Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1118 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4842/2021 R.G. proposto da:

O.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Noemi Nappi, con domicilio eletto in Roma, piazza S. Salvatore in Campo, n. 33, presso lo studio dell’Avv. Nicolina Giuseppina Muccio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1197/20, depositata il 30 giugno 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

RILEVATO

che O.L., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 30 giugno 2020, con cui la Corte d’appello di Firenze ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 31 luglio 2019 dal Tribunale di Firenze, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base d’informazioni desunte da una sola fonte, senza tenere conto della situazione in atto nella sua regione di provenienza, caratterizzata da uno stato di violenza diffusa ed indiscriminata derivante da conflitti interni che coinvolgono l’intero territorio e sfuggono al controllo delle forze di polizia;

che il motivo è inammissibile, in quanto, postulando che il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria trovi giustificazione nell’accertata insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato in atto nella regione di origine del ricorrente, non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha proceduto alla predetta verifica soltanto ad abundantiam, avendo in precedenza rilevato l’inammissibilità dei motivi di gravame proposti al riguardo, per difetto di specificità e pertinenza, in quanto il ricorrente si era limitato a richiamare precedenti giurisprudenziali concernenti genericamente la situazione della Nigeria, mai addotta a giustificazione della scelta di espatriare;

che qualora, come nella specie, il giudice, dopo aver dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas judicandi al riguardo, abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione, e quindi prive di effetti giuridici, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione (cfr. Cass., Sez. Un., 1/02/ 2021, n. 2155; Cass., Sez. I, 16/06/2020, n. 11675; Cass., Sez. VI, 19/12/ 2017, n. 30393);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, nonché il difetto di motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria senza accertare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità personale, ricollegabile alla situazione di invivibilità esistente nella sua area di provenienza, né il livello d’integrazione sociale da lui raggiunto in Italia, per effetto dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che il motivo è inammissibile;

che, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata si è correttamente attenuta all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’applicazione di tale misura richiede una valutazione comparativa, da svolgersi caso per caso, attraverso il confronto tra la vita privata e familiare condotta dal richiedente in Italia e la situazione personale in cui versava prima dell’abbandono del paese di origine, ed alla quale si troverebbe nuovamente esposto in caso di rimpatrio, in modo tale da verificare se quest’ultimo possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. Cass., Sez. I, 14/08/2020, n. 17130; 23/02/2018, n. 4455);

che la Corte territoriale ha infatti rilevato da un lato la mancata allegazione di elementi di fatto idonei ad evidenziare una condizione di vulnerabilità personale del ricorrente, dall’altro la mancata dimostrazione da parte di quest’ultimo dell’avvenuto raggiungimento di un adeguato livello d’integrazione sociale ed economica nel territorio italiano, in considerazione della mancata instaurazione di vincoli affettivi con la comunità locale e della precarietà delle attività lavorative svolte;

che, nel lamentare l’omessa valutazione della situazione d’invivibilità esistente nel suo Paese di origine e del rapporto di lavoro a tempo indeterminato da lui instaurato, il ricorrente fa valere per un verso una circostanza che, come rilevato dalla sentenza impugnata, non è stata mai precedentemente addotta a giustificazione della decisione di espatriare, e per altro verso una circostanza contrastante con l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale, in tal modo sollecitando una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 cit. da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/ 2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547). Va per altro verso rilevato che la eventuale maturazione di una situazione di integrazione lavorativa significativa, intervenuta dopo la decisione di merito, potrà costituire l’oggetto di una successiva richiesta di protezione ma non può costituire l’oggetto di una rivalutazione della decisione impugnata in questo giudizio di legittimità;

che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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