LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 31071/19 proposto da:
O.Y., elettivamente domiciliato a Roma, via Trionfale n. 5637, presso l’avvocato Gabriele Ferabecoli, che lo difende in virtù di procura speciale depositata il 15.4.2021;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di Milano 5 settembre 2019 n. 7069;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. O.Y., cittadina nigeriana, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese dopo che, avendo concepito un figlio in conseguenza d’una relazione con una persona di fede religiosa diversa da quella della propria famiglia, temeva di essere costretta dai propri familiari ad abortire; aggiunse che, raggiunta la Libia insieme al proprio compagno, qui venne dapprima rapita a scopo di estorsione, e di avere perso il frutto del concepimento durante la detenzione; e che quando finalmente il proprio compagno riuscì a pagare il riscatto, sia lei che il suo compagno dovettero subire altre violenze da uomini in divisa che fecero un’irruzione nella loro abitazione al fine di estorcere denaro, e percossero selvaggiamente il proprio compagno.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
2. Avverso tale provvedimento O.Y. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con Decreto 5 settembre 2019 n. 7069.
Il Tribunale ritenne che:
-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi sia perché il racconto della richiedente era inattendibile, sia perché in Nigeria i matrimoni interreligiosi sono socialmente accettati e dunque quello prospettato dalla ricorrente non era il rischio di persecuzione, ma solo un problema endofamiliari, come tale non giustificativo di una domanda di protezione;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato né dimostrato l’esistenza di specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.
3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da O.Y. con ricorso fondato su tre motivi.
Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, formalmente richiamando nell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 14 e 35 bis.
Allega che il procedimento di primo grado e il decreto che l’ha concluso sono nulli perché il Tribunale, nonostante l’assenza della videoregistrazione del colloquio reso dal richiedente dinanzi alla commissione territoriale, non ha proceduto ad una nuova audizione del richiedente asilo.
1.1. Il motivo è inammissibile alla luce del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1 -, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982 – 01).
Nel caso di specie, in violazione dei suddetti oneri, il ricorso non contiene alcuna delle indicazioni appena elencate.
2. Col secondo motivo la ricorrente assume che il Tribunale avrebbe violato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.
La ricorrente non chiarisce se tale censura debba intendersi riferita al rigetto della domanda di asilo, al rigetto della domanda di protezione sussidiaria, oppure rigetto della domanda di protezione umanitaria.
Nella illustrazione del motivo sostiene, in buona sostanza, che il Tribunale avrebbe dovuto acquisire ex ufficio informazioni “sulla situazione attuale della Nigeria” e non l’ha fatto se non in modo “sommario e superficiale”.
2.1. Il motivo, anche a prescindere da qualsiasi rilievo sulla sua assoluta genericità (come accennato, non è dato comprendere quale dei capi di sentenza la ricorrente abbia inteso con tale motivo impugnare), è manifestamente infondato.
Per quanto riguarda la domanda di asilo e la domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), la ritenuta inattendibilità della ricorrente esonerava il Tribunale da qualsiasi indagine ufficiosa.
Per quanto riguarda la domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’indagine è stata correttamente compiuta dal Tribunale, il quale con accertamento non sindacabile in questa sede e fondato su fonti attendibili ed aggiornate ha escluso la sussistenza in Nigeria di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.
3. Col terzo motivo la ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione umanitaria.
Lamenta che il Tribunale, nel rigettare la suddetta domanda, non abbia tenuto in considerazione che l’odierna ricorrente è madre di un bimbo nato nel 2018 in Italia, che vive insieme a lei al suo compagno nel centro di accoglienza di *****.
Aggiunge che al momento della presentazione del ricorso per cassazione era nuovamente in stato interessante e conclude che il suo “contesto di vita familiare e sociale merita di essere tutelato riservato”.
3.1. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame del fatto, il motivo è infondato: il Tribunale infatti ha espressamente preso in considerazione la circostanza che l’odierna ricorrente abbia un figlio ormai di tre anni nato in Italia.
3.2. Nella parte restante il motivo è fondato.
Benché il periodo di gestazione debba ormai ritenersi concluso, la sopravvenienza di figli potrebbe costituire una circostanza di fatto teoricamente idonea a giustificare una situazione di vulnerabilità soggettiva, secondo naturalmente le circostanze del caso concreto, non presa in considerazione dal decreto impugnato.
Vero è che la circostanza invocata dalla ricorrente a fondamento del proprio ricorso non avrebbe potuto essere presa in esame dal Tribunale, in quanto successiva alla pubblicazione di esso (il decreto impugnato è stato pubblicato il 5 settembre 2019, mentre la ricorrente allega che la scoperta della gravidanza è stata certificata il 19 settembre 2019).
Tuttavia questa Corte ha già affermato, sia pure in fattispecie differenti, che il fatto sopravvenuto alla decisione di merito, e documentato in sede di legittimità, è equiparabile al jus superveniens, e dunque di esso deve tenersi conto nell’esame del ricorso (Sez. 3 -, Sentenza n. 26757 del 24/11/2020, Rv. 659865 – 02, p. 3.3.3. dei “Motivi della decisione”; in precedenza, nello stesso senso, Sez. 1, Sentenza n. 2341 del 17/04/1982, Rv. 420225 – 01).
3.3. Il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio al Tribunale di Milano, affinché torni a valutare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari alla luce del mutato quadro fattuale.
4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;
(-) accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022