Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1092 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19786-2017 proposto da:

P.G., in proprio e quale Presidente dell’ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA CIRCOLO TENNIS CATTOLICA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BRENTA 2-A, presso lo studio dell’avvocato ISABELLA MARIA STOPPANI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1093/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 06/02/2017 R.G.N. 1025/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato ISABELLA MARIA STOPPANI;

udito l’avvocato ANTONINO SGROI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 6.2.2017, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato l’opposizione proposta da P.G., in proprio e n.q. di legale rapp.te della Associazione Sportiva Dilettantistica Circolo del Tennis di ***** avverso l’avviso di addebito con i quali l’INPS gli aveva ingiunto di pagare alla Gestione ex ENPALS i contributi previdenziali dovuti sui compensi corrisposti a n. 4 soci, ritenuti lavoratori comuni. La Corte, in particolare, ha ritenuto che i compensi in questione non potessero essere ricondotti alla categoria dei “redditi diversi” di cui all’art. 67 TUIR, comma 1, lett. m), dal momento che le prestazioni svolte dai soci, oltre ad essere estranee alle attività agonistiche tipiche dell’associazione (la cui affiliazione al CONI era rimasta peraltro non dimostrata), erano state svolte in maniera abituale e con carattere di professionalità; per di più, per alcuni dei lavoratori era stato anche superato il limite di cui al citato art. 67, ciò che ne determinava sotto altro profilo l’inapplicabilità.

Avverso tali statuizioni P.G., anche nella spiegata qualità, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura. L’INPS ha resistito con controricorso. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto non provata l’iscrizione al CONI, ancorché essa fosse stata dimostrata a mezzo di produzione documentale.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per non avere i giudici di merito ammesso le prove volte a dar conto dello stretto legame tra il contributo dei soci e il buon andamento del Circolo del Tennis.

Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che le prestazioni rese dai soci avessero carattere subordinato, laddove si trattava piuttosto di prestazioni di lavoro volontario.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 67 TUIR, comma 1, lett. m), e dell’art. 69 TUIR, comma 1, per averne la Corte di merito ritenuto l’inapplicabilità alla fattispecie sul presupposto che si trattava di prestazioni effettuate in maniera abituale e professionale.

Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, anche in relazione all’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che le qualifiche dei soci reputati lavoratori comuni (un giardiniere, un addetto alle pulizie e due custodi) non avessero formato oggetto di contestazione, nonostante che fosse stata specificamente contestata la stessa sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Ciò posto, va preliminarmente esaminata, data la potenziale valenza assorbente, la censura di cui al quarto motivo, con cui – come detto – parte ricorrente lamenta che i giudici territoriali abbiano ritenuto che i compensi corrisposti ai collaboratori non potessero essere qualificati come “redditi diversi”, nonostante che l’art. 67 TUIR, comma 1, lett. m), consideri tali anche quelli percepiti in dipendenza di “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”.

La questione prospettata implica la necessità di meglio definire, rispetto alle precedenti occasioni in cui questa Corte di cassazione si è occupata della materia previdenziale nell’area dilettantistica sportiva, quali siano i presupposti dell’obbligo di iscrizione al Fondo per i lavoratori dello spettacolo ex ENPALS per gli impiegati, operai, istruttori ed addetti agli impianti, palestre e circoli sportivi di qualsiasi genere, qualora si tratti di prestazioni rese in seno all’organizzazione di soggetti riconosciuti dalle competenti autorità sportive quali esercenti attività dilettantistica.

La disamina va riportata, per quanto qui di interesse, all’assetto normativo riferito ai fatti di causa, non essendo ratione temporis applicabili le disposizioni relative alle società dilettantistiche (poi comunque abrogate) introdotte dalla L. n. 207 del 2017, art. 1, commi 353 e 354, né quelle successive di cui al D.Lgs. n. 36 del 2021, non ancora entrate in vigore, che presuppongono una diversa organizzazione del lavoro sportivo.

Com’e’ noto, la L. n. 366 del 1973, attribuì all’ENPALS la tutela assicurativa dello sport limitatamente alle categorie dei calciatori ed allenatori delle squadre di calcio, così assimilando l’attività sportiva a quella degli spettacoli artistici in ragione dell’attrattiva che le competizioni calcistiche esercitavano nei confronti del pubblico, sempre più stimolato a partecipare agli eventi sportivi dall’impegno dei soggetti in essi coinvolti.

Tale iniziale limitazione è stata poi superata dalla L. n. 91 del 1981, che ha esteso la tutela previdenziale a tutti gli sportivi professionisti, definiti, alla citata L., art. 2, come “gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione delle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.

