LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22716/2017 proposto da:
S.C., elettivamente domiciliato in Roma, via G. Barracco 5, rappresentato e difeso dall’avv. MASSIMO MENZIONE;
– ricorrente –
contro
S.M.A., rappresentata e difesa dall’avv. PAOLA SCOTTI CAMUZZI;
S.M., rappresentata e difesa dall’avv. FRANCESCO PROCACCINI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2596/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/11/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Napoli, nel giudizio instaurato ex. art. 702-bis c.p.c., da S.M. e S.M.A. nei confronti di S.C. per la divisione di somme liquide derivanti dall’eredità della comune genitrice delle parti in causa C.S.A.M., ha dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale del convenuto, il quale, costituendosi, aveva chiesto che la divisione fosse estesa all’intero compendio ereditario, domanda di divisione a cui le attrici avevano aderito, accompagnando l’adesione con l’indicazione dei beni da dividere e la produzione della documentazione relativa al patrimonio mobiliare e mobiliare della de cuius.
Il Tribunale ha rilevato che la genericità della domanda, in quanto carente della indicazione dei beni, impediva che sulla stessa fosse assunta la decisione nel merito, essendo irrilevante l’adesione dei convenuti.
La Corte d’appello ha confermato la decisione; essa ha argomentato che l’appellante appellate non aveva prodotto nel grado la documentazione prodotta in primo grado dalle controparti, né questa era comunque disponibile agli atti, non essendo rinvenibile nel fascicolo delle appellate nel quale era inserita; ha ancora osservato che l’appellante, sul quale ricadeva l’onere, non aveva supplito alla carenza estraendo copia, ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c., dei documenti prodotti dalle controparti dinanzi al Tribunale.
Per la cassazione della sentenza S.C. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.
S.M.A. e S.M. hanno resistito con distinti controricorsi.
Le controricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 210 c.p.c. e art. 76 disp. att. c.p.c.. La Corte d’appello avrebbe dovuto dare corso all’istanza, contenuta nell’atto di appello, di ordinare l’acquisizione della relazioni notarili e prodotte dalle controparti in primo grado. Si fa notare che le controparti avevano depositato solo una parte del fascicolo di primo grado, proprio con il fine di sottrarre all’appellante la possibilità di avvalersi dei documenti.
Il secondo motivo, proposto in via subordinata per il caso di rigetto del precedente motivo, denuncia violazione dell’art. 713 c.p.c..
La corte d’appello, supposta l’impossibilità di dividere gli immobili, avrebbe comunque dovuto disporre la divisione dei beni mobili. In appello, infatti, era stato depositato nuovamente il verbale di inventario redatto a seguito della richiesta di interdizione della de cuius.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 784 c.p.c..
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che la produzione della documentazione, richiesta dall’art. 567 c.p.c., nel procedimento di espropriazione immobiliare, costituisce adempimento essenziale e indefettibile anche nel giudizio di divisione immobiliare.
E’. fondato il primo motivo. Il principio dell’universalità della divisione, implicitamente sancito dall’art. 727 c.c., importa che la divisione deve condurre al definitivo e completo scioglimento della comunione sull’intero patrimonio comune (Cass. n. 967/1964). Il principio non è assoluto e inderogabile. E’ possibile la divisione parziale sia quando al riguardo intervenga un accordo fra le parti, sia quando, essendo stata chiesta una tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo, a loro volta, la divisione dell’intero asse (Cass. n. 4479/1982; n. 573/2011; n. 6931/2016).
Quando non vi sia stato accordo tra i condividenti per limitare le operazioni divisionali ad una parte soltanto del compendio comune, il giudizio di divisione deve ritenersi instaurato per giungere al completo scioglimento della comunione, previa esatta, individuazione di tutto ciò che ne costituisca oggetto (Cass. n. 796/1964). Tale finalità del giudizio importa, fermo il rispetto delle preclusioni tipiche del normale giudizio di cognizione, che la indicazione dei beni possa essere fatta anche in un secondo tempo, costituendo una tale indicazione una precisazione della domanda (Cass. n. 28272/2018). Va da sé che l’identificazione deve avere puro carattere ricognitivo e documentale, sulla base degli elementi forniti dagli interessati, sui quali ricade il relativo onere secondo le regole generali. E’ certo, d’altra parte, che opera nel giudizio divisorio il divieto di mutatio libelli (Cass. n. 74/1960); così, ad esempio, non si potrà pretendere l’inclusione di beni la cui appartenenza all’asse supponga l’impugnativa di un titolo negoziale posto in essere da de cuius, se una tale domanda non sia stata tempestivamente proposta (Cass. n. 74/1960; n. 14109/2006).
Nel caso in esame, è avvenuto che, proposta una domanda di divisione parziale, il convenuto, costituendosi, ha chiesto la divisione dell’intero asse ereditario, senza contemporaneamente indicare i beni oggetto del compendio ereditario. A causa di questa carenza, la domanda è stata dichiarata inammissibile dal primo giudice, nonostante l’adesione delle attrici.
La corte d’appello, investita dell’impugnazione del convenuto, ha confermato la decisione, in base al rilievo che non era presente agli atti la relazione notarile, già prodotta in primo grado dalle attrici e da costoro non inserita nel fascicolo depositato in appello; relazione ritenuta essenziale per sanare la supposta carenza della domanda.
