Stanislao che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso avanti alla Commissione tributaria provinciale di Bologna la società indicata in epigrafe impugnava l’avviso di classamento dell’area adibita a cava estrattiva in categoria D/1) opifici industriali) del catasto urbano con attribuzione di rendita pari a 71.214,00 oltre sanzioni ed interessi notificato dall’Agenzia delle entrate, deducendo l’illegittimo accatastamento in quanto l’area andava inclusa nel catasto terreni R.D. n. 1572 del 1931, ex art. 18.

La Commissione tributaria provinciale di Bologna, con sentenza n. 921/2014 accoglieva il ricorso.

Avverso questa decisione proponeva appello l’ente finanziario. Resisteva in giudizio l’appellata, chiedendo la conferma della impugnata decisione. Con sentenza del 25.06.2015, la CTR dell’Emilia Romagna rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

la legittima inclusione delle cave estrattive nel Catasto terreni ai sensi del citato art. 18, non potendosi assimilare le cave alle unità immobiliari che nello stato in cui si trovano presentano potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’agenzia delle Entrate sulla base di quattro motivi La contribuente ha resistito con controricorso.

Il P.g. ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D n. 1572 del 1931, art. 18, che esclude le cave dalla stima fondiaria ma non dall’attribuzione di una rendita.

2. Con la seconda censura si prospetta violazione del R.D.L. n. 852 del 1939, artt. 4 e 5, nonché del D.M. n. 28 del 1998, artt. 1 e 2, alla stregua dei quali si considerano unità immobiliari le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, diverse dai fabbricati rurali e sono considerati costruzioni anche gli edifici sospesi o galleggianti stabilmente assicurati al suolo; mentre il rubricato art. 5, considera unità immobiliare ogni parte di immobile atta a produrre un reddito proprio.

3. La terza censura deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 3 e 61, laddove subordinando l’attribuzione della categoria catastale ad un immobile all’inesistenza di altre imposte sul medesimo cespite, nega in radice l’autonomia dell’ordinamento catastale.

4. L’ultimo motivo si incentra sulla violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1,2 e 7, in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per non aver la CTR tenuto conto della natura edificabile delle aree in oggetto, destinate ad attività estrattiva e adibite a cave o miniere, e, quindi, della sussistenza del presupposto impositivo dell’ICI.

5. I motivi – che possono essere scrutinati congiuntamente involgendo questioni strettamente connesse – sono fondati.

6. Occorre ripercorrere l’iter legislativo nel tempo con una sintetica ricostruzione storica. La legge fondamentale di riferimento è il R.D. n. 1572 del 1931, che all’art. 18, esclude le cave dalla stima fondiaria per la determinazione del reddito dominicale, sicché il reddito del terreno formalmente risultante in catasto di natura agricola non è espressivo dell’effettiva ricchezza derivante dalla sua pacifica destinazione e dallo sfruttamento del medesimo a finalità estrattiva, essendo riconducibile l’utilizzazione a cava ad una attività di carattere esclusivamente industriale (v. Corte Cost.).

Il R.D. n. 1572 del 1931, art. 1, dispone così: Sarà provveduto, a cura dello Stato, in tutto il regno, alla formazione di un catasto geometrico particellare uniforme fondato sulla misura e sulla stima, allo scopo: 1) Di accertare le proprietà immobiliari e tenerne in evidente le mutazioni (funzioni di misura); 2) Di perequare l’imposta fondiaria (funzione di stima)”.

Il catasto nazionale a tutt’oggi poggia il proprio fondamento ancora sulla L. 1 marzo 1886, n. 3682. Nel 1886 si poneva il problema di procedere ad una unificazione delle varie amministrazioni e dei vari catasti in vigore nei vari stati italiani preunitari, affermando i principi della cd. perequazione fondiaria, sulla base del principio che terreni similari o analoghi dovevano pagare imposte similari, con criteri equivalenti e uniformi su tutto il territorio nazionale.

Per giungere alla perequazione fondiaria il legislatore del 1861 poteva scegliere tra due metodologie diverse:

– tassare il reddito effettivo, in conformità a una contabilità analitica e documentale;

– tassare il reddito che si poteva presumere essere conseguito dal terreno o dal fabbricato.

Fu scelta questa seconda opzione, con il ricorso al metodo della rendita presunta, che si ritenne più equa, più semplice, più uniforme e meno soggetti ad arbitrii; e venne abbandonata la scelta della rendita effettiva che si giudicò più opinabile e maggiormente contestabile.

