Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.1103 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17625-2016 proposto da:

AZIENDA AGRICOLA MINI DI I.O. & C. S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 3, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO GIANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE TAVAZZI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA SCIPLINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 602/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 07/07/2015 R.G.N. 334/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/11/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI.

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa dal tribunale della stessa città con cui era stata rigettata l’opposizione proposta dall’Azienda agricola Mini s.n.c. avverso la cartella esattoriale notificatale per conto dell’INPS il 21 gennaio 2008, con cui le era stato ingiunto il pagamento di Euro 46.181,67, per omessa contribuzione relativa al lavoro straordinario e notturno svolto da due dipendenti tra il 2000 e il 2005, accertata in base alle stesse dichiarazioni rese dai lavoratori interessati in sede di accesso ispettivo e formalizzata con verbale del 4 gennaio 2006.

Per quel che ancora rileva, la Corte di appello ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:

I- le doglianze con le quali l’opponente aveva lamentato l’inesistenza della notifica (per essere stata la relata apposta sul frontespizio e non in calce alla cartella) e la nullità della cartella medesima (per mancata sottoscrizione del funzionario legittimato) erano inammissibili perché, avendo ad oggetto vizi formali della cartella e della sua notificazione, avrebbero dovuto essere rivolte verso l’agente della riscossione e non verso il titolare del credito contributivo e avrebbero dovuto essere dedotte nel termine di venti giorni dalla notifica, con opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.; questo termine era stato invece, nella specie, disatteso, in quanto la cartella era stata notificata il 21 gennaio 2008 e il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio era stato depositato il 29 febbraio successivo;

II- l’eccezione di prescrizione dei crediti risalenti ad epoca anteriore al quinquennio (periodo 2000-2003) doveva ritenersi infondata, in quanto prima della notifica della cartella, avvenuta in data 21 gennaio 2008, l’INPS aveva efficacemente posto in essere due atti interruttivi, consistenti nella diffida datata 25 agosto 2005 (ricevuta dal legale rappresentante dell’impresa, che l’aveva sottoscritta) e nel verbale di accertamento su cui si fondava la cartella medesima, ricevuto dall’ingiunta il *****;

III- infine, non poteva attribuirsi pregio alle dichiarazioni rese dai due lavoratori in sede di escussione testimoniale dinanzi al giudice di primo grado, di tenore diverso rispetto a quelle rilasciate in sede di accesso ispettivo, dovendosi dare prevalenza a queste ultime, le quali apparivano più attendibili sia sul piano oggettivo (in quanto coerenti e concordanti tra loro, mentre quelle testimoniali non trovavano riscontro nella documentazione prodotta) sia sul piano soggettivo (i lavoratori erano ancora dipendenti dell’impresa al tempo della loro escussione come testi).

Avverso la sentenza della Corte bolognese, l’Azienda agricola Mini s.n.c. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da sette motivi. Ha resistito con controricorso l’INPS, in proprio e quale procuratore speciale della società di cartolarizzazione dei crediti S.C.C.I. s.p.a..

La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3,artt. 2938 e 2943 c.c., artt. 112 e 346 c.p.c., nonché ultra-petizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito efficacia interruttiva della prescrizione del credito contributivo alla diffida del 25 agosto 2005 e al verbale di accertamento ricevuto in data *****, atti che non contenevano richieste di pagamento né conteggi definitivi.

Deduce, in primo luogo, la violazione del principio secondo cui l’efficacia interruttiva della prescrizione presuppone necessariamente che l’atto di costituzione in mora del presunto debitore culmini nella formulazione di una richiesta di adempimento.

Evidenzia, in secondo luogo, che il giudice di primo grado aveva considerato, al predetto fine, soltanto la diffida del 2005 e che l’INPS non aveva censurato tale limitazione con specifico gravame, sicché la Corte di appello, nell’attribuire rilievo anche al verbale di accertamento del 2006, era incorsa nel vizio di ultra-petizione.

1.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui deduce violazione di legge e infondato nella parte in cui deduce ultra-petizione.

1.1.a. La prima censura imputa alla Corte di merito la violazione del principio per cui l’efficacia interruttiva della prescrizione sarebbe subordinata alla formulazione di una richiesta scritta di adempimento, sul rilievo che tale richiesta non sarebbe contenuta in nessuno degli atti considerati al predetto fine.

La ricorrente, peraltro, mentre da un lato evidenzia che tali atti (la diffida del 2005 e il verbale di accertamento del 2006), già contenuti nel fascicolo prodotto dall’INPS nel primo grado di giudizio (docc. 2 e 2 bis), sono stati da essa allegati anche nel fascicolo prodotto unitamente al ricorso per cassazione (docc. nn. 2 e 15), dall’altro lato omette di riprodurne, direttamente o indirettamente, il contenuto nel ricorso stesso, sicché questa Corte si trova nell’impossibilità di verificare la fondatezza della doglianza sulla base solo del ricorso medesimo, senza necessità di fare rinvio od accedere a fonti esterne allo stesso.

