LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31132-2020 proposto da:
B.G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato LUIGI NAPOLITANO, rappresentata e difesa dall’avvocato RICCARDO MARONE;
– ricorrente –
contro
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 292, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BALDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO DIEGO ANGELO DEL BORRELLO;
– controricorrente –
contro
C.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2467/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA FIECCONI.
RILEVATO
che:
1. Con ricorso notificato il 27 novembre/2 dicembre 2020, illustrato da successiva memoria, B.G.L. impugna la sentenza n. 2467/2020, pubblicata il 2/10/2020 e notificata in pari data, con la quale, a conferma della sentenza del Tribunale di Milano, ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata nei confronti di UnipolSai ass.ni e di C.G., avente ad oggetto l’ulteriore danno patrimoniale (indicato nella misura di Euro 100.000,00) subito dalla ricorrente per la perdita conseguente alla morte della figlia in un sinistro stradale, quale socia dell’impresa familiare di cui facevano parte madre e figlia.
2. Tale azione giudiziale era seguita ad altra in cui la medesima domanda, per quanto accolta, era stata giudicata inammissibile in quanto formulata tardivamente.
3. L’intimata assicurazione ha notificato controricorso per dedurre preliminarmente la tardività dell’impugnazione rispetto al tempo della notifica della sentenza impugnata, ex art. 326 c.p.c., e la infondatezza dei motivi di ricorso. C.G. non ha partecipato al giudizio.
4. La Corte d’appello, per quello che qui rileva, rigettando la domanda ha confermato la sentenza di primo grado che ha ritenuto la domanda sfornita di prova. Il ricorso è affidato a tre motivi, il primo attinente alla omessa considerazione della qualità di imprenditore della figlia deceduta, il secondo e terzo collegati alla omessa considerazione, anche nel valutare le prove per testi ritenute irrilevanti, del nesso causale tra fatto dedotto e danno, vale a dire, più precisamente, che il danno richiesto sarebbe collegato alla perdita economica derivata dal venir meno dell’apporto lavorativo della figlia nell’impresa di famiglia e non solo al fatto che detto apporto fosse indispensabile ai fini della prosecuzione dell’impresa familiare, danno parimenti dedotto. Parte controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Preliminarmente, va disattesa la eccezione di tardività dell’impugnazione per superamento del termine breve per l’impugnazione. Difatti, per quanto la ricorrente abbia omesso di rappresentare l’intervenuta notifica della sentenza, il ricorso supera la prova di resistenza indicata da Cass. n. 17066 del 2013 e successive conformi, in quanto esso è stato notificato in tempo utile, posto che l’atto di avvio della notifica risale al 27 novembre 2020 e la sentenza è stata pubblicata il 2 ottobre 2020. Difatti, pur in difetto di produzione della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al Giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2.
2. Con il primo motivo di deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, Error in iudicando”. Si adduce che il giudice d’ appello abbia erroneamente rigettato la domanda sul presupposto che “l’appellante non ha fornito elementi per provare che l’apporto nell’impresa fornito dalla figlia non poteva essere sostituito attraverso l’assunzione di personale dipendente” così commettendo un evidente errore di diritto in quanto si confonderebbe l’attività dell’imprenditore (quale quella svolta dalla figlia deceduta) con quella di un lavoratore dipendente. Mentre non si sarebbe considerato che l’art. 230 bis c.c. disciplina l’impresa familiare chiarendo, altresì, al comma 4 che il diritto di partecipazione all’impresa familiare è intrasferibile per cui non si comprenderebbe come il giudice di appello abbia potuto ritenere fungibile il ruolo dell’imprenditore con quello di un qualsiasi lavoratore dipendente, soprattutto nell’ambito di una impresa familiare, caratterizzata come è noto, dalla presenza nell’azienda di persone legate da vincoli familiari e che hanno, quindi, una attitudine lavorativa assolutamente diversa in termini di impegno, dedizione e interesse personale.
3. Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5. Error in procedendo”, là dove la Corte di merito ha ritenuto irrilevanti le prove per testi perché non indicherebbero la impossibilità o la estrema difficoltà di sostituire l’apporto alla gestione amministrativa e contabile dato dalla figlia all’impresa familiare, avente ad oggetto la riparazione e montaggio di apparecchiature, sì da rendere impossibile la prosecuzione dell’attività. Si adduce, infatti, che dall’ingresso della figlia quale socia vi fosse stato un incremento del 2000% del fatturato, di cui dà atto la stessa Corte d’appello, e che sia contraddittorio non ammettere i mezzi di prova sulla perdita derivata per poi concludere che sia mancata la prova del nesso causale tra la morte e la riduzione del reddito d’impresa. Si denuncia, poi, la mancata considerazione del fatto che ad essere venuta meno non era una comune dipendente ma la socia al 49% della società di famiglia, che dava apporto con il suo lavoro al sostentamento della famiglia la quale, per le plurime competenze gestionali che aveva assunto all’interno dell’impresa, era da ritenersi insostituibile in quanto la società era cessata dopo l’evento luttuoso; che, pertanto nella sentenza vi sia un vizio motivazionale sul punto del rigetto delle prove per testi in quanto erroneamente ritenute irrilevanti sotto entrambi i profili.
