LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18616/2016 proposto da:
CITTA’ METROPOLITANA VENEZIA, in persona del Sindaco Metropolitano pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIA 88, presso lo studio dell’avvocato STEFANO VINTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTA BRUSEGAN, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
C.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 280/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 15/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2021 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
PREMESSO Che:
1. Con ricorso della L. n. 689 del 1981, ex art. 22, C.M. proponeva opposizione avverso l’ordinanza n. 75655/2006, con cui la Provincia di Venezia gli aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 490.351,23 per avere scavato e asportato abusivamente 74.518 metri quadrati di terreno sabbioso.
Il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 1933/2012, accoglieva l’opposizione e annullava l’ordinanza opposta, ritenendo che la Provincia avesse notificato il verbale di accertamento oltre il termine di novanta giorni dalla prima ispezione.
2. Avverso tale sentenza proponeva appello la Provincia di Venezia. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 15 febbraio 2016, n. 280, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.
3. Contro la sentenza ricorre per cassazione la Città Metropolitana di Venezia, già Provincia di Venezia.
L’intimato C.M. non ha proposto difese.
La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..
Con ordinanza interlocutoria n. 16543/2020 questa Corte, rilevato che la decisione del primo motivo di ricorso presuppone l’esame degli atti dei precedenti gradi del processo e in particolare del ricorso introduttivo del giudizio di opposizione, ricorso che non era presente tra gli atti consultabili, ha disposto l’acquisizione dei fascicoli d’ufficio dei due gradi di merito.
CONSIDERATO
Che:
I. Il ricorso è articolato in due motivi.
1) Il primo motivo contesta “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine alla mancata eccezione di tardività di cui della L. n. 689 del 1981, art. 14”, per avere la Corte d’appello “inspiegabilmente” rigettato l’eccezione di ultrapetizione fatta valere dalla ricorrente, volta a denunciare come il Tribunale avesse dichiarato la tardività della notificazione dell’accertamento in assenza della formulazione della relativa eccezione nel ricorso dell’opponente.
Il motivo è fondato. La Corte d’appello, nell’esaminare il primo motivo di gravame, ha anzitutto affermato che la tardività della notificazione dell’accertamento è stata correttamente rilevata d’ufficio “visto che nello speciale procedimento della L. n. 689 del 1981, ex art. 22, non sono previste preclusioni e decadenze processuali proprie dell’ordinario processo civile e che, come ritenuto in giurisprudenza, la violazione amministrativa, anche se in astratto sussistente, non può comportare, in concreto, l’applicazione della sanzione, ove il relativo verbale risulti, come nel caso, comunicato al trasgressore oltre il termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, che è di natura perentoria”. L’affermazione è errata: secondo le sezioni unite di questa Corte (v. la pronuncia n. 3271 del 1990) il giudizio di opposizione è strutturato in conformità del modello di processo civile e risponde alle regole della domanda (art. 90 c.p.c.) e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del divieto della pronuncia d’ufficio su eccezioni esclusivamente rimesse all’iniziativa della parte (art. 112). Come ha precisato Cass. n. 9387/2002, ai “principi suddetti, segnatamente al divieto di superare i limiti della domanda e di pronunciare d’ufficio su eccezioni rimesse alla disponibilità della parte, non si sottrae il motivo fondato sulla eventuale tardività della contestazione alla quale consegue ex lege, secondo il disposto della L. n. 689 del 1981, art. 14, l’estinzione dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione, configurandosi tale motivo alla stregua di una eccezione in senso stretto, cosicché la tardività della contestazione e la conseguente estinzione dell’obbligazione non possono essere rilevate e dichiarate dal giudice d’ufficio”.
Nel caso di specie un motivo in tal senso non fu proposto dall’opponente. Al riguardo la Corte d’appello ha sostenuto che “l’eccezione di decadenza risulta in effetti proposta da C. nel ricorso introduttivo, ove egli aveva lamentato, nella sostanza, di avere ignorato il contenuto degli accertamenti eseguiti per non essergli stato comunicato il loro esito; invero – ha proseguito la Corte d’appello – il giudice è sempre tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa e delle difese svolte, al di là di non richieste formule sacramentali”. L’affermazione del giudice d’appello non può essere condivisa. Se è vero che va evitato un approccio meramente formalistico, non può ravvisarsi nei motivi di opposizione fatti valere da C. la denuncia della tardività della notificazione del verbale di accertamento della violazione: alla parte rubricata “nel merito” (ove si deduce che nel caso di specie non vi era stata attività di cava, ma semplice movimentazione del terreno e si contestano le modalità di svolgimento dei sopralluoghi e si precisa che l’onere della prova spettava alla Provincia, contestando il quantum della sanzione) segue una parte intitolata “vizi formali dell’ordinanza ingiunzione”, ove si deducono vizi relativi ai due sopralluoghi e all’ordinanza ingiunzione, ma non si fa cenno alcuno alla violazione del termine di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14 (v. pagg. 10-18 del ricorso).
2) L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, che denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, in relazione al computo del termine di novanta giorni ivi previsto”, per non avere la Corte d’appello fatto decorrere tale termine dal momento in cui l’accertamento della violazione era divenuto definitivo.
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Venezia; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 23 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022