Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1089 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18791-2019 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI, MAURO SFERRAZZA, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;

– ricorrente –

contro

C.E., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSARIO SANTESE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 697/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 14/12/2018 R.G.N. 517/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato SAMUELA PISCHEDDA per delega verbale dell’avvocato MAURO SFERRAZZA.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 14.12.2018, la Corte d’appello di Salerno, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato il diritto di Elvira C. all’iscrizione nell’elenco dei braccianti agricoli anche per le giornate di lavoro svolte alle dipendenze della società agricola S. Fratelli s.p.a. nell’anno 2012, condannando l’INPS a corrisponderle l’indennità di disoccupazione per l’effetto maturata.

Nel motivare l’accoglimento della domanda, la Corte di merito ha ritenuto che la variazione della classificazione della società datrice di lavoro dell’assistita, disposta dall’INPS con provvedimento ad essa notificato in data *****, avrebbe dovuto avere effetto soltanto dal periodo di paga in corso alla data della comunicazione del provvedimento di variazione, sicché, riferendosi le giornate lavorative prestate dall’assistita ad un periodo precedente, nessun dubbio poteva sussistere circa l’utilità delle medesime al fine di guadagnarle l’indennità di disoccupazione.

Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un motivo di censura. C.E. ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, nonché della L. n. 352 del 1978, artt. 1-4, e del D.L. n. 269 del 2003, art. 44-bis, (conv. con L. n. 326 del 2003), per avere la Corte territoriale ritenuto che la variazione dell’inquadramento dell’attività imprenditoriale disposta dall’INPS non avesse carattere retroattivo, nonostante nella specie fosse scaturita dall’omessa comunicazione di dati all’uopo rilevanti da parte dell’azienda.

Il motivo è infondato, dovendo al riguardo ribadirsi quanto affermato da ultimo da Cass. n. 5541 del 2021.

Con la pronuncia dianzi cit., questa Corte ha consolidato il principio secondo cui la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato, ha valenza generale, ed è quindi applicabile ad ogni ipotesi di rettifica di precedenti inquadramenti operata dall’Istituto dopo la data di entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, indipendentemente dai parametri adottati, in base ad una lettura sistematica e costituzionalmente orientata della norma, volta ad uniformare il trattamento di imprese di identica natura ed attività, ma disomogenee nella classificazione (così già Cass. S.U. n. 16875 del 2005); e ha conseguentemente affermato che la norma impone invece la retroattività degli effetti della variazione ogni volta che vi sia stato nel momento iniziale dell’attività un comportamento del datore di lavoro positivo e volontario tale da determinare un inquadramento errato, qual è l’inoltro di dichiarazioni inesatte, che è condotta affatto diversa dal comportamento omissivo intervenuto nel corso dell’attività del datore di lavoro, che trova una specifica sanzione nell’ordinamento nel D.L. n. 352 del 1978, art. 2, comma 1, (conv. con L. n. 467 del 1978), che prevede l’obbligo dell’impresa di comunicare agli enti previdenziali le variazioni relative all’attività imprenditoriale svolta e la sanzione per la relativa violazione, ma non determina la retrodatazione dell’inquadramento (così già Cass. n. 14258 del 2019).

Si è data così ulteriore continuità all’orientamento assunto da questa Corte negli arresti n. 4521 del 2006 e nei più recenti n. 27347 del 2017 e nn. 3459 e 3460 del 2018, in consapevole dissenso dalla diversa tesi sposata da ultimo da Cass. n. 8558 del 2014.

La prima soluzione deve infatti essere preferita, in quanto è coerente con la natura eccezionale della deroga all’operatività della classificazione ex nunc, prevista testualmente per il solo caso delle inesattezze nella dichiarazione iniziale e che dunque non può essere applicata al di fuori delle ipotesi ivi tassativamente indicate e tipizzate, stante il divieto anche di interpretazione analogica ed estensiva, posto con riferimento alla legge speciale, dall’art. 14 preleggi; essa inoltre privilegia le esigenze di certezza nel rapporto contributivo, che ha ripercussioni sul bilancio dell’ente previdenziale ed anche sulle posizioni previdenziali dei singoli lavoratori.

Tale orientamento resiste alle critiche formulate dall’Istituto ricorrente: esse infatti risultano improntate, per un verso, a considerazioni di carattere fattuale (quali quelle che evidenziano la conoscenza degli eventi relativi al rapporto di lavoro solo in capo al datore di lavoro e non da parte degli enti previdenziali), ovvero alla mera considerazione dei diversi obblighi di comunicazione imposti dalle norme citate, ma non incidono sulla ratio della scelta legislativa sottesa alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, ed alla specificità del bilanciamento operato dalla stessa disposizione tra interesse pubblico alla retrodatazione degli effetti del nuovo inquadramento ed interesse dell’impresa a non essere soggetta ad obbligazioni per periodi ormai trascorsi.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Tenuto conto del consolidarsi dell’orientamento sopra ribadito in tempi successivi all’introduzione del presente giudizio, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità, mentre, avuto riguardo al rigetto del ricorso, vanno dichiarati sussistenti i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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