Proprio sulla base di questo principio: per i terreni, le tariffe d’estimo rappresentano la parte dominicale del reddito medio, ordinativo, continuativo ritraibilee “(R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, art. 13): – per i fabbricati “la rendita catastale è la rendita lorda media ordinaria continuativa ritraibile, previa detraicene delle spese di riparazione, manutenzione e di ogni altra spesa o perdita eventuale” (R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 9).

La norma non dice che le cave non vanno iscritte in catasto, ma che le cave saranno escluse dalla sola operazione di stima fondiaria.

Pertanto i terreni adibiti a cava devono essere iscritti al catasto al fine di essere identificati per rilevare la figura e la estensione delle singole proprietà e delle diverse particelle catastali e per essere rappresentati con mappe planimetriche collegati a punti trigonometrici, come richiede la legge catastale per contribuire alla certezza dei rapporti giuridici.

– La L. 1 marzo 1886, n. 3682 (serie terza) (cd. legge Messedaglia) – la legge istitutiva del nuovo catasto terreni nel Regno d’Italia – disponeva all’art. 17, lo stralcio delle cave dalla stima fondiaria del nuovo catasto.

La stessa norma poi è stata ripresa dalla L. 21 gennaio 1897, n. 23, art. 1, e dalla L. 11 luglio 1929, n. 1260, art. 1.

Poi il R.D. 6 dicembre 1923, n. 2722, all’art. 1, confermava la particolare specificità dei beni, prevedendo che “sono sottratte all’applicazione dell’imposta sui terreni, in quanto risultino censite nel relativo catasto, le miniere, le cave, le torbiere, le saline, con la superficie stabilmente occupata per la relativa industria e le tonnare, in applicazione del principio stabilito dalla L. n. 1886, art. 17, della L. n. 3682”.

Il nostro ordinamento tributario accoglie il principio espresso nelle leggi catastali: “i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni ed altre acque interne” sono considerati redditi di impresa (D.Lgs. n. 344 del 2002, art. 55), per cui la tassazione avviene sulla base del reddito effettivamente prodotto e non sulla attitudine del bene a produrre reddito, con esclusione quindi della rilevanza degli estimi catastali.

Tanto premesso, l’area classificata come D/1, ancorché concretamente destinata unicamente a cava e ad attività estrattiva, non è perciò solo qualificabile come agricola, in quanto avente potenzialità edificatoria, sia pure limitata alla sola realizzazione di fabbricati strumentali (Cass., Sez. V, n. 31079 del 28 novembre 2019.). Più precisamente, si deve ritenere che, come già stabilito dalla giurisprudenza in tema di imposta di registro e di INVIM, la qualificazione agricola (con relativa attribuzione di rendita), non più attuale, di un terreno destinato ad attività industriale estrattiva renda possibile la rettifica del valore dello stesso secondo il valore venale, non coincidendo necessariamente l’attribuzione di rendita con la stima fondiaria, perché un tale errato presupposto interpretativo non tiene conto (come ha precisato la Corte costituzionale con sentenza n. 285 del 2000) del fatto che il R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, art. 18, esclude comunque le cave dalla stima fondiaria per la determinazione del reddito dominicale, sicché, in tali casi, le risultanze catastali non corrispondono all’effettiva e giuridica destinazione del terreno, benché non sia stata denunciata al catasto la variazione (Cass., Sez. V, n. 24568 del 23 novembre 2005; Cass. n. 3978/2021).

L’esclusione delle cave dalla stima fondiaria e l’eventuale indebita iscrizione delle aree nel catasto terreni non può valere a ravvisare nella rendita fondiaria erroneamente risultante da tale iscrizione l’idoneità ad esprimere la potenzialità reddituale derivante dallo sfruttamento dei terreni stessi per una finalità estrattiva di natura esclusivamente industriale (Cass., Sez. V, n. 12774 del 19 ottobre 2001).

Pertanto, i terreni sfruttati come cave devono essere valutati con il metodo del valore venale – D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 1 – e non mediante utilizzo del metodo di valutazione automatica, in base alla rendita catastale – D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4) e D.P.R. n. 12774 del 2001 (“la eventuale indebita iscrizione delle aree nel catasto terreni non può valere a ravvisare nella rendita fondiaria erroneamente risultante da tale iscrizione l’idoneità ad esprimere la potenzialità reddituale derivante dallo sfruttamento dei terreni stessi per una finalità estrattiva di natura esclusivamente industriale”; Cass. n. 14403 del 2010).

