Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1031 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9045/2013 R.G. proposto da:

P.P., in proprio e quale legale rappresentante della QI Immobilien und Mobilien GMBH, società di diritto austriaco, rappresentato e difeso dall’avv. Franco Giunchi e Gabriele Pafundi, nel domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, alla via Giulio Cesare, n. 14;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– intimata –

Per la revocazione dell’ordinanza n. 5022/2012 (ric. r.g.n. 23455/2010, adottata ex art. 375 c.p.c., dalla VI sez. di questa Corte in data 6 marzo 2012 e depositata il 28 marzo 2012 e per la sottostante cassazione della sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale per il Friuli-Venezia-Giulia, n. 94/11/2009, pronunciata il 24 giugno 2009 e depositata il 7 ottobre 2009, non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 07 dicembre 2021 dal Co: Marcello M. Fracanzani;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Basile Tommaso, ribadite in sede di pubblica udienza partecipata, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

sentito l’avv. Franco Giunchi e l’avv. Gabriele Pafundi per la parte privata.

FATTI DI CAUSA

1. Il ricorrente afferma di essere legale rappresentante di società immobiliare di diritto austriaco, dotata di stabile organizzazione in Italia per avervi nominato un rappresentante fiscale, acquistato immobili, gestito la costruzione di un fabbricato, munendosi di regolare titolo edilizio, tenuto aperto un cantiere per oltre 12 mesi e coordinato l’attività di più imprese, avendo poi aperto un ufficio vendite delle unità immobiliari così realizzate, cui aveva applicato l’Iva all’atto di vendita che intendeva detrarre, mentre l’Ufficio con plurimi avvisi di accertamento aveva ripreso a tassazione la detrazione Iva sulle predette vendite, assumendo trattarsi di soggetto privo di stabile organizzazione in Italia, senza partita Iva ed ignoto alla CCIAA di Udine.

2. Il giudizio di primo grado esitava in favore del contribuente, annullando i provvedimenti impositivi, tuttavia il giudizio di appello aveva diversa sorte, donde la parte privata ricorreva per cassazione affidandosi a quattro motivi e depositando memoria in prossimità dell’udienza camerale fissata avanti la VI sezione si questa Corte che rigettava il ricorso con ordinanza n. 5022/2012, pronunciata ex art. 375 codice di rito civile, e depositata il 28 marzo 2012, di cui si chiede qui la revocazione ex art. 395, n. 4, per essere stata pronunciata: a) senza considerare la memoria depositata, anzi, dando atto che non fosse stata depositata alcuna memoria; b) senza esaminare il 4 motivo di ricorso, relativo alla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17,19, e 38.

Viene poi chiesta la decisione nel merito con l’accoglimento del ricorso originario.

E’ rimasta intimata l’Avvocatura dello Stato, mentre la parte contribuente ha depositato memoria in vista dell’adunanza camerale del 18 dicembre 2019, all’esito della quale il Collegio ha ritenuto non manifestamente infondata la domanda di revocazione e rinviato con ordinanza alla trattazione in pubblica udienza.

In prossimità dell’odierna pubblica udienza la parte contribuente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

O Vengono proposti due motivi di ricorso per revocazione che possono essere trattati congiuntamente.

Viene proposta istanza di revocazione ex art. 395 codice di procedura civile, comma 4, per errore percettivo, avendo omesso di esaminare un motivo di ricorso ed omesso di considerare una memoria.

Dall’esame dell’ordinanza emerge darsi atto non essere stata depositata memoria e che i motivi di ricorso sono tre e tali vengono esaminati; non si può ritenere implicitamente assorbito il quarto motivo, perché attinente a profili affatto diversi dagli altri tre che non esplicano valenza pregiudiziale nel rigetto.