In tal modo, l’obbligo di copertura previdenziale è stato disciplinato demandando al CONI di distinguere tra l’esercizio di attività professionistica e l’esercizio di attività dilettantistica. E mentre l’inquadramento dell’attività sportiva professionistica nell’ambito preferenziale del lavoro subordinato (cfr. citata L. n. 91 del 1981, artt. 2 e 3) ha fatto sì che – come non si è mancato di rilevare in dottrina – tutte le norme di tutela a questo collegate diventassero rilevanti anche per il lavoro sportivo, nessuna specifica disciplina è stata dettata dalla legge cit. per il settore dilettantistico, contemplandosi in essa le vicende di tale ultimo settore (ossia i rapporti intercorrenti tra le associazioni e società sportive dilettantistiche e i soggetti che intervengono a vario titolo nello svolgimento delle attività sportive dilettantistiche: ad es., atleti dilettanti, direttori di gara, operatori e collaboratori per lo svolgimento di iniziative sportive) solo in quanto escluse dal suo ambito di applicazione.

La disciplina previdenziale dell’attività sportiva dilettantistica, e specificamente degli atleti, degli allenatori, dei direttori tecnico-sportivi e dei preparatori atletici, è stata piuttosto rinvenuta nell’ambito di regolamentazione delimitato dal D.Lgs. C.p.S. n. 708 del 1947, istitutivo dell’ENPALS.

Come evidenziato da ult. da Cass. n. 11375 del 2020, il citato D.Lgs. C.p.S. n. 708 del 1947, art. 3 n. 21, nel testo modificato dalla L. di ratifica n. 2388 del 1952, aveva in effetti già previsto l’obbligatoria iscrizione all’ENPALS, tra gli altri, degli “addetti agli impianti sportivi”, così includendo nella categoria dei lavoratori dello spettacolo figure professionali accomunate dalla finalità di intrattenimento della prestazione resa, al di là del carattere propriamente artistico di essa; ed essendo peraltro consapevole che lo stesso concetto di “spettacolo” era passibile di sviluppo e modificazione nel tempo, il citato art. 3, aveva rimesso ad un decreto del Capo dello Stato, adottato su proposta del Ministro del lavoro, la possibilità di estendere l’iscrizione all’ENPALS anche ad altre categorie di lavoratori dello spettacolo non contemplate nella medesima disposizione.

A seguito della delega contenuta nella L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 22, lett. d), il Governo ha poi proceduto all’armonizzazione delle prestazioni pensionistiche dei lavoratori dello spettacolo con il D.Lgs. n. 182 del 1997, art. 2, comma 1, che ha previsto la distinzione in tre gruppi dei lavoratori dello spettacolo iscritti all’ENPALS, ai fini dell’individuazione dei requisiti contributivi e delle modalità di calcolo delle contribuzioni e delle prestazioni: il D.M. 10 novembre 1997, ai fini indicati, ha infatti raggruppato in tre settori i lavoratori dello spettacolo iscritti all’ENPALS ed appartenenti alle categorie di cui al D.Lgs. C.p.S. n. 708 del 1947, art. 3, (per come modificato dalla L. di ratifica n. 2388 del 1952), indipendentemente dalla natura autonoma o subordinata del relativo rapporto di lavoro, espressamente contemplando nel gruppo B gli “addetti agli impianti sportivi”.

Successivamente, la L. n. 289 del 2002, art. 43, comma 2, ha sostituito il D.Lgs. C.p.S., art. 3, comma 2, rimettendo ad un decreto del Ministro del lavoro, sentite le organizzazioni sindacali più rappresentative di lavoratori e datori di lavoro e su eventuale proposta dell’ENPALS, che provvede periodicamente al monitoraggio “delle figure professionali operanti nel campo dello spettacolo e dello sport”, di adeguare le categorie dei soggetti assicurati presso l’ENPALS; e in forza di tale delega è intervenuto da ultimo il D.M. 15 marzo 2005, n. 17445, che ha dichiaratamente “rimodulato la composizione dei citati tre gruppi, come individuati dal D.Lgs. n. 182 del 1997, a seguito dell’ampliamento delle categorie dei lavoratori dello spettacolo operata dal decreto interministeriale adottato ai sensi del predetto D.Lgs. C.p.S. n. 708 del 1947, art. 3, comma 2, primo periodo, e sulla scorta di una verifica dell’evoluzione delle professionalità e delle forme di regolazione collettiva dei rapporti di lavoro di settore”, maggiormente dettagliando la preesistente previsione con il riferimento, nell’ambito del raggruppamento di cui alla lett. B, agli “impiegati, operai, istruttori ed addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitness, stadi, sferisteri, campi sportivi, autodromi”.

