LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23625/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate e del Territorio, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
S.T.V. s.r.l., a socio unico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Taranto, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Catania, via Aldebaran, 21;
– controricorrente –
Riscossione Sicilia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. dist. di Catania, n. 653/34/14, depositata il 26 febbraio 2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 ottobre 2021, tenutasi nelle forme previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art.
23, comma 8 bis, conv., con modif., nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal Consigliere Paolo Catallozzi;
lette le conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Cardino Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate e del Territorio propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. dist. di Catania, depositata il 26 febbraio 2014, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che ha accolto i – riuniti – ricorsi della S.T.V. s.r.l. a socio unico per l’annullamento di un atto di contestazione e di una cartella di pagamento emessi.
Dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tali atti impositivi era stata contestata alla società, che si era avvalsa della procedura dell’I.v.a. di gruppo, l’indebita detrazione dell’I.v.a. eseguita da due società controllate, in quanto operata con riferimento ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti.
2. Il giudice di appello ha riferito che la Commissione provinciale aveva accolto i ricorsi della contribuente in ragione dell’estraneità di quest’ultima alle violazioni commesse da altri soggetti e, comunque, del fatto che i prodromici avvisi di accertamento, notificati nei confronti delle società controllate, erano stati annullati in sede giurisdizionale.
Ha, quindi, respinto il gravame erariale motivando la decisione con la mancata dimostrazione dell’inesistenza delle operazioni in oggetto e con la mancata allegazione di un danno erariale, circostanze che avevano indotto il giudice di merito ad annullare i prodromici avvisi di accertamento.
3. Il ricorso è affidato a due motivi di ricorso.
4. Resiste con controricorso la S.T.V. s.r.l. a socio unico.
5. Non spiega, invece, alcuna attività difensiva la Riscossione Sicilia s.p.a..
6. La controricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
7. Il ricorso è stato rimesso all’esame in pubblica udienza all’esito dell’adunanza del 12 novembre 2020.
8. La controricorrente deposita ulteriore memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 73, u.c., delle norme del D.M. Finanze 13 dicembre 1979, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19,21,26 e 54, e dell’art. 2694 c.c., per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’Ufficio non avesse assolto l’onere probatorio sulla stessa gravante di dimostrare l’inesistenza oggettiva delle operazioni rilevate, pur avendo contestato la mancata esecuzione, neanche parziale, delle stesse, e che, in una siffatta situazione, non fosse onere della contribuente dimostrare l’esistenza dei fatti che giustificavano le detrazioni effettuate.
Evidenzia, altresì, l’erroneità della decisione anche nella parte in cui pone a suo fondamento l’assenza di danno erariale conseguente all’annullamento delle fatture in oggetto, attesa l’inapplicabilità della procedura di variazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, alle fatture emesse per operazioni inesistenti.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Con riferimento al primo profilo della doglianza, si osserva che la ricorrente lamenta, nella sostanza, un vizio di sussunzione della decisione di appello, la quale ha escluso che la fattispecie concreta, così come accertata dal giudice o pacificamente riconosciuta dalle parti, fosse idonea a determinare l’effetto dell’assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla ricorrente medesima.
Così qualificata la censura, si rileva che la sentenza impugnata, ritiene che l’Amministrazione finanziaria non abbia offerto prova del fatto che le società – controllate dalla controricorrente -, cui si riferisce l’I.v.a. che si assume essere stata indebitamente detratta, abbiano posto in essere operazioni oggettivamente inesistenti.
Nel giungere ad una siffatta conclusione fa rinvio al contenuto delle decisioni emesse dalla medesima Commissione regionale nei giudizi promossi da tali società avverso gli avvisi di accertamento loro notificati, le cui motivazioni integrano il suo apparato argomentativo, secondo la tecnica redazionale della motivazione per relationem.
Orbene, il motivo di ricorso omette di confrontarsi con l’accertamento fattuale contenuto in tali decisioni, non consentendo di stabilire che i fatti posti a fondamento del motivo medesimo, ossia la mancata esecuzione, neanche parziale, delle operazioni rilevate (cessioni di immobili), sia stata accertata dal giudice di merito ovvero possa ritenersi non oggetto di contestazione.
Così facendo, la critica si risolve non già nella consentita prospettazione dell’erronea sussunzione della fattispecie concreta alla norma applicata, in quanto non idonea a regolarla, bensì nella l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
1.2. La resistenza della ratio decidendi rappresentata dalla mancata dimostrazione dell’inesistenza delle operazioni, aggredita con il primo profilo di censura, rende del tutto irrilevante del secondo profilo con cui si contesta la validità dell’altra ratio decidendi, asseritamente erronea, consistente nell’insussistenza di un danno erariale, in quanto strettamente dipendente, presupponendo l’inesistenza oggettiva delle operazioni.
2. Con il secondo motivo deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver il giudice di appello omesso di prendere in considerazione gli elementi probatori offerti dall’Ufficio e aver valutato tali elementi non osservando il criterio del “prudente apprezzamento”, ma in modo sbrigativo.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La deduzione della violazione dell’art. 115 c.p.c. richiede l’allegazione che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (così, Cass., Sez. Un., 30 settembre 202C), n. 20867).
La censura non contiene una siffatta allegazione, per cui non si conforma al paradigma elaborato dalla giurisprudenza richiamata.
2.2. La doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (cfr. Cass., Sez. Un., n. 20867/2020).
Nel caso in esame, difetta una siffatta allegazione, venendo in rilievo, invece, la deduzione di un cattivo esercizio del prudente apprezzamento della prova da parte del giudice di merito, per cui la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
3. Pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto.
4. Va disattesa la richiesta di condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c., comma 3, avanzata dalla società nella prima memoria depositata, non ravvisandosi una colpa grave nella proposizione del ricorso, benché articolato in motivi giudicati inammissibili, non emergendo elementi da cui desumere il mancato impiego della doverosa diligenza ed accuratezza.
5. Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
PQM
la Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 10.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022
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