4. Con il terzo motivo di deduce violazione del principio di corrispondenza e pronunciato ex art. 112 c.p.c. in quanto la Corte di merito avrebbe inteso la domanda come tesa a provare l’assoluta impossibilità a proseguire l’attività dell’impresa, mentre essa avrebbe dovuto intendersi quale richiesta di ristoro per la riduzione del reddito di impresa a causa del decesso della figlia.
5. Il terzo motivo, involgendo una questione pregiudiziale in ordine all’esatta qualificazione della pretesa risarcitoria, deve essere considerato per primo.
5.1. Il motivo è fondato.
5.2. A p. 15 del ricorso si indica che la ricorrente ha chiesto la condanna “al risarcimento del danno patrimoniale da perdita di reddito personale prodotto da attività di impresa, di cui la sig.ra B.G.L. era titolare della quota del 51% in conseguenza del decesso della sig.ra B.M. pari a Euro 553.282,29, oltre interessi e rivalutazione dalla data della domanda e sino al soddisfo”.
5.3. La deduzione è sufficiente per essere considerata in tale sede come vizio motivazionale della sentenza nell’interpretare la domanda. A p. 3 del ricorso, nella esposizione dei fatti di causa, si precisa che con il primo giudizio introdotto, anteriore a quello in discussione, era stato chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non, a titolo di danno patrimoniale per la perdita degli introiti che la vittima avrebbe destinato alla famiglia contribuendo al bilancio familiare. Inoltre, si riferisce che, nella prima memoria del 27.9.2001, era stata indicata la somma a titolo di risarcimento per i maggiori introiti che la ricorrente avrebbe potuto percepire, in qualità di socia di maggioranza dell’impresa, se l’altra socia avesse proseguito la propria attività lavorativa all’interno dell’impresa di famiglia, deducendo che si tratta della medesima domanda che, nel primo giudizio, era stata accolta a titolo di danno da perdita di reddito nella minore misura di Euro 100.000,00, per quanto dichiarata inammissibile in sede di impugnazione, in quanto tardiva.
5.4. Invero, la domanda proposta nel presente giudizio ricalca la causa petendi della prima dichiarata inammissibile in termini di lucro cessante (perdita di reddito), cui si sarebbe aggiunta anche quella collegata al danno emergente (perdita di continuità aziendale e chiusura definitiva dell’attività).
5.5. Sebbene come deduzione di violazione dell’art. 112 c.p.c. il motivo sia mal formulato, perché la Corte di merito ha provveduto sulla domanda e la ha interpretata in tal modo, purtuttavia, deve ritenersi che esso meriti accoglimento là dove in esso traspare una denuncia di vizio motivazionale.
5.6. La rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda, normalmente riservata al giudice di merito e’, infatti, sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di “error fatti”, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 31546 del 03/12/2019; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 13602 del 21/05/2019; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020).
5.7. Pertanto, il fatto che il giudice abbia considerato solo una parte della domanda attorea, tesa a dimostrare il carattere indispensabile e insostituibile della socia d’opera e la conseguente perdita della continuità aziendale, ma non anche la perdita patrimoniale (lucro cessante) che è derivata all’altra socia in termini di mancato apporto di reddito nell’impresa familiare nell’immediato periodo post mortem, rende evidente il vizio motivazionale in cui è incorso il giudice sotto il profilo del vizio di “error facti”, con riferimento alla motivazione resa e nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo stato omesso un fatto nel qualificare i contorni della domanda.
6. Accolto il terzo motivo, esaminato in via pregiudiziale, il primo e il secondo motivo rimangono pertanto assorbiti perché diretti a criticare una sentenza che ha pronunciato sulla base di una interpretazione della domanda attinta da vizio di motivazione. Il giudizio sulla rilevanza delle prove costituende, difatti, è stato svolto in relazione solo al danno da cessazione dell’attività d’impresa e non anche da contrazione reddituale in danno del socio di maggioranza, che è quello che è stato ugualmente chiesto e non considerato; pertanto, le prove avrebbero dovuto essere valutate in riferimento al petitum dedotto.
7. Conseguentemente, il ricorso va accolto quanto al terzo motivo, con assorbimento del primo e del secondo, e conseguente cassazione della sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
PQM
La Corte, accoglie il ricorso quanto al terzo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Milano perché provveda, in diversa composizione, anche in merito alle spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta – sotto sez. terza civile, il 12 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022