La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di chiarire che l’adozione del decreto ministeriale indicato non ha delineato una nuova categoria di lavoratori assoggettati alla tutela dell’ENPALS, ma ha piuttosto esplicitato la ricomprensione tra costoro di figure emerse nella pratica sociale, che già in precedenza potevano esservi fatte rientrare (cfr., con riferimento agli animatori turistici, Cass. nn. 3219 del 2006 e Cass. n. 9996 del 2009; con riferimento agli istruttori di nuoto, Cass. n. 21245 del 2014; con riferimento agli istruttori di tennis, Cass. n. 11375 del 2020, già cit.).

E’ questo il contesto normativo nel cui ambito va valutata l’applicabilità al sistema previdenziale dell’art. 67 TUIR, comma 1, lett. m).

La disposizione teste’ cit., per quanto qui rileva, stabilisce che sono redditi diversi, “se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente”, le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto, nonché quelli erogati in dipendenza di “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”.

Va subito chiarito che la norma in esame non consente di includere all’interno dell’area dei redditi diversi le somme percepite da coloro i quali svolgono “professionalmente” le attività cui le somme si riferiscono.

Ciò si desume chiaramente dall’incipit dell’art. 67 TUIR, che esclude a priori i redditi di capitale, quelli conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, o in relazione alla qualità di lavoratore dipendente.

Coerentemente con tale indicazione, è evidente che tali presupposti negativi devono sussistere anche là dove il soggetto percettore intervenga nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche. Ne’ può trarsi diversa indicazione dalla considerazione che, nel testo in vigore dal 1.1.2007, il riferimento al carattere “non professionale” sarebbe diretto ai soli direttori artistici ed ai collaboratori tecnici e non agli sportivi: è infatti evidente che la specificazione della “natura non professionale” deve essere riferita alle prestazioni rese da bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, che sono i soggetti che erogano le somme e non certo quelli che le ricevono.

Tenuto conto che il D.L. n. 207 del 2008, art. 35, comma 5, (conv. con L. n. 14 del 2009), ha chiarito che “nelle parole “esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche” contenute nell’art. 67, comma 1, lett. m), (…) sono ricomprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all”attività sportiva dilettantistica” e che Cass. n. 24365 del 2019 ha attribuito a tale disposizione valenza interpretativa, vale la pena di ricordare che la stessa Agenzia delle Entrate ha precisato, con la Ris. 17 maggio 2010, n. 38/E, che vanno ricompresi nella norma agevolativa “anche i soggetti che non svolgono un’attività durante la manifestazione, ma rendono le prestazioni indicate formazione, didattica, preparazione e assistenza all’attività sportiva dilettantistica – a prescindere dalla realizzazione di una manifestazione sportiva”, ritenendo che “l’intervento normativo ha ampliato il novero delle prestazioni riconducibili nell’ambito dell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche nonché, di conseguenza, quello dei soggetti destinatari del regime di favore, eliminando di fatto il requisito del collegamento fra l’attività resa dal percipiente e l’effettuazione della manifestazione sportiva”.

La statuizione normativa in esame consente dunque di erogare, ai collaboratori di attività sportiva dilettantistica in favore di enti sportivi della medesima natura, somme sussumibili nella nozione fiscale di “redditi diversi” che, entro la soglia prevista dall’art. 69 T.U.I.R., comma 2, vigente ratione temporis (Euro 7.500,00 per anno d’imposta) sono fiscalmente neutri.

La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha in più occasioni ritenuto che la disposizione in esame, in quanto sostanziale eccezione all’obbligo contributivo previsto per gli addetti agli impianti sportivi, sia rilevante anche in materia previdenziale (cfr. Cass. n. 11375 del 2020, cit., cui adde Cass. n. 24365 del 2019, Cass. n. 21535 del 2019, Cass. n. 11492 del 2019 e Cass. n. 5904 del 2016, che hanno tutte presupposto l’astratta applicabilità della disposizione in esame alla materia previdenziale, ferma restando la necessità della concreta ricorrenza dei presupposti).

A tale orientamento va data continuità, in quanto espressione di una corretta interpretazione dell’ambito del sistema previdenziale proprio dell’attività sportiva dilettantistica nel contesto temporale oggetto di causa.