L’orientamento di questa Suprema Corte è nel ritenere errore di fatto revocatorio rilevante l’aver pronunciato senza considerare uno scritto difensivo (memoria) ma purché se ne dimostri l’essenzialità talché l’esito del giudizio sarebbe stato diverso (In tema di revocazione delle pronunzie della Corte di cassazione, l’omesso esame di una memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c., può costituire errore di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., soltanto quando la parte ricorrente dimostri, oltre alla mancata considerazione dello scritto difensivo, anche la decisività di quest’ultimo ai fini dell’adozione di una statuizione diversa, nel senso che occorre che nella decisione impugnata emerga un’insanabile illogicità o incongruenza con un elemento di fatto evidenziato nella memoria, in ipotesi per neutralizzare un rilievo imprevedibilmente sollevato dal giudice con la relazione preliminare ovvero dedotto in controricorso (Cfr. Cass. II, n. 22561/2016 – Pres. Petitti, Rel. D’Ascola). Tale prova non fornisce il ricorrente, sicché il primo profilo risulta infondato.

Non di meno, è ritenuto errore revocatorio il mancato esame di un motivo (Cfr. Cass. I, n. 26301/2018 – Pres. De Chiara, Rel. Falabella, Cass. S.U., n. 31032/2019) e tale circostanza è di immediata percezione allo stato degli atti, come riportati nel ricorso ai fini dell’autosufficienza del motivo e risultanti dagli atti regolamentari.

Il ricorso per revocazione è quindi fondato e merita accoglimento.

Donde si può esaminare il merito del ricorso per cassazione iscritto al r.g.n. 23455/2010 e delibato dalla VI Sezione il 6 marzo 2012.

Vengono proposti quattro motivi di ricorso e l’Ufficio ha spiegato controricorso, cui la parte privata replica con memoria, illustrandone ulteriormente il fondamento con la memoria depositata in prossimità dell’odierna udienza.

1.1 Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360, n. 3, per violazione della Convenzione Italia – Austria 29 giugno 1981, art. 5, recepita con la L. n. 762 del 1984, del D.P.R. n. 917 del 1876, art. 162, del mod. OCSE, art. 5, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3, art. 10, punto 8 bis), art. 19, e art. 19 bis 1, lett. i), nella sostanza affermando che la mancata iscrizione alla CCIAA (di Udine) costituisce carattere meramente formale, tale da non impedire la detrazione dell’Iva, rappresentando che l’iscrizione vi è stata quando è stato aperto l’ufficio vendite.

Il tema controverso è la presenza o meno di una stabile struttura organizzata nel territorio dello Stato, segnalando che un cantiere vi sarebbe stato, per un tempo ben superiore ai tre mesi richiesti dalla norma vigente ratione temporis, senza considerare altresì l’attività di vigilanza e direzione del cantiere, pur affidato ad altra ditta edile. Donde la censura di violazione di legge.

1.2 Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ex art. 360, n. 3, per violazione della Convenzione Italia – Austria 29 giugno 1981, art. 5, recepita con la L. n. 762 del 1984, del D.P.R. n. 917 del 1876, art. 162, del mod. OCSE, art. 5, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3, art. 10, punto 8 bis), art. 19, e art. 19 bis 1, lett. i), nella sostanza lamentando l’errore della gravata sentenza ove ha ritenuto che la ricorrente soc. QI si sarebbe limitata ad appaltare i lavori ad un’unica impresa, la Edildri, viceversa chiamata solo per le opere murarie, altri lavori essendo eseguiti direttamente dalla QI tramite il proprio direttore dei lavori, di cui sono state prodotte le fatture.

2 I due motivi, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente.

E’ appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).

Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).

Ne’ il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).

I motivi si riducono ad una richiesta di rivalutazione del merito nel bilanciamento probatorio, il cui ingresso resta sbarrato presso questa Corte Suprema di legittimità, per cui i primi due motivi debbono essere dichiarati inammissibili.

3 Con il terzo motivo si prospetta illogicità e carenza della motivazione circa un fatto decisivo, verosimilmente in richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 5, laddove ai fini di stabilire la stabile organizzazione in Italia di QI dovrebbe essere irrilevante che la società straniera non abbia svolto altre operazioni Italia, mentre la costruzione dell’immobile -poi venduto in regime Iva- avrebbe richiesto vari anni.

Come affermato da questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – nel testo antecedente alla modifica disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, e quindi applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata antecedentemente alla data del 11 settembre 2012 – deve essere dedotto mediante esposizione chiara e precisa del fatto controverso e delle ragioni specifiche per cui la motivazione deve essere ritenuta insufficiente. Peraltro, il fatto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve concretarsi in un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso. E di tale fatto deve essere indicata anche la natura “decisiva” ai fini del decidere (Cass., Sez. V, n. 16655/2011).

