Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1136 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1810/2021 R.G. proposto da:

I.F. (o I.), rappresentato e difeso dall’Avv. Danilo Colavincenzo, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 939/20, depositata il 30 giugno 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

RILEVATO

che, con sentenza del 26 giugno 2017, la Corte d’appello di L’Aquila dichiarò inammissibile, in quanto tardivo, il gravame interposto da I.F. (o I.), avverso l’ordinanza del 5 ottobre 2016, con cui il Tribunale di L’Aquila aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante;

che l’impugnazione proposta dall’ I. fu accolta da questa Corte con ordinanza del 14 gennaio 2019, n. 660/19, con cui fu enunciato il seguente principio di diritto:

“Nel vigore del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19, così come modificato dal D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, art. 27, comma 1, lett. f), l’appello ex art. 702-quater c.p.c. avverso la decisione di primo grado sulla domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale dev’essere introdotto con ricorso e non con citazione, in aderenza alla volontà del legislatore desumibile dal nuovo tenore letterale della norma. Tale innovativa esegesi, in quanto imprevedibile e repentina rispetto al consolidato orientamento pregresso, costituisce un overrulling processuale che, nella specie, assume carattere peculiare in relazione al momento temporale della sua operatività, il quale potrà essere anche anteriore a quello della pubblicazione della prima pronuncia di legittimità che praticò la opposta esegesi (Cass. n. 17420 del 2017), e ciò in dipendenza dell’affidamento riposto nella perpetuazione della regola antecedente, sempre desumibile dalla giurisprudenza della Corte, per cui l’appello secondo il regime dell’art. 702-quater c.p.c. risultava proponibile con citazione. Resta fermo il principio che, nei giudizi di rinvio riassunti a seguito di cassazione, il giudice del merito è vincolato al principio enunciato a norma dell’art. 384 c.p.c., al quale dovrà uniformarsi anche se difforme dal nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità”.

che il giudizio è stato pertanto riassunto dinanzi alla Corte d’appello di L’Aquila, che con sentenza del 30 giugno 2020 ha rigettato l’appello;

che avverso la predetta sentenza l’ I. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, al quale il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g) e h), art. 3, commi 3 e 5, artt. 5, 7 e art. 14, lett. c), del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e art. 27, comma 1-bis, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 27, comma 1, lett. f), dell’art. 15, lett. c), della direttiva 2011/95/UE e dell’art. 46 della direttiva 2013/32/UE, rilevando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria proposta ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), la sentenza impugnata si è limitata ad escludere l’attendibilità delle dichiarazioni da lui rese, omettendo di procedere all’acquisizione ufficiosa d’informazioni in ordine alla situazione generale della Nigeria e della sua regione di provenienza, e trascurando le fonti d’informazioni da lui prodotte, senza indicare specificamente quelle utilizzate;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per omissione, apparenza e/o contraddittorietà della motivazione, ribadendo che, ai fini dell’esclusione della sussistenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), la sentenza impugnata si è limitata ad affermare l’inattendibilità della vicenda personale da lui riferita, senza inquadrarla nelle informazioni relative alla situazione politica e sociale della Nigeria ed al livello di protezione offerta dalle istituzioni statali desumibili dalle fonti da lui indicate o da altre fonti acquisite d’ufficio;

che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono parzialmente fondati;

che la sentenza impugnata non merita censura nella parte in cui, ai fini dell’esclusione della possibilità che in caso di rimpatrio il ricorrente resti assoggettato ad un trattamento inumano o degradante, ha omesso di procedere all’acquisizione d’informazioni in ordine alla situazione generale della Nigeria ed a quella particolare dell’Edo State, dal quale proviene, limitandosi a rilevare la genericità, la contraddittorietà e l’inverosimiglianza delle dichiarazioni da lui rese, e concludendo pertanto per l’inattendibilità delle stesse;

che, in tema di protezione sussidiaria, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che il giudizio negativo in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente, espresso in conformità dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, risulta di per sé sufficiente a dispensare il giudice dal compimento di approfondimenti officiosi in ordine alla situazione del Paese di origine, ai fini dell’esclusione della configurabilità delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non trovando applicazione in tal caso il dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, il quale non opera laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. tra le altre, Cass., Sez. II, 11/08/2020, n. 16925; Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 27/06/2018, n. 16925);