L’assenza di una espressa disciplina previdenziale, in materia di collaborazione resa in favore di associazioni dilettantistiche, non esime l’interprete dal considerare l’impatto della neutralizzazione degli effetti tributari delle erogazioni corrisposte in tale contesto anche relativamente al calcolo dell’imponibile contributivo. Si tratta infatti di una relazione che, seppure riferita espressamente ai soli effetti tributari, esprime il più generale intento della legge di reputare un determinato valore monetario, riferito ad una determinata attività umana, come non espressivo di un valore economico utile alla produzione di un reddito suscettibile di realizzare la base imponibile di una obbligazione patrimoniale pubblica.

Occorre, peraltro, rilevare che dall’affermazione della riferibilità dell’art. 67 TUIR, anche agli effetti previdenziali non discende certamente l’individuazione di un’area di automatica esenzione dall’obbligo contributivo che sia invocabile dalle associazioni o società formalmente riconosciute quali dilettantistiche, a prescindere cioè dalla effettiva e concreta riprova della presenza dei requisiti specifici richiesti dalla citata disposizione.

In questa prospettiva, rileva, dunque, a monte, la verifica, in sede giudiziale, della effettiva natura “dilettantistica” del soggetto (associazione e/o società sportiva) in favore del quale la collaborazione è stata esercitata.

Questa Corte di cassazione, soprattutto in ambito tributario, ha, in più riprese, osservato come l’accertamento a tal riguardo condotto dal giudice di merito derivi non tanto dall’elemento formale della veste giuridica assunta (associazione e/o società sportiva dilettantistica) e dal corretto inserimento in statuto di tutte le clausole riguardanti la vita associativa, quanto piuttosto dal requisito di natura sostanziale, ossia dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, e quindi da un’operatività concreta conforme a quanto indicato nelle clausole dell’atto costitutivo e dello statuto, il cui onere probatorio ricade sulla parte contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato del tutto neutrale dell’affiliazione ad una federazione sportiva o al CONI (così Cass. nn. 2152 del 2020, 10393 del 2018, 16449 e 23789 del 2016; negli stessi termini, Cass. n. 21535 del 2019 e n. 5904 del 2016, già cit.).

Si tratta, per l’appunto, di una ipotesi eccettuativa anche del generale obbligo di contribuzione connesso all’esercizio di attività compensate economicamente, di talché spetta a chi ne invoca l’applicazione fornire allegazione e prova dei presupposti applicativi.

Si è già detto che i compensi non devono essere conseguiti nell’esercizio di professioni né derivare da un rapporto di lavoro dipendente ed in proposito (cfr. Cass. n. 11375 del 2020 cit.) si è pure precisato che, per esercizio di arti e professioni, ai sensi dell’art. 53 TUIR, deve intendersi “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo” diversa dall’attività di impresa.

La normativa fiscale, nell’ambito delle attività di lavoro autonomo, infatti, distingue i redditi derivanti dall’esercizio di “arti e professioni” ovvero dall’esercizio “per professione abituale ancorché non esclusiva di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui all’art. 5, comma 3, lett. c)” (art. 53 TUIR), dai redditi diversi derivanti da “attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente” (art. 67 TUIR, lett. l).

Il reddito diverso, dunque, non può essere quello che deriva dall’esercizio abituale di una attività autonoma nel senso specificato, né il reddito tratto dall’esercizio professionale di attività coordinate e continuative, e per questo considerato assimilato a quello di lavoro dipendente (art. 50 TUIR, lett. c).

In tal senso, peraltro, si era già espressa anche Cass. pen. 31840 del 2014, affermando il principio secondo cui, fermo restando che le erogazioni qualificabili come redditi diversi non devono costituire redditi di capitale ovvero non devono essere state conseguite nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:

– l’obbligo di denuncia di dati obbligatori a fini previdenziali da parte del datore di lavoro, la cui omissione è penalmente sanzionata dalla L. n. 689 del 1981, art. 37, (come modificato dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 19), sussiste anche nei confronti dei responsabili delle società sportive dilettantistiche in relazione alle attività svolte, a beneficio degli associati, da istruttori, addetti alle strutture, ed altri collaboratori purché si tratti di attività svolte professionalmente;

– è irrilevante che le attività in questione siano espletate in vista della partecipazione degli associati a competizioni dilettantistiche ufficiali (riconosciute dal CONI e dalle federazioni sportive), ovvero a beneficio dei c.d. “amatori” delle varie discipline, o di semplici principianti;

– le somme che le società sportive dilettantistiche iscritte nell’apposito registro tenuto dal CONI corrispondano a soggetti che prestino la loro opera in favore delle stesse sono esenti da contribuzione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 67 TUIR, lett. m), e dell’art. 69 TUIR, fino alla soglia di Euro 7.500,00, alla duplice condizione che: a) risultino erogate “nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche” (quale specificato nel D.L. n. 207 del 2008, art. 35, comma 5, conv. con L. n. 14 del 2009), a nulla rilevando in contrario l’assenza di uno specifico collegamento con la partecipazione a future manifestazioni o gare sportive; b) le prestazioni a fronte delle quali viene effettuata l’erogazione non abbiano carattere di prestazioni professionali.

