Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1048 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10164/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, nel suo domicilio in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Barberini s.p.a. nonché Illva Saronno Holding s.p.a., entrambe in persona del legale rappresentante p.t., entrambe rappresentate e difese dall’avv. Marco Giontella, con domicilio presso il suo studio in Roma, via Cardinal De Luca n. 10;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia-Milano, n. 1098/06/16 pronunciata il 18 ottobre 2016 e depositata il 18 novembre 2016, non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 novembre 2021 dal Cons. Marcello M. Fracanzani;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Locatelli Giuseppe che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

nessuno comparso per le parti, non essendo stata proposta istanza di discussione.

FATTI DI CAUSA

Le società contribuenti, rispettivamente consolidante e consolidata, reagivano alla ripresa a tassazione per l’anno 2009, assunta in forza di avviso di accertamento su p.v.c. formato a seguito di verifica generale sulla consolidata, operante nel settore delle lenti ottiche, ove veniva disconosciuta la deduzione di costi per acquisti di lenti semilavorate oftalmiche da imprese aventi sede in Paesi a fiscalità privilegiata (c.d. black list), nel particolare trattandosi di impresa con base in *****.

Reagivano le contribuenti invocando le esimenti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11, e peritandosi di dimostrarle entrambe, pur essendo fra loro alternative: l’effettiva operatività dell’impresa straniera (tale cioè da non essere un semplice medio atto all’interposizione fittizia o funzionale ad operazioni inesistenti) ed il carattere imprenditoriale ovvero l’utilità economica dell’operazione. Per un verso, infatti, dimostrava l’effettiva provenienza delle lenti, per l’altro affermava a convenienza del prodotto cinese a parità di qualità, in un periodo in cui la Barberini s.p.a. non era in grado di soddisfare la domanda.

Le ragioni rigettate in primo grado trovavano apprezzamento dal giudice d’appello, donde ricorre per cassazione l’Ufficio, affidandosi a due motivi di ricorso, cui replicano le società contribuenti con unico tempestivo controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti due motivi di ricorso.

Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 2728 e 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11, nella sostanza affermando errata la gravata sentenza per aver ritenuto provata l’attività commerciale prevalente ed effettiva da parte dell’impresa sita in Paese black Iist.

Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 2728 e 2697 c.c., nonché al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11, nella sostanza affermando errata la gravata sentenza per aver ritenuto provata l’esistenza dell’interesse economico effettivo e della concreta esecuzione dell’operazione contestata.

I due motivi possono essere trattati insieme, stante la loro evidente connessione, riguardando i due profili – alternativi – che debbono essere provati dalla contribuente per beneficiare dell’esimente dalla rigorosa disciplina black list.

L’Ufficio prospetta la violazione dell’art. 110 TUIR, comma 11, per non aver la CTR verificato la sussistenza di entrambe le esimenti ivi previste. In particolare, con specifico riguardo ad alcune operazioni intercorse con soggetti residenti ad ***** ed al fine di escludere la deducibilità dei costi ad esse relativi, la CTR avrebbe dovuto vagliare l’insussistenza delle esimenti previste dall’art. 110 TUIR, succitato comma 11, essendo esse previste dalla norma, nel testo allora applicabile, in via alternativa e non cumulativa.

L’art. 110 TUIR, commi 10 e 11, prevede infatti che “10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti” e “11. Le disposizioni di cui al comma 10, non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 10, è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti”.

Orbene, dalla lettura della sentenza impugnata si evince che la CTR abbia valutato tanto la prova che l’impresa estera svolga prevalentemente un’attività commerciale effettiva, quanto abbia accertato che “le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”, essendosi il Collegio di secondo grado peritato di vagliare utilità e realtà dell’operazione, oltre all’effettività e piena operatività dell’impresa di *****, secondo quanto richiesto da questa Corte (cfr. Cass., V, n. 14573 del 2020).

La C.T.R. ha correttamente premesso, in diritto, che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11, prevede che il divieto di deduzioni di costi afferenti ad operazioni commerciali intercorse con imprese aventi sede in Paesi compresi nella “black-list” può essere superando dimostrando la sussistenza di due condizioni alternative, e non cumulative, nel senso che la dimostrazione di ciascuna di esse consente la disapplicazione della norma sulla indeducibilità dei costi “black-list” stabilita dall’art. 110, comma 10.

Con argomentato giudizio in fatto la C.T.R. ha rilevato la sussistenza di entrambe le condizioni che legittimano la deduzione dei costi “black list a) dalla documentazione relativa alla precedente identica contestazione, inerente l’anno di imposta 2004, prodotta dalla ricorrente anche nel presente giudizio, risultava accertato che la società produttrice delle lenti grezze con sede in Cina e la società di commercializzazione con sede ad ***** svolgevano effettivamente l’attività commerciale di produzione e vendita di lenti grezze, non potendosi considerare meri soggetti interposti; nel presente giudizio la contribuente ha inoltre dimostrato la sussistenza di un effettivo interesse economico al compimento di quell’operazione, poiché la quantità delle lenti prodotte direttamente dalla consolidata Barberini spa erano insufficienti a soddisfare la domanda ed avevano un costo superiore a quello di acquisto di lenti della medesima qualità prodotte in Cina.

E’ appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).

Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).

Ne’ il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).

Riducendosi ad una sostanziale richiesta di rivalutazione del merito o del bilanciamento dell’apporto probatorio, il ricorso erariale si dimostra inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile, condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro settemila/00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella rrijsura del 15%, oltre ad Iva e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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