Prima ancora per queste ragioni e per tradursi nuovamente in una richiesta di rivalutazione del merito, il motivo dev’essere dichiarato inammissibile per difetto di completezza.

Ed infatti, ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere (…) pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (art. 111 Cost., comma 2, e art. 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (cfr. Cass. V, n. 8425/2020).

Anche il terzo motivo è quindi inammissibile.

4 Con il quarto motivo si prospetta nuovamente censura ex art. 360, n. 3, per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17, 19 e 38 ter, e dell’art. 2507 c.c., per non aver consentito la detrazione Iva sulle spese di acquisto e costruzione dell’immobile, pur trattandosi di attività statutaria di un soggetto economico con sede in un Paese dell’Unione Europea che ha indicato un rappresentante fiscale in Italia.

Si perita di ricordare aver acquisito nel 1999 in agro di Pozzuolo del Friuli un terreno con edifico in costruzione, danneggiato dagli allagamenti del 1998, di averlo completato nel 2005, di aver nominato come rappresentante legale in Italia il sig. B.C., aver aperto un ufficio vendite in quel di *****, alla via *****, poi chiuso a domanda ai primi del 2006, di aver venduto l’immobile assoggettando ad Iva. Lamenta che l’Ufficio abbia contestato il motivo come introduzione di nuove circostanze.

Il motivo è inammissibile, per quanto risulta a pag. 8 del ricorso per cassazione (ripreso altresì a pag. 17 del ricorso per revocazione) che la CTR ha motivato sul fatto che Q.I. non avrebbe fatto direttamente i lavori, ma li avrebbe subappaltati, dimenticando che nel certificato di collaudo viene sempre indicata una sola impresa, quella che ha consegnato i blocchetti – campioni per il collaudo e che ha effettuato i getti di cemento armato, confondendo il ruolo della Edildri come unica impresa ad eseguire l’opera, mentre ha eseguito le sole opere murarie.

Il motivo non si riduce a chiedere nuova rivalutazione del merito sul bilanciamento dell’apporto probatorio, bensì si incentra sull’individuazione del perimetro normativo caratterizzante la presenza di una stabile organizzazione in Italia, non tanto ai fini delle imposte dirette, bensì ai fini dei tributi armonizzati, segnatamente l’Iva.

Ed infatti, in forza della c.d. “sesta Dir.” (n. 77/388 CEE), gli elementi caratterizzanti la stabile organizzazione a fini Iva debbono essere interpretati guardando alla complessità organizzativa dell’operazione in rapporto alla pluralità di negozi giuridici, considerando la singola tipologia merceologica o imprenditoriale per valutarne la coerenza con l’attività statutaria o caratterizzante. Più in particolare si è sostenuto che in materia di IVA, è soggetto passivo la stabile organizzazione in Italia di soggetto domiciliato e residente all’estero, tale essendo qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica della casa madre di cui al Reg. UE n. 282/11, art. 10, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e da una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentire di ricevere e utilizzare i servizi che le sono forniti per le proprie esigenze, rilevando ai fini dell’autonoma soggettività fiscale di diritto interno in relazione al soggetto non residente che la succursale possa essere considerata autonoma, nel senso che sopporta il rischio economico inerente alla propria attività, a prescindere dal fatto che sia o meno dotata di personalità giuridica in Italia (Cfr. Cass. V, n. 22312/2021).

Altresì, è stato rilevato che in materia d’IVA, il diritto al rimborso in favore di soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri UE senza stabile organizzazione in Italia, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-ter (nel testo “ratione temporis” applicabile), non può essere negato qualora i suddetti soggetti abbiano nominato un rappresentate fiscale, pur non potendo equipararsi la nomina del rappresentante fiscale ad un “centro di attività stabile” presso lo Stato ove sia avvenuta la nomina (cfr. Cass. V, n. 21684/2020).

Il ricorso è quindi fondato, la sentenza cassata con rinvio al giudice di merito che deciderà anche sulle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per revocazione e, pronunciando sull’originario ricorso per cassazione, lo accoglie per le ragioni attinte dal quarto motivo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR per il Friuli Venezia Giulia, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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