Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1036 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18890/2015 R.G. proposto da:

D.M. ITALY S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difesa dall’Avv. Sara Armella, e dall’Avv. Marina Milli, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Marianna Dionigi n. 29;

– ricorrente –

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. 131/42/2015 depositata il 21 gennaio 2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 25 maggio 2021 dal consigliere Pierpaolo Gori.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 131/42/15 depositata in data 21 gennaio 2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello principale della società D.M. Italy S.r.l. e quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 494/41/13 della Commissione tributaria provinciale di Milano, relativa ad avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA 2007 emesso nei confronti della contribuente, in relazione a rilievi per costi ritenuti in-deducibili perché non di competenza o non documentati e per ricavi non dichiarati.

2. La CTR, disattesa preliminarmente – tra l’altro – la doglianza relativa alla sottoscrizione dell’avviso impugnato da parte di persona diversa dal capo dell’ufficio, nel merito non condivideva che in parte la decisione del giudice di prime cure, il quale aveva parzialmente accolto il ricorso della società e, per l’effetto, rideterminava l’entità delle riprese.

3. Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo un unico motivo, che illustra con memoria, cui replica l’Agenzia delle Entrate depositando controricorso.

CONSIDERATO

che:

4. Con l’unico motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 commi 1 e 3, per aver la CTR ritenuto che l’Amministrazione avesse dimostrato che l’atto di accertamento impugnato fosse ascrivibile ad idoneo soggetto sottoscrittore delegato, ossia il direttore dell’Ufficio o un impiegato della carriera direttiva munito di apposita delega.

5. Il motivo è inammissibile. Va reiterato che “In tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le “rationes decidendi” rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa” (Cass. 11 gennaio 2007 n. 389; successive conformi, Cass. Sez. Un. 29 marzo 2013 n. 7931; Cass. 4 marzo 2016 n. 4293).

6. Orbene, nel caso di specie la CTR ha dismesso la doglianza della contribuente sulla sottoscrizione dell’atto impositivo esprimendo due distinte rationes decidendi e, prima ancora di ritenerla infondata, ha ritenuto in via preliminare a pagina 3 della sentenza impugnata che le ragioni poste dalla società a fondamento della doglianza fossero nuove “sotto l’aspetto della titolarità esclusiva da parte del direttore del potere di rappresentanza dell’Ufficio, deducendo con l’atto di appello la mancata dimostrazione sia del possesso di delega da parte del Capo Ufficio Controlli sia dell’appartenenza di questi alla carriera direttiva dell’Amministrazione finanziaria”.

7. Il giudice d’appello ha accertato che il fondamento della questione avanti a lui prospettato era diverso da quello posto alla base del motivo di ricorso in primo grado e che dunque quello espresso avanti al giudice d’appello doveva considerarsi “motivo nuovo”. La CTR ha così espresso una concorrente ratio decidendi nella quale ha messo in dubbio ai fini del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, la proponibilità stessa della censura in appello, ratio che non è stata impugnata dalla ricorrente per Cassazione.

8. Peraltro la contribuente, non solo non ha formulato un motivo di ricorso specifico al fine di contrastare tale accertamento del giudice d’appello, ma, nell’articolare il suo unico motivo di ricorso con riferimento all’assenza dei requisiti in concreto per la validità della delega, non ha nemmeno riprodotto con compiuta autosufficienza il pertinente passaggio dell’atto introduttivo di primo grado in cui avrebbe sollevato tale aspetto di censura, ritenuto motivo nuovo dalla CTR.

9. Dalla mancata impugnazione della concorrente ratio decidendi e assenza di specificità del motivo discende l’inammissibilità del ricorso e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 3.500,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

Si dà atto del fatto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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