Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1137 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1682/2021 R.G. proposto da:

SOTECO S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.

B.S., rappresentato e difeso dagli Avv. Antonio Spallieri e Pasquale Esposito, con domicilio eletto in Roma, corso Trieste, n. 16, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Sottile;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TIRIOLO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Crescenzio Santuori, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 898/20, depositata il 22 giugno 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

RILEVATO

che la Soteco S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso la sentenza del 22 giugno 2020, con cui la Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato il gravame da essa interposto avverso la sentenza emessa il 22 settembre 2015 dal Tribunale di Catanzaro, che aveva parzialmente accolto l’opposizione proposta dal Comune di Tiriolo avverso il decreto ingiuntivo n. 890/13, dando atto della parziale estinzione del debito nel corso del procedimento monitorio e condannando l’opponente al pagamento della minor somma di Euro 113.936,36, oltre interessi di legge, a titolo di corrispettivo dei lavori di costruzione di un impianto di depurazione;

che il Comune ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria.

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,115 e 291 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto nulla, anziché inesistente, la notificazione dell’atto di opposizione, non effettuata a causa dell’errata indicazione del numero civico dell’indirizzo del destinatario, senza tener conto della mancata consegna dell’atto e senza verificare se la rinnovazione avesse avuto luogo entro un lasso di tempo ragionevole;

che il motivo è fondato;

che le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, hanno infatti distinto chiaramente tra le ipotesi di nullità della notificazione e quelle d’inesistenza, affermando che quest’ultima è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, soltanto nelle ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione;

che i predetti elementi sono stati individuati a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato, b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita);

che, sulla base di tale distinzione, ritenuta conforme ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, è stato pertanto affermato che la notificazione è inesistente nell’ipotesi in cui l’atto sia stato restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (cfr. Cass., Sez. Un., 20/07/2016, n. 14916; Cass., Sez. V, 16/02/ 2018, n. 3816; Cass., Sez. VI, 27/01/2017, n. 2174);

che a tale conclusione deve pervenirsi anche in riferimento alla fattispecie in esame, essendo pacifico che la notificazione dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, tentata a mezzo del servizio postale presso l’indirizzo del procuratore costituito per la società opposta nel procedimento monitorio, è risultata vana, per avere l’agente postale restituito l’atto senza consegnarlo, con la motivazione “sconosciuto all’indirizzo”, a causa della difformità tra il numero civico indicato nel ricorso e nella relata di notifica e quello riportato sull’avviso di ricevimento;

che non può dunque condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, ritenuto che la difformità nell’indicazione del numero civico fosse riconducibile ad un mero errore materiale occorso nella redazione dell’avviso di ricevimento, agevolmente rilevabile dall’agente postale attraverso il confronto tra gli atti pertinenti alla notifica, e comunque inidonea ad impedire la corretta individuazione del luogo in cui la stessa avrebbe dovuto essere effettuata, ha concluso per la nullità, anziché per l’inesistenza, della notificazione;

che tale inesistenza, escludendo l’applicabilità dell’art. 291 c.p.c., riferibile esclusivamente all’ipotesi della nullità della notificazione, preclude anche la produzione dell’effetto impeditivo della decadenza previsto da tale disposizione, traducendosi, nel procedimento monitorio, nella definitività del decreto ingiuntivo e nella conseguente inammissibilità dell’opposizione;

che è pertanto inammissibile il secondo motivo d’impugnazione, con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1174 e 1218 c.c., rilevando che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento degl’interessi nella misura e con la decorrenza previste del D.P.R. 19 aprile 2000, n. 145, artt. 29 e 30, essendosi limitata a giustificarne il rigetto in primo grado sulla base dell’intervenuto rigetto della domanda di pagamento degli acconti corrisposti;

che il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, se non opposto nel termine di legge, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame del rapporto, anche in riferimento agli accessori del credito (cfr. Cass., Sez. I, 24/09/2018, n. 22465; Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28318; Cass., Sez. lav., 20/04/1996, n. 3757);

che resta invece assorbito il terzo motivo, con cui la ricorrente ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 92 e 115 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la liquidazione delle spese processuali risultante dalla sentenza di primo grado, senza considerare che la somma dovuta era stata parzialmente corrisposta soltanto nel corso del giudizio;

che la dichiarazione d’inesistenza della notificazione, comportando l’accoglimento dell’appello, con la conseguente dichiarazione d’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo, si traduce infatti nella caducazione della sentenza di primo grado, anche nella parte riguardante il regolamento delle spese processuali;

che la sentenza impugnata va pertanto cassata, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la dichiarazione d’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo;

che le spese dei tre gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’opposizione al decreto ingiuntivo. Condanna il contro-ricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese dei tre gradi di giudizio, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge per il giudizio di primo grado, in Euro 7.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge per il giudizio di appello ed in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge per il giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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