LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 628-2016 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FILIPPO MANGIAPANE, LUIGI CALIULO, MARIA PASSARELLI, SERGIO PREDEN;
– ricorrente –
contro
L.G.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 766/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 25/06/2015 R.G.N. 666/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE.
RILEVATO
che:
la Corte d’appello di L’Aquila ha accolto in parte l’opposizione proposta da L.G. avverso il decreto ingiuntivo col quale l’Inps aveva rivendicato nei confronti della stessa il pagamento della somma di Euro 112.964,55 a titolo di ripetizione di indebito pensionistico, giusta sentenza n. 208/10 della Corte dei Conti Sezione Appello;
l’indebito, proveniente da un contenzioso in sede contabile, aveva riguardato il diritto della L. a fruire dell’indennità integrativa speciale su due trattamenti pensionistici in godimento: tuttavia, mentre in primo grado la Corte dei Conti Abruzzo aveva riconosciuto detto diritto in misura intera su entrambi i trattamenti, in grado d’appello la stessa Corte dei Conti, in sede Centrale, aveva circoscritto il diritto all’indennità integrativa speciale al solo trattamento che ne risultava privo e nei limiti del cd. minimo Inps;
il giudizio era indi proseguito in sede civile, ove si era posto il tema dell’entità dell’indebito, scaturito quale effetto automatico della sentenza d’appello resa in sede contabile, che la pensionata sarebbe stata tenuta a ripetere all’INPS;
sul punto controverso, si è verificata una difformità tra le pronunce di merito, avendo il Tribunale stabilito che l’obbligo di ripetizione delle somme indebitamente percepite dovesse riguardare l’intera somma, considerata al lordo delle ritenute fiscali, mentre la Corte d’appello, richiamandosi a precedenti di questa Corte (segnatamente a Cass. n. 1464 del 2012), ha stabilito che l’obbligo di ripetizione debba intendersi riferito a quanto effettivamente percepito dalla pensionata, al netto delle ritenute fiscali le quali, versate dall’Inps all’erario nella sua veste di sostituto d’imposta, non erano mai entrate di fatto nella sfera patrimoniale della pensionata;
la cassazione della sentenza è domandata dall’Inps sulla base di due motivi;
L.G. è rimasta intimata.
CONSIDERATO
che:
Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’istituto ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., e art. 336 c.p.c., comma 2”; contesta il richiamo alla sentenza di questa Corte che ha ritenuto che la ripetizione dell’indebito vada effettuata “…nei limiti di quanto effettivamente percepito…salvo i rapporti col fisco”, ritenendo che essa si riferisca alla diversa ipotesi in cui l’indebito è affermato nel rapporto fra datore e lavoratore per l’erronea erogazione di retribuzione in misura maggiore del dovuto;
afferma che la controversia in esame farebbe riferimento alla diversa ipotesi in cui il diritto alla restituzione dell’indebito nasce dalla sentenza d’appello del giudice contabile, che ha prodotto automaticamente l’obbligo della restituzione, quale effetto consequenziale della riforma ex tunc della sentenza di primo grado (n. 440/53 Corte dei Conti Abruzzo); che pertanto, il ripristino della situazione giuridica anteriore alla sentenza in capo alla parte vittoriosa comporti che la L. sarebbe tenuta a restituire all’Inps tutta la somma a suo tempo ricevuta, comprensiva delle ritenute Irpef trasferite dall’Inps all’erario quale sostituto d’imposta;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia “Violazione e falsa applicazione del TUIR22 dicembre 1986 n. 91, art. 10, comma 1, come modificato dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 5, e della L. 27 dicembre 2013 n. 147, art. unico, comma 174”;
contesta la sentenza d’appello per contrasto anzitutto con la normativa tributaria, la quale stabilisce che l’Inps, sostituto d’imposta ope legis, è tenuto a versare all’erario, per conto del pensionato, somme, quale acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, compito che il sostituto svolge per conto del sostituito con obbligo di rivalsa; che essendo state tali somme dichiarate in parte indebite, sarebbe corretta la richiesta dell’Inps di restituzione al lordo delle ritenute Irpef, per essere, le stesse, entrate realmente nella sfera patrimoniale del soggetto;
denuncia come la motivazione della sentenza impugnata contrasti altresì con i principi in materia di indebito oggettivo e con le direttive dell’Agenzia delle Entrate; che in attuazione di tali direttive, anche se la L. aveva percepito una somma al netto delle ritenute fiscali, avrebbe dovuto egualmente restituirne l’intero valore, potendo recuperare l’imposta attraverso l’abbattimento del reddito imponibile nell’anno della restituzione, atteso che la diversa soluzione comporterebbe una perdita a carico dell’Istituto con conseguente danno erariale (e perdita “impropria” del diritto di rivalsa sul soggetto sostituito);
i motivi, logicamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente;
essi vertono sull’unico problema dell’inserimento della somma, o della maggior somma, che l’Inps ha già versato all’erario a titolo di acconto di imposta sulle prestazioni pensionistiche, nell’importo complessivo che la L. – che l’ha già percepita in forza di una sentenza contabile provvisoriamente esecutiva – deve restituire all’ente previdenziale, quale sostituto d’imposta, una volta che nel corso successivo del giudizio contabile quella sentenza sia stata riformata in tutto o in parte; i motivi sono infondati;
questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sulla materia in svariate occasioni, nel senso di ritenere che le somme da ripetere dal lavoratore (o dal pensionato) vanno calcolate al netto e non al lordo delle ritenute fiscali versate per eccesso (oltre a Cass. n. 1464 del 2012 richiamata dalla sentenza, cfr. anche Cass. n. 19735 del 2018, Cass. n. 21196 del 2020; Cass. n. 22359 del 2021);
le censure prospettate dall’Istituto ricorrente non si rivelano, dunque, idonee a contrastare il ragionamento della Corte d’appello, né aggiungono alcunché ai fini di una riconsiderazione critica del principio di diritto costantemente affermato da questa Corte;
in definitiva, il ricorso va rigettato; non si provvede sulle spese in favore della parte rimasta intimata.
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. l, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, all’Adunanza Camerale, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022