Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.1104 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umber – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1345-2020 proposto da:

A.S.R., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO DENARO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 587/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 22/11/2019 R.G.N. 480/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/11/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI.

FATTI DI CAUSA

A. Santa Rosa – premesso che era titolare di due pensioni di reversibilità del defunto D.G., comandante delle navi traghetto delle Ferrovie dello Stato; che sulla pensione a carico della gestione marittimi, l’INPS riteneva una somma a titolo di “trattenuta previdenza marinara”, pari ad oltre il 50% del trattamento lordo, la quale era versata al Fondo pensioni per il personale delle Ferrovie dello Stato, come quota relativa ai contributi che il medesimo fondo, durante il periodo lavorativo, aveva versato alla Cassa Nazionale Previdenza Marinara; e che tale trattenuta era illegittima in quanto riduceva il trattamento pensionistico al disotto del minimo previsto dalla L. 27 luglio 1967, n. 658, art. 27, comma 3, – convenne l’INPS dinanzi al Tribunale di Messina, in funzione di Giudice del lavoro, perché, previa declaratoria dell’illegittimità della trattenuta indebitamente operata, fosse condannato a pagarle gli arretrati dovuti e non versati e alla riliquidazione della pensione.

Costituitosi in giudizio il convenuto, il tribunale, espletata una consulenza tecnica d’ufficio, lo condannò a pagare alla ricorrente la somma di Euro 20.190,92 a titolo di integrazione della suddetta pensione per il periodo gennaio 1989-febbraio 2014 e la Corte di appello di Messina, rinnovata l’indagine peritale, previo rigetto dell’appello incidentale dell’INPS e dell’appello principale della ricorrente, ha confermato la decisione.

Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione A.S.R. sulla base di quattro motivi. Risponde con controricorso l’INPS. La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (nullità della sentenza per omessa motivazione e per violazione del c.d. “minimo costituzionale”: art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 360 c.p.c., n. 4), la ricorrente deduce che il giudice di appello si sarebbe limitato a dichiarare che la disciplina da applicare alla fattispecie considerata era quella di cui alla L. n. 658 del 1967, art. 27, comma 1, anziché quella di cui al medesimo art., comma 3. In tal modo la Corte territoriale sarebbe incorsa, per un verso, nel vizio di omessa motivazione (non dando conto delle ragioni per le quali il predetto comma 3, non era stato ritenuto applicabile, sebbene ella fosse titolare anche di una pensione a carico del Fondo pensioni per il personale delle Ferrovie dello Stato), e, per altro verso, nel vizio di motivazione contraddittoria, nella parte in cui aveva affermato che la trattenuta di spettanza del Fondo pensioni era stata debitamente ridotta nei termini previsti dalla citata L. n. 658 del 1967, art. 27, commi 3 e 4.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – applicabile alle sentenze pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012, e dunque anche alla sentenza impugnata con l’odierno ricorso, depositata il 22 novembre 2019 -, il controllo sulla motivazione può investire esclusivamente l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale sussiste nelle sole ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, sicché il sindacato sulla motivazione è possibile solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; v. anche Cass. 08/10/2014, n. 21257 e Cass. 12/10/2017, n. 23940).

Nella vicenda in esame, consimili vizi non sono stati denunciati, atteso che, al di là di formali riferimenti alla motivazione “omessa” o “contraddittoria”, nella sostanza viene dedotto che il giudice di merito, nel fare applicazione di una norma, non avrebbe indicato le ragioni per le quali non aveva ritenuto applicabile una norma diversa.

Si tratta, dunque, di vizi che, a prescindere dalla loro sussistenza, appartengono, dal punto di vista della prospettazione, alla sfera della sufficienza e non a quella della esistenza o della coerenza della motivazione.

Il motivo è pertanto inammissibile.

2. Con il secondo motivo (violazione e/o falsa applicazione della L. n. 658 del 1967, art. 27, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), viene lamentato che la Corte di merito, facendo applicazione della disciplina di cui al comma 1, anziché di quella di cui al citato art. 27, comma 3, abbia commesso un errore di sussunzione. Sostiene la ricorrente che la fattispecie concreta dedotta in giudizio aveva un elemento caratterizzante nella circostanza, incontroversa tra le parti, che il suo dante causa era un marittimo dipendente delle Ferrovie dello Stato, e che tale concreta fattispecie trovava la fattispecie legale di riferimento in quella di cui all’art. 27, comma 3, non in quella di cui al medesimo art., comma 1, in cui sarebbe stata erroneamente ricondotta dalla Corte di appello.