In definitiva, da quanto sin qui esposto, può trarsi il principio di diritto secondo cui il D.M. 15 marzo 2005, n. 17445, sulla base della preesistente previsione contenuta nel D.Lgs. C.p.S. n. 708 del 1947, art. 3, comma 2, primo periodo, ha specificato che rientrano nell’ambito del raggruppamento di cui alla lett. B, gli “impiegati, operai, istruttori ed addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitness, stadi, sferisteri, campi sportivi, autodromi” che dunque sono soggetti in via generale all’obbligo assicurativo presso la gestione ENPALS, ora confluita presso l’INPS.

Per effetto della previsione contenuta nell’art. 67 TUIR, comma 1, lett. m), che determina effetti eccettuativi anche rispetto all’obbligo contributivo previdenziale, non risultano soggette agli obblighi predetti le prestazioni, se compensate nei limiti monetari di cui all’art. 69 TUIR, relative alla formazione, alla didattica, alla preparazione ed all’assistenza all’attività sportiva dilettantistica (D.L. n. 207 del 2008, art. 35, comma 5, conv. con L. n. 14 del 2009), a condizione che chi invoca l’esenzione, con accertamento rimesso al giudice di merito, dimostri che:

– le prestazioni rese non siano compensate in relazione all’attività di offerta del servizio sportivo svolta da lavoratori autonomi o da imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente assunta dal prestatore (art. 67 TUIR, comma 1);

– tali prestazioni siano rese in favore di associazioni o società che non solo risultano qualificate come dilettantistiche, ma che in concreto posseggono tale requisito di natura sostanziale, ossia svolgono effettivamente l’attività senza fine di lucro e quindi operano concretamente in modo conforme a quanto indicato nelle clausole dell’atto costitutivo e dello statuto, con onere probatorio a carico della parte contribuente che non può ritenersi soddisfatto dal dato del tutto neutrale dell’affiliazione ad una federazione sportiva o al CONI;

le prestazioni siano rese nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche, ossia in ragione del vincolo associativo esistente tra il prestatore e l’associazione o società dilettantistica, restando esclusa la possibilità che si tratti di prestazioni collegate all’assunzione di un distinto obbligo personale;

il soggetto che rende la prestazione e riceve il compenso non svolga tale attività con carattere di professionalità e cioè in corrispondenza allmarte o professione” abitualmente esercitata anche se in modo non esclusivo (art. 53 TUIR).

Ciò posto, risulta evidente l’infondatezza del motivo di censura: la Corte territoriale, infatti, ha accertato che le prestazioni oggetto della collaborazione “sono state effettuate in maniera abituale e professionale, ovvero in maniera ripetitiva e regolare”, evidenziando ad abundantiam che “la consistenza dei compensi percepiti da alcuni lavoratori” era tale da “superare il limite” di legge ai fini dell’esenzione (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata); e trattandosi di accertamento di fatto ormai intangibile in questa sede di legittimità, affatto correttamente è stata esclusa l’applicabilità in specie dell’art. 67, più volte cit. –

Le superiori considerazioni privano logicamente d’interesse anche il primo motivo, restando irrilevante l’affiliazione al CONI ove l’attività prestata possieda – come nella specie carattere professionale; e del pari carenti d’interesse risultano le censure di cui al terzo e al quinto motivo, essendo irrilevante, ai fini dell’obbligo contributivo previsto dalle norme ex ENPALS, che il rapporto di collaborazione abbia o meno assunto carattere subordinato.

E’ infine radicalmente inammissibile il secondo motivo di censura: è sufficiente al riguardo rilevare che il ricorso non riporta l’indicazione dei capitoli di prova di cui si lamenta la mancata ammissione, né si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte essi sarebbero reperibili, in spregio al consolidato principio secondo cui il ricorrente, che in sede di legittimità denuncia la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (Cass. S.U. n. 28336 del 2011 e innumerevoli succ. conf.).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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