In proposito va ricordato che, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di atti o documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la censura sulla sola base del ricorso per cassazione, il quale deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni (Cass. 10712/2020, n. 28184; Cass. 07/03/2018, n. 5478; Cass. 27/07/2017, n. 18679).

Sotto questo profilo, il primo motivo di ricorso e’, dunque, inammissibile.

1.1.b. La censura di ultra-petizione muove dal rilievo che la Corte di appello avrebbe attribuito rilevanza, ai fini dell’interruzione della prescrizione del credito contributivo, non solo alla diffida del ***** (l’unico atto interruttivo considerato dal giudice di primo grado), ma anche al verbale di accertamento ricevuto dall’ingiunta il *****, senza che l’INPS avesse interposto specifico gravame sul punto.

In contrario, può tuttavia osservarsi che l’eccezione di interruzione della prescrizione si configura come eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio (Cass. 20 settembre 2019, n. 23518; Cass. 07/06/2018, n. 14755) e che, in ogni caso, nella vicenda in esame, la Corte di merito non si è pronunciata su una eccezione diversa da quella già sollevata in primo grado ma si è limitata ad individuare un fatto ulteriore a suo fondamento.

Sotto questo diverso profilo, il motivo in esame è dunque infondato.

2. Il secondo e terzo motivo vanno trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione.

Con il secondo motivo (violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26,artt. 112,137,148 e 345 c.p.c., “in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”), viene riproposta la censura di inesistenza della notificazione della cartella esattoriale per essere stata la relata di notifica apposta sul frontespizio e non in calce alla medesima.

Con il terzo motivo (violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12,artt. 112 e 345 c.p.c., “in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”), viene riproposta la censura di nullità della cartella per mancata sottoscrizione da parte del funzionario legittimato.

2.1. Entrambi i motivi, riproponendo le doglianze formali già formulate in primo grado e in appello, non si confrontano con le due “rationes decidendi” contenute sui rispettivi punti nella decisione della Corte territoriale, la quale non ha preso posizione sul merito di tali doglianze ritenendo, per un verso, che esse avrebbero dovuto essere dedotte nel termine di giorni venti dalla notifica della cartella, con opposizione agli atti esecutivi e, per altro verso, che avrebbero dovuto essere rivolte contro l’agente della riscossione.

I motivi in esame sono pertanto inammissibili per difetto di specificità in relazione al tenore della decisione impugnata, atteso che si limitano, indebitamente, a ribadire le ragioni del gravame proposto avverso la decisione di primo grado, senza censurare quelle per le quali la Corte territoriale ha ritenuto tali ragioni non ammissibili.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che la mancata considerazione delle motivazioni poste a base del provvedimento impugnato comporta l’inammissibilità, ex art. 366 c.p.c., n. 4, del ricorso per cassazione, atteso che questo deve necessariamente contenere l’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e deve necessariamente tradursi in una critica della stessa (Cass. 31/08/2015, n. 17330; Cass. 11/01/2005, n. 359); inoltre, con i motivi di ricorso la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ai sensi del citato art. 366 c.p.c., n. 4, (Cass. 24/09/2018, n. 22478; in precedenza, Cass. 21/03/2014, n. 6733; Cass. 15/03/2006, n. 5637).

3. Con le due “rationes decidendi” poste a base della decisione di appello sulle censure attinenti ai vizi formali della cartella e della sua notificazione, si confrontano, invece, il quarto e il quinto motivo del ricorso per cassazione, anche questi da sottoporre ad esame congiunto.

Con il quarto motivo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 e 617 c.p.c., nonché della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), la ricorrente censura la statuizione con cui la Corte di merito ha ritenuto che i suddetti vizi, in quanto concernenti la legittimità formale del titolo esecutivo, avrebbero dovuto essere fatti valere con l’opposizione agli atti esecutivi, nel termine di venti giorni dalla notifica.

Lamenta che con tale statuizione il giudice di appello avrebbe indebitamente fatto propria un’eccezione sollevata dalla controparte la quale, per essere stata proposta per la prima volta solo in grado di appello, avrebbe invece dovuto ritenersi tardiva. Evidenzia, inoltre, che la cartella impugnata non faceva menzione del termine perentorio previsto per l’opposizione, in violazione della regola, desumibile dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, che imporrebbe l’obbligo di informare i destinatari degli atti impugnabili del termine entro il quale l’impugnazione può essere proposta.