2.1. Il motivo è infondato.

La fattispecie concreta sottoposta all’esame della Corte di merito – caratterizzata dalla titolarità, in capo al dante causa della ricorrente, di due trattamenti pensionistici, quello a carico della Cassa Nazionale Previdenza Marinara e quello a carico del Fondo delle Ferrovie dello Stato – è stata dalla Corte stessa debitamente ricondotta a quella legale di riferimento, configurata nella L. 27 luglio 1967, n. 658, art. 27, il quale disciplina il “Regolamento ai fini previdenziali dei rapporti tra la Gestione marittimi, il Fondo pensioni ed i marittimi di ruolo delle Ferrovie dello Stato”.

Si tratta di una disciplina articolata la quale – dopo aver posto la regola generale secondo cui il trattamento a carico della Gestione marittimi è ripartito, tra il Fondo pensioni per il personale delle Ferrovie dello Stato ed il marittimo, in proporzione, rispettivamente, alla durata dei servizi di navigazione di ruolo e non di ruolo riconosciuti utili per la pensione ferroviaria ed alla durata dei rimanenti servizi considerati utili per la determinazione della pensione a carico della gestione stessa (comma 1), – prevede che per il marittimo imbarcato su navi delle Ferrovie dello Stato, la quota di pensione a carico dell’INPS in relazione ai periodi di navigazione antecedenti all’iscrizione al Fondo delle ferrovie, non può essere inferiore a quella determinata sulla base delle competenze medie previste dal D.P.R. 11 agosto 1963, n. 1237, ed è integrata eventualmente fino al raggiungimento di tale importo (comma 3); per effetto di questa integrazione si riduce in modo corrispondente la quota spettante al Fondo pensioni per il personale delle Ferrovie dello Stato (comma 4).

Il giudice di appello, avvalendosi delle risultanze della CTU contabile, ha risolto la controversia facendo debita applicazione di tale composita disciplina.

La Corte ha infatti ritenuto, in primo luogo, che “il CTU di primo grado ha determinato la misura mensile delle competenze previste dal citato D.P.R. n. 1237 del 1963, necessarie per determinare l’integrazione della quota di pensione ex L. n. 658 del 1967” (pp. 6-7 della sentenza; ciò, evidentemente, in applicazione del disposto di cui all’art. 27, comma 3); in secondo luogo, ha chiarito che tale integrazione “riduce l’importo delle trattenute operate dall’INPS, quale trattenuta sulla pensione marinara” (p. 7 della sentenza); ciò in perfetta conformità a quanto stabilito dall’art. 27 in esame, comma 4, secondo cui la quota spettante al Fondo pensioni per il personale delle Ferrovie dello Stato ai sensi del comma 1, è ridotta della corrispondente integrazione di cui al comma 3.

Tanto chiarito, deve anche escludersi che la motivazione della sentenza presenti quel passaggio asseritamente contraddittorio inammissibilmente denunciato con il primo motivo di ricorso per cassazione, dal momento che il riferimento alla L. n. 658 del 1967, art. 27, commi 3 e 4, contenuto nell’ultimo capoverso di pag. 7 della sentenza di appello, è perfettamente coerente con la precedente motivazione in ordine all’applicazione complessiva della articolata disciplina contenuta nel citato art. 27.

La ricorrente si duole che il consulente tecnico, pur avendo calcolato correttamente il trattamento minimo di cui alla L. n. 658 del 1967, art. 27, comma 3, avesse poi tenuto conto, al riguardo, del trattamento complessivo di cui al precedente comma 1, finendo per applicare una integrazione inferiore che non aveva consentito, se non in modo parziale, l’eliminazione della indebita trattenuta effettuata dall’INPS.

I criteri e le modalità di calcolo osservati dal consulente tecnico d’ufficio nell’espletamento della consulenza contabile non incidono, peraltro, sull’esatta riconduzione, da parte del giudice del merito, del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina e non si traducono, pertanto, nel dedotto error in iudicando denunciabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; né, rispetto ad essi, può assumere rilevanza il mero dissenso della parte, ove questa non indichi specificamente, attraverso il diverso motivo del vizio di motivazione, le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, previa integrale trascrizione dei passaggi salienti e non condivisi della relazione peritale e mediante l’enunciazione del contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto motivazionale denunciato (Cass. 17/07/2014, n. 16368; Cass. 13/07/2021, n. 19989).

