LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36665/2019 R.G. proposto da:
S.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Carmela Pedullà, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
G.K.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Eelena Parisi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 988/19, depositata il 3 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.
RILEVATO
che con sentenza del 10 novembre 2017 il Tribunale di Catania pronunciò la separazione personale dei coniugi S.S. e G.K.M., rigettando le domande di addebito reciprocamente proposte dalle parti, disponendo l’affidamento condiviso del figlio minore E.S., con collocamento presso la madre e determinazione delle modalità di svolgimento dei rapporti con il padre, e ponendo a carico dell’uomo l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 400,00 a titolo di contributo per il mantenimento della donna, nonché un assegno mensile di Euro 500,00 a titolo di contributo per il mantenimento del figlio, nonché l’obbligo di contribuire alle spese straordinarie necessarie per quest’ultimo, nella misura del 70%;, che il gravame interposto dal S. è stato parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Catania, che con sentenza del 3 maggio 2019 ha rideterminato le modalità di esercizio del diritto di visita nel periodo estivo;
che avverso la predetta sentenza il S. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, illustrato anche con memoria, al quale la G. ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che è infondata l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione, sollevata dalla difesa della controricorrente in relazione al mancato richiamo della L. 21 gennaio 1994, n. 53 nell’oggetto del messaggio di posta elettronica mediante il quale è stata effettuata la notificazione del ricorso, alla mancata allegazione della dichiarazione di conformità della relata di notifica ed al mancato deposito della procura speciale;
che, nel richiedere l’inserimento della dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” nell’oggetto del messaggio utilizzato dall’avvocato per l’effettuazione della notificazione in via telematica, l della predetta L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 4, non individua un requisito prescritto a pena di nullità della notifica, non essendo tale conseguenza prevista espressamente dalla norma in esame, e non trattandosi di una disposizione riguardante la persona cui dev’essere consegnata la copia dell’atto, né derivando dalla sua inosservanza un’incertezza assoluta in ordine alla persona cui è fatta o alla data della notificazione, come richiesto dall’art. 160 c.p.c.;
che nella specie, d’altronde, nonostante la mancanza della predetta dizione, impropriamente sostituita da quella “notifica in proprio ricorso in cassazione S./ G. avverso sentenza n. 988/19, emessa dalla Corte d’appello di Catania nel di 4/04/19-03/05/19”, la nullità non potrebbe comunque essere pronunciata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, avendo la notificazione raggiunto lo scopo cui era destinata, per effetto della tempestiva costituzione dell’intimata;
che l’attestazione di conformità della relata di notifica e la procura speciale, non allegate al ricorso al momento del relativo deposito, avvenuto il 13 dicembre 2019, risultano invece depositate in Cancelleria il 16 dicembre 2019, e quindi prima della scadenza del termine ultimo per la produzione delle stesse, rappresentato, come ripetutamente affermato da questa Corte, dalla data dell’adunanza fissata per la decisione della causa (cfr. Cass., Sez. Un., 24/09/2018, n. 22438; Cass., Sez. III, 30/10/2018, n. 27480);
che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2729 c.c., sostenendo che, ai fini della liquidazione dei contributi da lui dovuti per il mantenimento del coniuge e del figlio e per le spese straordinarie e della regolamentazione delle spese legali, la Corte territoriale ha fatto ricorso ad elementi indiziari privi dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza, trascurando le prove documentali da lui offerte;
che in particolare, ai fini della quantificazione dell’assegno per il figlio, la sentenza impugnata ha erroneamente desunto il tenore di vita familiare dalle elargizioni erogate da suo padre e le sue risorse economiche dai diritti vantati su immobili in nuda proprietà o improduttivi di reddito e sui beni destinati all’esercizio della sua attività lavorativa, dalla titolarità di quote in società non produttive di utili, da investimenti effettuati con i proventi dell’attività svolta prima del matrimonio e da attività lavorative rimaste indimostrate, nonché dall’utilizzazione di autovetture di proprietà di suo padre;
che, nella determinazione dell’assegno per il coniuge, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della giurisprudenza formatasi in tema di assegno divorzile, applicabile analogicamente anche in tema di separazione, avuto riguardo alla similitudine dei due istituti;
che, nella regolamentazione delle spese processuali, la Corte territoriale non ha infine tenuto conto della fondatezza delle argomentazioni da lui svolte in ordine al tenore di vita familiare ed alle sue risorse economiche, nonché dell’accoglimento parziale dell’appello;