Con il quinto motivo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 102 e 345 c.p.c., nonché degli artt. 1703 e 1705 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), viene censurata la statuizione con cui la Corte di merito ha affermato la legittimazione passiva dell’agente della riscossione in ordine alle censure attinenti ai vizi formali della cartella e della sua notificazione. La ricorrente si duole che anche in questo caso sia stata accolta un’eccezione sollevata tardivamente dalla controparte ed osserva che, fermo l’interesse dell’INPS alla controversia, ove il giudice di appello avesse ritenuto sussistere la legittimazione concorrente del concessionario alla riscossione, avrebbe dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 102 c.p.c..

3.1. Le doglianze poste a fondamento dei motivi in esame sono infondate.

3.1.a. Non rileva, anzitutto, che le due violazioni accertate dalla Corte di merito siano state prospettate dall’INPS solo in grado di appello, in quanto, vertendosi, rispettivamente, in ipotesi di decadenza dall’impugnazione e di difetto di legittimazione passiva (cfr., sul primo tema, Cass. Sez. U, 25/03/2021, n. 8501 e, sul secondo, Cass. 12 agosto 2016, n. 17092), esse non si traducevano in fatti idonei a formare oggetto di eccezione in senso stretto.

3.1.b. Con specifico riguardo alla decadenza dal termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi, deve, inoltre, ribadirsi il principio, da tempo affermato da questa Corte, secondo cui non assume rilevanza la mancata indicazione del relativo termine nella cartella impugnata (Cass. 24 ottobre 2008, n. 25757), sicché, anche sotto questo profilo, nessuna censura può muoversi alla decisione della Corte di appello.

3.1.c. Infine, in ordine al rilievo del difetto di legittimazione passiva dell’ente impositore, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio, assolutamente pacifico e consolidato, secondo cui, in tema di riscossione dei crediti previdenziali mediante iscrizione a ruolo di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, l’opposizione contro il ruolo per motivi inerenti al merito va proposta nei confronti del soggetto impositore (l’INPS) e il cessionario del credito in quanto titolari del credito e a conoscenza degli atti su cui si fonda la pretesa, mentre, ove siano sollevate questioni formali concernenti la cartella o la sua notifica, il contraddittorio va instaurato con la società esattrice, a cui compete la riscossione dei ruoli (Cass. 09/09/2011, n. 18522; Cass. 15/01/2016, n. 594). è poi irrilevante, nel caso di specie, chiedersi se fosse o meno configurabile un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario, dal momento che il rilievo della tardività dell’opposizione escludeva la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’eventuale litisconsorte pretermesso.

Il quarto e il quinto motivo vanno dunque rigettati.

4. Con il sesto motivo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 116 e 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., “in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”), si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto “più plausibili e convincenti” le dichiarazioni rese dai dipendenti dell’impresa, in assenza di contraddittorio, agli ispettori dell’INPS, rispetto a quelle rese dai medesimi lavoratori davanti al giudice in sede di escussione testimoniale, le quali avrebbero “smentito la ricostruzione dei fatti” prospettata dall’Istituto. La ricorrente osserva che “non è possibile che una dichiarazione assunta davanti ad un magistrato (che ne ha potuto imparzialmente verbalizzare le esatte parole), sia ritenuta meno attendibile di quanto assunto e verbalizzato unilateralmente da una delle parti”.

4.1. Questo motivo è manifestamente inammissibile.

Esso, infatti, nel censurare l’apprezzamento dell’attendibilità delle dichiarazioni testimoniali, offerto dalla Corte territoriale, omette di considerare che esso apprezzamento è attività riservata al giudice del merito cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).

Il motivo di censura è dunque inammissibile, in quanto tende a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal giudice di appello, il quale non ha omesso di prendere in considerazione le deposizioni testimoniali rese dai dipendenti dell’impresa, ma, sulla base di rilievi insindacabili in questa sede di legittimità, le ha motivatamente reputate meno attendibili di quelle assunte dagli ispettori dell’Istituto e recepite nel verbale di accertamento del gennaio 2006.

5. Con il settimo motivo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 112 c.p.c., “in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”), l’azienda agricola Mini s.n.c. censura la sentenza impugnata nella parte in cui non si è pronunciata sulle spese di lite relative al primo grado di giudizio (già da essa versate all’INPS sulla base della sentenza resa dal tribunale) e nella parte in cui l’ha condannata a rimborsare all’istituto anche le spese di secondo grado. Chiede la cassazione dei relativi capi delle sentenze di merito.

5.1. Il motivo, il cui accoglimento troverebbe il suo necessario presupposto in quello dei precedenti motivi, deve invece ritenersi infondato alla luce della loro reiezione e va pertanto rigettato.

6. In conclusione, il ricorso proposto dall’Azienda agricola Mini s.n.c. deve essere rigettato.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quarta Sezione Civile, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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