Il motivo in esame va, pertanto, rigettato.

3. Con il terzo motivo (omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 5), viene dedotto che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto della circostanza, determinante ai fini della decisione, che il titolare della pensione era un marittimo che era stato anche dipendente delle Ferrovie dello Stato.

3.1. Questo motivo è inammissibile.

3.1.a. In primo luogo, trova applicazione, nel caso di specie, l’esclusione – prevista dall’art. 348 ter c.p.c., u.c., – della possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del cit. codice art. 360, n. 5, vertendosi in ipotesi di sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”).

Al riguardo, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. “doppia conforme” in facto, sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha l’onere – nella specie non assolto – di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 06/08/2019, n. 20994; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 18/12/2014, n. 26860).

3.1.b. In secondo luogo, deve ricordarsi che il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – come riformulato dal sopra meglio citato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, – non solo deve essere un fatto vero e proprio e, quindi, non una “questione” o un “punto” della sentenza, bensì un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale); ma deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall’aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 177761).

Nel caso in esame, alla stregua delle stesse allegazioni contenute nel ricorso, il fatto di cui si sarebbe omesso l’esame – la circostanza che il dante causa della ricorrente era dipendente delle Ferrovie dello Stato – sarebbe bensì stato decisivo, ma non sarebbe stato anche controverso, trattandosi al contrario, di circostanza “documentalmente dimostrata, oltre che pacificamente discussa tra le parti” (pag. 16 del ricorso per cassazione).

3.1.c. In terzo luogo, infine, il carattere incontroverso della circostanza che il dante causa dell’ A. era un dipendente delle Ferrovie dello Stato emerge perspicuamente dalla sentenza impugnata, la quale, lungi dal non tenerne conto, ha conferito l’incarico peritale ed applicato la composita disciplina di cui alla L. n. 658 del 1967, art. 27, sul presupposto della sua sussistenza.

Deve quindi dichiararsi l’inammissibilità del motivo in esame.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, (in relazione all’art. 112 cit. codice), nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sub specie di omessa pronuncia sulle domande di riliquidazione della pensione e di corresponsione degli arretrati successivamente al febbraio del 2014, essendosi la Corte di merito limitata a liquidare solo gli arretrati relativi al periodo precedente.

4.1. Anche questo motivo è inammissibile.

Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (da ultimo, Cass. 14/10/2021, n. 28072; in precedenza, tra le altre, Cass. 04/07/2014, n. 15367).

Nel caso di specie, delle due domande che non sarebbero state delibate non si fa menzione nella sentenza di appello, mentre nella sentenza di primo grado si afferma, con riguardo agli arretrati, che “il CTU ha effettuato i calcoli sino al febbraio 2014 poiché in possesso della relativa documentazione sino a detta data” (ultima pag. della sentenza di primo grado).

La ricorrente avrebbe quindi dovuto indicare precisamente l’atto difensivo in cui erano state tempestivamente e ritualmente proposte in primo grado entrambe le domande (ad es. il ricorso introduttivo della controversia dinanzi al Giudice del lavoro di *****) nonché, in ipotesi di omessa pronuncia o di non accoglimento di tali domande da parte di quest’ultimo, la relativa doglianza o l’espressa riproposizione delle stesse nel ricorso in appello, eventualmente riportando i corrispondenti brani dei precedenti atti di parte nel ricorso per cassazione.

In difetto dell’assoluzione di questo onere – nella parte introduttiva del ricorso si fa solo un generico riferimento al fatto che la sentenza di primo grado era stata appellata “perché il tribunale non si era pronunciato sulla domanda di restituzione degli arretrati non versati successivamente al febbraio 2014 né sulla domanda (di) liquidazione della pensione” (pag. 3), senza riportare tali domande nei loro esatti termini e senza specificare l’atto difensivo in cui erano state proposte e, eventualmente, riproposte – il motivo fondato sul dedotto error in procedendo non può ritenersi ammissibile, non avendo questa Corte gli elementi per verificare l’originaria ritualità e tempestività delle domande asseritamente non delibate, nonché la ritualità e tempestività delle censure eventualmente formulate in appello avverso la omessa pronuncia in primo grado ovvero la ritualità e tempestività della loro espressa riproposizione in ipotesi di mancato accoglimento.

In definitiva, il ricorso proposto da A.S.R. deve essere rigettato.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quarta Sezione Civile, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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