Come riferito dalla stessa ricorrente, il terreno in questione ha destinazione estrattiva e ciò trova riscontro anche sul piano fattuale, vertendosi di cava debitamente autorizzata. Sulla base di questa destinazione urbanistica, il terreno è dunque suscettivo di potenzialità edificatoria, ancorché limitata perché strumentalmente finalizzata all’attività estrattiva. Ricorre pertanto, esattamente in termini, quanto stabilito da Cass. n. 14409 del 09/06/2017, Cass. n. 3267 del 2019 secondo cui: “ove l’area sia adibita ad attività estrattiva secondo il regolamento urbanistico e suscettibile, in conformità allo stesso, di edificazione, ancorché limitata alla realizzazione di fabbricati strumentali, la base imponibile deve essere determinata avendo riguardo al valore venale”. Si è in particolare osservato, in motivazione, che: “l’area di cui si tratta, seppure è adibita ad attività estrattiva secondo lo strumento urbanistico, il che induce ad escludere la sua natura agricola ai fini della determinazione della base imponibile, è altresì suscettibile di edificazione, ancorché limitata alla realizzazione di fabbricati strumentali, così come indicato dalla ricorrente nel ricorso. Ciò fa sì che il terreno debba essere qualificato come edificabile ai fini dell’Ici e che la base imponibile debba essere determinata sulla base del valore venale”.

Non vi sono ragioni per discostarsi da tale indirizzo, volto ad escludere che terreni urbanisticamente destinati allo svolgimento di attività industriale quale quella in esame possano considerarsi – ai fini del tributo in oggetto agricoli. L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio.

La circostanza che le cave possano produrre reddito esula dalla questione sottoposta all’esame della Corte, atteso che pur non essendo soggetto alla stima fondiaria, le cave in quanto edificabili vanno valutate secondo il valore in comune commercio.

Si e’, altresì, precisato, in una siffatta prospettiva, che, ai fini dell’ICI, il “presupposto dell’imposizione è che ogni area sia suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito”, così considerandosi tassabili (anche) le aree scoperte (qui con riferimento ad aree portuali) in quanto rispondenti alla nozione di fabbricato (Cass., 17 aprile 2019, n. 10674; Cass., 12 aprile 2019, n. 10287; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 13 febbraio 2019, n. 4221; Cass., 22 agosto 2017, n. 20259; Cass., 20 aprile 2017, n. 10031); e, con riferimento ai presupposti dell’inventariazione catastale, si e’, in effetti rimarcata la riferibilità della relativa disciplina “non al fabbricato in quanto tale, bensì alla nozione di unità immobiliare urbana (UIU); a sua volta rapportata ad una componente immobiliare (rilevante ex art. 812 c.c.) suscettibile di autonoma funzionalità e redditività.” (Cass., 23 maggio 2018, n. 12741), avuto, dunque, riguardo, in particolare, ai dati di regolazione desumibili dal R.D.l. 13 aprile 1939, n. 652, art. 5, conv. in L. 11 agosto 1939, n. 1249 (secondo il quale costituisce unità immobiliare urbana “ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio.”) e dal D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, art. 2 (alla cui stregua l’unità immobiliare “e’ costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.”; v., altresì, Corte Cost., 20 maggio 2008, n. 162, quanto alla nozione di immobile per incorporazione, ai sensi dell’art. 812 c.c., ed alle conseguenti implicazioni sul piano della disciplina catastale).

Ciò che ha rilevanza non e’, pertanto, che il bene sia stato, in concreto, destinato a cava e ad attività di estrazione, ma la potenzialità edificatoria del terreno (Cass. n. 14409/2017; conf. Sez. 5, Sentenza n. 31079 del 28/11/2019).

Nella specie, quindi, il giudice di appello ha fatto malgoverno del principio enunciato, ritenendo che le aree libere da manufatti possano essere esenti da imposizione.

A volere ritenere diversamente si introdurrebbe nell’ordinamento un’ipotesi di esenzione dall’imposta non prevista dalla legge, attività preclusa all’organo giudicante stante la tassatività dei casi di esenzione (così Cass. 7991 del 2019, non massimata).

Ne consegue l’accoglimento del ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, il rigetto dell’originario ricorso introduttivo.

Le spese dei precedenti gradi di giudizio vengono compensate, tenuto conto del consolidarsi della giurisprudenza di questa Corte sulla specifica questione solo a partire dal 2017 e, quindi, in epoca successiva alla proposizione del presente ricorso, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte.

– Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente;

– compensa per intero le spese relative ai gradi di merito e condanna la resistente al rimborso delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 3 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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