Ma è chiaro che, ragionando in questi termini, la corte d’appello ha del tutto obliterato che le attrici avevano non solo aderito e fatta propria la domanda riconvenzionale di divisione “universale” proposta dal convenuto; esse avevano inoltre indicato, con la prima memoria depositata nei termini accordati dal giudice ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, i beni comuni, supportando tale precisazione con idonea documentazione. Data la particolare natura della domanda di divisione, che configura una pretesa unitaria e comune a tutti i condividenti (Cass. n. 6387/1980; n. 15504/2018), non ci possono essere dubbi sul fatto che l’indicazione dei cespiti, oggetto del compendio ereditario, può essere fatta da uno qualsiasi dei condividenti, anche se non abbia proposto la domanda. In appello, quindi, la mancanza della relazione notarile poneva, al limite, solo un problema di reiterare il riscontro documentale, già dato in primo grado, di una comune appartenenza pacifica e incontroversa”.
Nel giudizio divisorio la prova della comproprietà, che pure deve essere fornita, non è soggetta a regole particolari, poiché non si tratta di accertare positivamente la proprietà dell’attore negando quella dei convenuti, ma di fare accertare un diritto comune a tutte le parti in causa (Cass. n. 1309/1966). Questa Corte ha recentemente chiarito che la produzione della relazione notarile non condiziona la procedibilità della domanda di divisione (Cass. n. 10067/2020).
Il principio di Cass., S.U. n. 3033 del 2013, sugli oneri imposti all’appellante che voglia giovarsi in appello di un documento prodotto dalla controparte, era del tutto estraneo alla fattispecie sottoposta all’esame del giudice d’appello. Nella situazione sopra descritta, non c’erano ostacoli che impedissero alla Corte partenopea di dare avvio alle operazioni divisionali, nel corso delle quali ben avrebbe potuto, nell’esercizio del potere di direzioni di quelle stesse operazioni, ordinare alle parti le integrazioni ritenute necessarie. Si ricorda che, in caso di riforma della sentenza di primo grado, di rigetto per qualsiasi causa della domanda di divisione, la sentenza è definitiva e chiude il processo avanti a quel giudice, ma se il giudice del gravame, andando di contrario avviso, accerti il contestato diritto e dispone la divisione, lo stesso non può rimettere gli atti al primo giudice per lo svolgimento delle attività conseguenti, ma deve adottare tutti i provvedimenti del caso per esaurire la divisione, perché non ricorre alcune delle ipotesi di rimessione ex artt. 353 e 354 c.p.c. (Cass. n. 733/1982; n. 1992/2016). E assorbito il secondo motivo, mentre è inammissibile il terzo motivo. La Corte d’appello ha rigettato il gravame perché ha ritenuto che il ricorrente non avesse assolto all’onere di estrarre dal fascicolo i documenti prodotti dalla controparte. Nella sentenza non si legge alcuna affermazione che si possa intendere quale adesione all’orientamento della giurisprudenza di merito che condiziona la procedibilità della divisione giudiziale di immobili alla produzione della documentazione indicata nell’art. 567 c.c. (orientamento sconfessato da questa Suprema Corte: cfr. Cass. 10067/2020 cit.).
La sentenza deve essere cassata in relazione al primo motivo e la causa rinviata alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che si atterrà ai seguenti principi di diritto:
“Quando non vi sia stato accordo tra i condividenti per limitare le operazioni divisionali ad una parte soltanto del compendio comune, il giudizio di divisione ereditaria deve ritenersi instaurato per giungere al completo scioglimento della comunione, previa esatta individuazione di tutto ciò che ne costituisca oggetto; conseguentemente, fermo il rispetto delle preclusioni tipiche del normale giudizio di cognizione, l’indicazione dei beni può essere fatta anche in un secondo tempo anche dal condividente che non abbia ha proposto la domanda, costituendo una tale indicazione una precisazione dell’unitaria istanza, comune a tutte le parti, rivolta allo scioglimento della comunione”.
“Nel giudizio di scioglimento della comunione, quando la situazione di comune appartenenza dei beni sia incontroversa fra i condividenti, il giudice d’appello, dinanzi al quale sia stata impugnata la sentenza di primo grado che abbia erroneamente dichiarato inammissibile la domanda di divisione, non può rigettare l’appello in base al rilievo che l’appellante non ha curato di estrarre copia della relazione notarile relativa agli immobili da dividere, già acquisita dinanzi al primo giudice, ma non rinvenibile nel fascicolo della parte che ne aveva curato la produzione. La documentazione mancante, infatti, non integra la prova di un fatto favorevole a una parte e sfavorevole all’altra, ma ridonda a vantaggio di tutti i condividenti, ai quali la domanda di divisione è comune; conseguentemente, il giudice d’appello, qualora ritenga di non poter prescindere dalla suddetta documentazione, potrà ordinarne alle parti la produzione anche nel corso delle operazioni divisionali, venendo in considerazione solo l’esigenza di reiterare il riscontro documentale, già dato in primo grado, di una comune appartenenza pacifica e incontroversa”.
La corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo; dichiara assorbito il secondo; dichiara inammissibile il terzo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022
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