Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1096 del 14/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9685-2016 proposto da:

C.A.C., D.C.I., D.C.P.V., in qualità di eredi di D.C.V., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI CAPO LE CASE 3, presso lo studio dell’avvocato MARIO DE PASCALIS, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO OBERDAN CASILLI;

– ricorrenti –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati LUCIANA ROMEO, LUCIA PUGLISI, che lo rappresentano e difendono;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2090/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 28/09/2015 R.G.N. 1946/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/11/2021 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI ROBERTO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Lecce, a conferma della sentenza del Tribunale di Brindisi, ha rigettato il ricorso proposto da C.A.C., D.C.I. e D.C.P.V., eredi di D.C.V., dipendente del Comune di ***** con mansioni di autista di scuolabus, i quali rivendicavano il riconoscimento in loro favore della rendita ai superstiti, a seguito del decesso del loro dante causa per infarto del miocardio, subito contestualmente ad un incidente stradale occorso mentre era alla guida del pulmino,- determinato dallo stress psico – fisico accumulato negli anni di lavoro in svariate mansioni presso lo stesso Comune.

La Corte d’appello ha escluso, alla luce dell’istruttoria e della Consulenza medico legale espletata, che l’infarto potesse essere derivato causalmente dallo svolgimento della prestazione lavorativa, atteso che gli appellanti, cui spettava di dimostrare la condizione di superlavoro e/o di stress psico-fisico comunque intervenuto, anche a ridosso dell’evento mortale, non avevano fornito prova di quali fossero stati in concreto i fattori che avevano causato direttamente o concorso a causare l’evento mortale.

Nello specifico, ha accertato che mancava qual si voglia allegazione circa l’articolato dei turni di lavoro, – la loro durata – e – la protrazione di ore per lavoro straordinario; che l’attività svolta per sua natura non risultava correlata a condizioni di stress particolari o che richiedessero lo svolgimento di lavoro straordinario, né a ritmi particolarmente usuranti, specie se, come attestato dal medico curante di D.C.V., il lavoratore era esente da patologie.

Ha escluso quindi che quest’ultimo fosse soggetto a condizioni di superlavoro, valorizzando l’elemento istruttorio emerso in causa per cui egli non era il solo a condurre i tre automezzi destinati al servizio di scuolabus del Comune di Latiano, essendo di ciò incaricati altri due lavoratori, dipendenti di una ditta subappaltatrice; quanto allo stress asseritamente accumulato per lo svolgimento (anche) del servizio di guardiania, la Corte d’appello ha escluso la probabilità che vi fosse un nesso tra la morte e tale condizione lavorativa, in assenza di allegazione da parte degli appellanti circa la durata di assegnazione alla mansione e l’articolazione dei turni di lavoro.

Ha infine valorizzato la CTU medico legale la quale, dando conto degli approdi a cui è giunta la letteratura scientifica in tema di morte improvvisa per arresto cardiocircolatorio, ha escluso che in assenza di prova di uno stato morboso preesistente o di una specifica condizione favorente possa riscontrarsi un nesso di concause tale da poter confermare la natura professionale dell’evento.

La cassazione della sentenza è domandata C.A.C., D.C.I. e D.C.P.V., quali eredi di De C.V. sulla base di due motivi.

L’INAIL ha depositato tempestivo controricorso.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo i ricorrenti deducono “Erronea e non veritiera interpretazione delle emergenze processuali con particolare riguardo alle produzioni documentali ed alla prova testimoniale – Violazione dell’art. 112 c.p.c. e ss.”; contestano alla Corte d’appello di non aver riconosciuto la sussistenza del raggiungimento della prova, documentale e testimoniale, circa la gravosità delle mansioni espletate dal D.C. e della concorrenza dell’antefatto costituito da un malore mattutino quale concausa rilevante ai fini della rilevanza del nesso causale.

Col secondo motivo lamentano “Omessa valutazione di fatti circostanze e documenti – Missiva del 12.02.2013 del Comune di Latiano – Rilevanti ai fini della decisione – Violazione dell’art. 210 c.p.c. e ss., nonché degli artt. 112 e ss. c.p.c.”; lamentano che la Corte territoriale non abbia accolto la richiesta istruttoria di acquisire i fogli di presenza degli autisti che si trovavano al lavoro con il loro dante causa il giorno della morte di questi e di non averli chiamati a deporre in qualità di testimoni.

I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per connessione, concernendo entrambi l’apprezzamento degli elementi probatori da parte del giudice di secondo grado.

Essi sono inammissibili.

Le censure dei ricorrenti si limitano genericamente, per un verso a contestare l’accertamento del nesso causale tra evento e attività professionale, oggetto del giudizio insindacabile del giudice del merito quando sorretto, come nel caso in esame, da logica e adeguata motivazione, per altro verso a denunciare l’errata valutazione del materiale probatorio posto, secondo insindacabile apprezzamento del giudice del merito, a sostegno della decisione.

Si rammenta in proposito che in base a quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, la critica di errore di valutazione in cui sia eventualmente incorso il giudice di merito e che investa l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare non è mai sindacabile in sede di legittimità (ex plurimis, cfr. Cass. n. 27033 del 2018).

Quanto alla denuncia di mancata ammissione di mezzi istruttori e di eventuali vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente le fonti, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Così, Cass. n. 23194 del 2017).

Anche sotto quest’ultimo profilo il ricorso è carente, atteso che la censura non specifica la decisività dell’acquisizione dei nominativi dei due dipendenti della Cooperativa Real Service.

Contrariamente a quanto affermato nella censura, la Corte d’appello ha adeguatamente motivato il mancato accoglimento della richiesta istruttoria in oggetto, intanto dichiarandola inammissibile perché tardiva, sebbene in questa sede, i ricorrenti affermino, omettendo qual si voglia allegazione in proposito, di avere proposto l’istanza già in primo grado.

Tuttavia, la Corte è anche entrata nel merito della richiesta, ritenendola ininfluente, perché diretta unicamente a ottenere conferma che il malore mattutino del D.C. si era verificato mentre lo stesso si trovava collocato al centro della colonna di tre scuolabus, e non era invece rivolta a dimostrare – come avrebbe dovuto – che l’evento mortale si era determinato a causa dell’abnorme stress psico-fisico subito dal lavoratore.

In definitiva, il ricorso è inammissibile.

Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

In considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, alla Pubblica Udienza, il 3 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472