Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1138 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1018/2021 R.G. proposto da:

N.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Noemi Nappi, con domicilio eletto in Roma, piazza S. Salvatore in Campo, n. 33, presso lo studio dell’Avv. Nicolina Giuseppina Muccio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 769/20, depositata l’8 aprile 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

Rilevato che N.S., cittadino del Gambia, ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso la sentenza dell’8 aprile 2020, con cui la Corte d’appello di Firenze ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa l’8 novembre 2018 dal Tribunale di Firenze, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Considerato che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, rilevando che la sentenza impugnata ha omesso di valutare la credibilità delle dichiarazioni da lui rese a sostegno della domanda, essendosi limitata ad evidenziare la sua ignoranza della data del Ramadan, senza compiere approfondimenti istruttori in ordine alla persecuzione di opinioni, abitudini e pratiche in atto nel suo Paese di origine;

che il motivo è inammissibile, in quanto, postulando che il rigetto del motivo di gravame concernente la credibilità della vicenda personale riferita a sostegno della domanda trovi giustificazione in una valutazione autonomamente compiuta dal Giudice di secondo grado, non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha esaminato nel merito le censure sollevate dal ricorrente, ma le ha dichiarate inammissibili per difetto di specificità, rilevando che il ricorrente non si era curato di confutare il predetto giudizio, ed evidenziando soltanto ad abundantiam la sua incapacità di indicare la data in cui cadeva il Ramadan, a riprova dell’inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese in ordine alle sue convinzioni religiose;

che qualora, come nella specie, il giudice, dopo aver dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas judicandi al riguardo, abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione, e quindi prive di effetti giuridici, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione (cfr. Cass., Sez. Un., 1/02/ 2021, n. 2155; Cass., Sez. I, 16/06/2020, n. 11675; Cass., Sez. VI, 19/12/ 2017, n. 30393);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), nonché il vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria in virtù della ritenuta inattendibilità delle sue dichiarazioni, senza compiere indagini in ordine alla sua vicenda personale ad ai rischi cui egli si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, a causa della situazione generale del suo Paese di origine, ed in particolare delle condizioni del sistema carcerario;

che il motivo è infondato;

che, in tema di protezione sussidiaria, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che il giudizio negativo in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente, espresso in conformità dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, risulta di per sé sufficiente a dispensare il giudice dal compimento di approfondimenti officiosi in ordine alla situazione del Paese di origine, ai fini dell’esclusione della configurabilità delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non trovando applicazione in tal caso il dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, il quale non opera laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. tra le altre, Cass., Sez. II, 11/08/2020, n. 16925; Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 27/06/2018, n. 16925);

che non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, rilevato che il ricorrente non aveva validamente censurato il giudizio d’inattendibilità espresso dal Tribunale in ordine alle dichiarazioni rese dal ricorrente, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, senza procedere all’acquisizione d’informazioni in ordine alla situazione esistente nel suo Paese di origine;

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, senza compiere alcuna valutazione in ordine alle violazioni dei diritti umani in atto nel suo Paese di origine ed al livello d’integrazione da lui raggiunto in Italia;

che il motivo è inammissibile, in quanto, postulando che anche in ordine a tale questione la Corte territoriale abbia proceduto ad un’autonoma valutazione dei fatti, non attinge la ratio della decisione, consistente nel mero rilievo del difetto di specificità delle censure riguardanti l’apprezzamento compiuto dal Tribunale, in quanto volte a ribadire le medesime circostanze già prese in considerazione dalla sentenza di primo grado, e non accompagnate dall’indicazione delle ragioni per cui quest’ultima avrebbe dovuto essere riformata;

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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