Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1062 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29058/2016 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALPOLICELLA 12, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PROVINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO GALLIMBERTI;

– ricorrente –

contro

M.M., M.A., S.M.A. (DECEDUTA), P.A., PO.GI., PO.UB., PO.AL., PO.MA.TE., PO.AM. (DECEDUTA), G.S., G.L., G.E., GA.EU., OPERA PROVVIDENZA S. ANTONIO, PARROCCHIA S. BELLINO VESCOVO E MARTIRE, ASSOCIAZIONE CASA DEL FANCIULLO ONLUS, MA.FR., MA.RO., B.L., m.s.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1414/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/10/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

lette le conclusioni del Procuratore Generale Dott. Tommaso Basile, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia ha definito la causa ereditaria derivante dalla successione di Ma.An., la quale ha disposto dei propri beni con testamento, lasciando, in aggiunta alla quota di riserva, alla figlia N., già donataria di un immobile, la disponibile e agli altri figli E. a M. la sola legittima. Nel testamento la testatrice aveva previsto che fossero rimborsate a N. le spese sostenute per la casa di S. Anna e per la stessa testatrice.

La causa, iniziata dagli eredi di E. e M. nei confronti di N., è poi proseguita nei confronti dell’erede di lei M.A..

La Corte d’appello ha confermato le sentenze di primo grado, definitiva e non definitiva, che avevano recepito uno dei progetti predisposti dal consulente tecnico; in base al progetto fatto proprio dal Tribunale il bene donato era imputato nella quota di M.A., quale erede della donataria; la stessa Corte ha ritenuto tardiva l’eccezione di prescrizione dell’azione di riduzione proposta dall’appellante M.A.; ha negato il rimborso delle somme previsto dalla testatrice in favore di N..

Per la cassazione della sentenza M.A. ha proposto ricorso, affidato a otto motivi.

In prossimità dell’udienza camerale il ricorrente ha depositato memoria. La causa è stata rinviata a nuovo ruolo per la rinnovazione della notificazione nei confronti di alcuni degli intimati.

Quindi è stata nuovamente fissata in pubblica udienza, in vista della quale il ricorrente ha depositato ulteriore memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte d’appello ha confermato sia la sentenza non definitiva del Tribunale n. 185 del 2007, sia la sentenza definitiva n. 1419 del 2012, che contenevano statuizione fra loro contraddittorie. La contraddizione è ravvisata in ciò: che la sentenza non definitiva aveva approvato il progetto sub 3, compreso quello relativo alla collazione per imputazione della donazione ricevuta da N.; aveva inoltre ordinato la prosecuzione del giudizio per il frazionamento, la determinazione dei conguagli e l’accertamento dei debiti e crediti ereditari. La sentenza definitiva ha poi fatto proprio il progetto sub 3 predisposto dal consulente, che però non applica la collazione per imputazione, ma considera il bene donato alla stregua di un bene oggetto di comunione, come se questo fosse stato conferito in natura. Inoltre, la sentenza definitiva non ha considerato i debiti e i crediti, menzionati nella sentenza non definitiva.

Il motivo è inammissibile. Già sulla base delle indicazioni fornite dal ricorrente nella esposizione della censura non emerge alcun contrasto fra le due sentenze. Sia la sentenza non definitiva, sia la sentenza definitiva si riferiscono al progetto sub 3 del consulente tecnico, nel quale il bene donato è imputato nella quota del donatario per il valore attuale. Il procedimento seguito dalla due sentenze, come si vedrà, è errato; tuttavia, sulla base delle enunciazione indicate con il motivo, non è dato sapere se, effettivamente, il tribunale, con la sentenza non definitiva, nonostante il riferimento al progetto sub 3 (lo stesso poi approvato con la sentenza definitiva), avesse stabilito che la collazione per imputazione dovesse farsi per il valore al tempo della morte del donante.

Lo stesso dicasi per quanto riguarda i rapporti di debito fra i coeredi. Dal ricorso risulta che la sentenza non definitiva aveva disposto la prosecuzione della causa per questo aspetto. Il che non vuol dire necessariamente, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, che il Tribunale avesse già accertato la sussistenza dei rapporti obbligatori fra coeredi e avesse rimesso al seguito solo la quantificazione e le operazioni di liquidazione. Quindi, nel momento in cui il Tribunale, con la sentenza definitiva, ha negato l’esistenza dei crediti in favore di N. non è incorso nella violazione delle statuizioni della sentenza non definitiva.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di prescrizione decennale del diritto dei coeredi di chiedere “la collazione della donazione eccedente la quota testamentaria”.

La Corte d’appello non avrebbe considerato che la rinuncia all’azione di riduzione può essere fatta anche tacitamente. Si legge testualmente nel ricorso: “(…) infatti, solo nel 2004, l’arch. M. scopri che nella causa di divisione avanti il Tribunale di Padova promossa da Po.Au. e M.A. contro M.N., essi rinunciarono a chiedere la collazione mentre i restanti tre eredi di M.M., rimasti contumaci, con la loro inattività rinunciarono all’azione di riduzione”.

Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha riconosciuto che l’eccezione di prescrizione dell’azione di riduzione fosse stata proposta tardivamente; in relazione a tale ratio decidendi il ricorrente oppone di avere saputo solo in un secondo tempo che i coeredi avevano espressamente o tacitamente rinunciato a chiedere la collazione. E’ ovvio che il ricorrente, sulla scia della sentenza impugnata, considera la riduzione e la collazione, riferiti a una medesima donazione, come se fossero la stessa cosa, mentre i due istituti, benché entrambi si riferiscano alle donazioni, sono diversi (Cass. n. 28196/2021). Senza che sia necessaria indugiare oltre su questo punto, è sufficiente rilevare in estrema sintesi che, nel caso in esame, risulta univocamente dagli atti che i coeredi chiesero la collazione della donazione ricevuta da N., non la riduzione della stessa donazione. Il diritto di chiedere la collazione, diversamente da quello di domandare la riduzione, partecipa della imprescrittibilità che la legge prevede per l’azione di divisione (Cass. n. 726/1979; n. 11831/1992). In quanto al fatto che i coeredi avrebbe rinunciato a chiedere la collazione, la relativa deduzione introduce un argomento di cui non c’e’ menzione nella sentenza impugnata, né il ricorrente chiarisce se e in che termini la questione fu sottoposta all’attenzione della Corte d’appello, conseguendone pertanto l’inammissibilità della relativa censura (Cass. n. 20694/2018; n. 15430/2018).

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione delle norme sulla collazione per imputazione, richiamate dalla Corte d’appello, ma poi non applicate. Si evidenzia che il bene donato è stato imputato nella quota dell’erede della donataria per il valore al tempo della divisione, nonostante il consulente tecnico ne avesse correttamente evidenziato il valore al tempo della morte del donante, calcolando i conguagli su tale valore.

Il motivo è fondato. Il ragionamento, in base al quale Corte d’appello ha disatteso la censura, non sembra cogliere il modo di operare della collazione per imputazione. Il progetto sub 3, approvato dal Tribunale, considerava tutti i beni, relitti e donati, per il valore a tempo delle operazioni divisionali, il che naturalmente è errato, perché, nella collazione per imputazione di un immobile, il bene donato, ex art. 747 c.c., deve essere valutato al tempo della morte del donante (Cass. n. 9177/2018; n. 14553/2004). Ma è altrettanto errato il ragionamento seguito dal ricorrente, il quale pretende di restituire ai coeredi l’eccedenza sulla donazione secondo i valori dell’epoca, concorrendo poi, in ragione della sua quota, sui beni relitti stimati secondo i valori al tempo della divisione.

La collazione per imputazione, infatti, prelude a una operazione diversa, che consta di due fasi: l’addebito del valore dei beni donati, a carico della quota dell’erede donatario, ed il contemporaneo prelevamento di una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi (Cass. n. 2453/1976; n. 28196/2020). Costituisce principio acquisito nella giurisprudenza della Suprema Corte che tanto il bene donato, conferito per imputazione, quanto “i beni che i coeredi non donatari possono prelevare dalla massa ereditaria a seguito della collazione per imputazione effettuata dai coeredi donatari devono essere stimati per il valore che avevano all’epoca dell’apertura della successione e non già al momento della divisione, perché detti prelevamenti, pur costituendo una delle fasi in cui si attua la divisione, non si identificano con le operazioni divisionali vere e proprie, avendo, al pari della collazione, il prevalente scopo di assicurare la parità di trattamento fra coeredi donatari e coeredi non donatari” (Cass. n. 3235/2000; n. 2630/1990; cfr. Cass. n. 27086/2021).

Si impone, pertanto, in relazione a tale motivo la cassazione della sentenza; il giudice di rinvio dovrà operare la collazione per imputazione in base ai principi sopra indicati, procedendo alle relative operazioni, di imputazione e prelevamento, sulla base dell’unitario criterio di stima costituito dal valore dei beni al tempo dell’apertura della successione. L’accoglimento del quarto motivo, comportando la necessità del rifacimento del progetto di divisione, importa l’assorbimento del sesto e del settimo motivo, con i quali si propongono questioni riguardanti la formazione delle parti e la conseguente determinazione dei conguagli.

4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole perché la Corte d’appello non ha riconosciuto il rimborso previsto dal testatore in favore della sua dante causa e il rimborso pro quota delle somme pagate nell’interesse comune dei coeredi per la salvaguardia dei beni ereditari.

Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha riconosciuto che nulla era dovuto essendo la disposizione testamentaria indeterminata, perché cumulava le spese fatte per la defunta e quelle fatte per la casa; ha aggiunto che l’attuale ricorrente aveva tentato di superare l’indeterminatezza, “indicando separatamente in Euro 5.276,12 le prime e in Euro 19.275.14 fatte per la salvaguardia della casa, e rinviando alla documentazione prodotta”.

Ora, come risulta dalla stessa sentenza, l’importo di Euro 5.276,12 trovava la sua giustificazione nel testamento, al quale era seguita una quantificazione operata dalla stessa testatrice con uno scritto successivo, mentre l’ulteriore somma riguardava spese che la coerede assumeva di avere sostenuto a salvaguardia dei beni in comunione dopo l’apertura della successione: quindi, in ipotesi un debito dipendente dalla comunione.

La Corte d’appello ha considerato le une e le altre spese come se il titolo della pretesa fosse costituito dalla disposizione testamentaria. La mancata distinzione finisce per travolgere la decisione assunta sul punto.

5. L’accoglimento del quarto motivo comporta l’assorbimento del quinto motivo, con il quale si censura la decisione per non avere dato corso alle operazioni di prelevamento dipendenti dai rapporti di comunione: la Corte, infatti, ha negato l’esistenza di tali debiti.

E’ assorbito anche l’ottavo motivo sulla liquidazione delle spese.

La sentenza deve essere cassata in relazione al terzo e al quarto motivo, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il terzo e il quarto motivo; rigetta il primo e il secondo; dichiara assorbiti i restanti motivi; rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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