che il motivo è infondato;
che, in tema di prova per presunzioni, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che la valutazione dell’opportunità del ricorso ad elementi indiziari, l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e la valutazione della rispondenza degli stessi ai requisiti di legge si risolvono in un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per manifesta incongruenza o illogicità della motivazione, nella specie neppure dedotte, non potendo la parte limitarsi a prospettare un convincimento diverso da quello espresso nel provvedimento impugnato, ma dovendo far emergere l’assoluta incoerenza o la grave contraddittorietà del ragionamento decisorio, e restando comunque escluso che la mancata valutazione di un solo elemento indiziario possa tradursi nell’omesso esame di un fatto decisivo (cfr. Cass., Sez. lav., 5/08/2021, n. 22366; Cass., Sez. VI, 26/02/2020, n. 5279; Cass., Sez. III, 30/05/2019, n. 14762);
che, nell’accertamento della capacità reddituale e patrimoniale del ricorrente, ai fini della determinazione degli assegni da lui dovuti a titolo di contributo per il mantenimento del figlio e del coniuge, la sentenza impugnata si è d’altronde attenuta correttamente all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui nell’ambito della predetta indagine assumono rilievo, oltre al tenore di vita mantenuto dai coniugi nel corso della convivenza, non solo il reddito dell’obbligato, ma anche altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, potenzialmente incidenti sulle condizioni delle parti, quali la titolarità di un consistente patrimonio, immobiliare o anche mobiliare, ed il possesso di beni, eventualmente anche di proprietà di terzi, ma dei quali esse possano disporre continuativamente, e che appaiano idonei a permettere alle stesse la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (cfr. Cass., Sez. I, 12/01/2017, n. 605; 11/07/2013, n. 17199; 24/04/2007, n. 9915);
che, in quest’ottica, non merita censura la rilevanza attribuita dalla Corte territoriale a) all’effettuazione da parte del ricorrente di investimenti finanziari, indipendentemente dall’avvenuta effettuazione degli stessi con i proventi dell’attività lavorativa svolta prima del matrimonio, b) alla titolarità di immobili in nuda proprietà e partecipazioni in società risultanti in passivo o in stato di liquidazione, trattandosi comunque di cespiti che, seppure non produttivi di reddito, risultavano comunque suscettibili di valutazione economica, e c) all’utilizzazione da parte del ricorrente di autovetture di lusso intestate a suo padre, trattandosi di beni posti continuativamente a sua disposizione;
che la valutazione dei benefici derivanti dalle elargizioni anche cospicue di denaro ripetutamente effettuate dal padre del ricorrente in favore di quest’ultimo trova a sua volta conforto nel principio, anch’esso enunciato da questa Corte, secondo cui, ai fini dell’accertamento delle risorse economiche dello obbligato, occorre tener conto di ogni tipo di reddito disponibile, ivi compreso quello derivante da erogazioni effettuate da parte dei familiari nel corso della convivenza, e che si protraggano in regime di separazione con carattere di regolarità e continuità tali da influire in maniera stabile e certa sul tenore di vita dell’interessato (cfr. Cass., Sez. VI, 10/06/2014, n. 13026; Cass., Sez. I, 26/06/1996, n. 5916);
che, nell’insistere sulla mancata dimostrazione di ulteriori attività produttive di reddito da lui asseritamente svolte e sul peggioramento delle proprie condizioni economiche, il ricorrente sollecita una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);
che l’invocata applicazione in via analogica di un precedente in tema di assegno divorzile, secondo cui l’accertamento della mancanza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, richiesto ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, dev’essere effettuato con riguardo non già ad un “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”, ma con esclusivo riferimento all'”indipendenza o autosufficienza economica” del beneficiario (cfr. Cass., Sez. I, 10/05/2017, n. 11504), si pone in contrasto, oltre che con la rimeditazione di tale principio ad opera delle Sezioni Unite (cfr. sent. 11/07/2018, n. 18287), con le profonde differenze strutturali e funzionali riscontrabili tra l’assegno di mantenimento e quello divorzile, aventi il loro fondamento rispettivamente nella persistenza nel vincolo coniugale e nel dovere di solidarietà conseguente allo scioglimento del matrimonio;
che, in tema di spese processuali, il sindacato del Giudice di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato alla verifica che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, restando invece affidata alla discrezionalità del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass., Sez. VI, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. V, 31/03/2017, n. 8421; 19/06/2013, n. 15317);
che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della contro-ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022