che la ritenuta inattendibilità della vicenda personale risulta invece irrilevante ai fini dell’accertamento della fattispecie di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la quale, essendo correlata alla provenienza del richiedente dall’area interessata dal conflitto armato da cui deriva la situazione di violenza indiscriminata che costituisce fonte della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona prospettata a sostegno della domanda, può essere ritenuta insussistente soltanto nel caso in cui i dubbi sollevati in ordine alla credibilità delle dichiarazioni da lui rese riguardino proprio questo profilo (cfr. Cass., Sez. I, 6/07/2020, n. 13940; 24/05/2019, n. 14283);

che, nell’escludere la configurabilità della predetta fattispecie, la sentenza impugnata non si è affatto limitata a ribadire l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, ma ha affermato che la situazione di violenza) esistente in Nigeria non ha raggiunto, per diffusione sul territorio e frequenza di scontri ed attentati, un livello talmente elevato da indurre a ritenere che un civile, se rinviato in quel Paese, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio di subire un danno grave alla vita o alla persona, precisando in particolare che la regione da cui proviene il ricorrente è situata nell’area meridionale, a distanza di migliaia di chilometri da quella nordorientale, interessata da conflitti armati e violenze;

che la Corte territoriale ha tuttavia omesso d’indicare le fonti d’informazione sulla base delle quali ha formato il proprio convincimento, essendosi limitata a rinviare ad alcuni precedenti di legittimità anch’essi riguardanti cittadini nigeriani, ed avendo per il resto richiamato informazioni desunte da rapporti non meglio precisati;

che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nell’imporre di esaminare la domanda di riconoscimento della protezione internazionale alla luce d’informazioni precise ed aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine del richiedente, desunte dalle fonti privilegiate ivi indicate, dev’essere invece interpretato nel senso che il giudice è tenuto a specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, in modo tale da consentire alle parti di verificarne la pertinenza e la specificità, incorrendo altrimenti la decisione nel vizio di motivazione apparente (cfr. Cass., Sez. II, 27/01/2021, n. 1777; Cass., Sez. I, 30/06/2020, n. 13255; 22/05/2019, n. 13897);

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché per omissione, apparenza e/o contraddittorietà della motivazione, sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte d’appello ha omesso di valutare la sua condizione personale, essendosi limitata a ribadire l’inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese, senza acquisire informazioni idonee ad escludere la sua esposizione a gravi violazioni dei diritti umani in caso di rimpatrio, ed avendo ritenuto insufficiente lo svolgimento di un’attività lavorativa, da lui mai dedotto, senza tener conto delle sue condizioni di salute;

che il motivo è infondato;

che, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte territoriale non ha richiamato in alcun modo il giudizio d’inattendibilità della vicenda personale del richiedente, espresso in riferimento all’applicazione delle forme di protezione c.d. maggiori, ma ha rilevato la mancata allegazione di elementi circostanziati idonei ad evidenziare una situazione di particolare vulnerabilità, ritenendo a tal fine insufficienti la giovane età del ricorrente, il mero riferimento alla situazione generale esistente nel suo Paese di origine, sotto il profilo del rispetto dei diritti umani, e la precarietà delle sue condizioni economiche, nonché lo svolgimento di un’attività lavorativa in Italia;

che tale apprezzamento trova conforto nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in favore del cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, postula un confronto tra la situazione soggettiva ed oggettiva in cui il richiedente versava prima dell’allontanamento dal Paese d’origine ed il livello d’integrazione da lui raggiunto in Italia, volto a verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo del-lo statuto della dignità personale (cfr. Cass., Sez. I, 14/08/ 2020, n. 17130; 23/02/2018, n. 4455);

che la natura comparativa della predetta valutazione, da condursi caso per caso e con riferimento alla situazione personale del richiedente, esclude peraltro la possibilità sia di prendere in considerazione uno solo dei due aspetti, isolatamente ed astrattamente, sia di valorizzare il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di origine, prendendosi altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il paradigma normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (cfr. Cass., Sez. VI, 3/04/2019, n. 9304; 28/06/2018, n. 17072);

che, nel lamentare l’omessa valutazione delle sue condizioni di salute, il ricorrente fa valere un elemento di fatto non risultante dalla sentenza impugnata, senza precisare né le patologie dalle quali è affetto, né in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito tale circostanza è stata dedotta, con la conseguenza che il motivo risulta, sotto tale profilo, privo di specificità;

che la sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dal parziale accoglimento dei primi due motivi, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di L’Aquila, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, rigetta il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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