LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5784/2018 R.G. proposto da:
A.M., Ar.Ma., B.S., C.N., D.M.C., D.M. e S.M., rappresentati e difesi dall’avv. Edoardo Cannellini;
– ricorrenti –
contro
Fondazione E.N.P.A.M. – Ente Nazionale Previdenza ed Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri, rappresentata e difesa dall’Avv. Vincenzo Squillaci, e dall’Avv. Luigi Mannucci, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Largo Trionfale, n. 7;
– controricorrente –
e contro
EMME 1 S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Abbamonte, con domicilio eletto in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
– controricorrente –
e contro
DA.CHI.RO. S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Liguori, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gregorio XI, n. 13;
– controricorrente –
e contro
M.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Michele Liguori, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gregorio XI, n. 13;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, n. 5290/2017 depositata il 28 dicembre 2017;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20 ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza pubblicata in data 28 dicembre 2017, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda promossa, tra gli altri, da A.M., Ar.Ma., C.N., D.M.C., D.M. e S.M., per l’accertamento, in contraddittorio con l’Enpam, la Emme 1 S.r.l. e la Da.Chi.Ro. S.r.l., del diritto degli attori a esercitare i propri diritti di prelazione e/o di opzione in relazione all’acquisto di immobili di proprietà dell’Enpam e dagli stessi attori condotti in locazione.
2. A fondamento della decisione la corte territoriale – ad “integrazione” della motivazione addotta dal primo giudice (che aveva rigettato la domanda sul solo rilievo che mancava la prova che gli attori avessero manifestato la volontà di procedere all’acquisto degli immobili “in blocco”) – ha evidenziato come il diritto vantato dagli attori non potesse trovare fondamento nella L. n. 104 del 1996 e L. n. 662 del 1996, attesa la già avvenuta trasformazione di detto ente in persona giuridica di diritto privato all’epoca dell’introduzione della nuova disciplina legislativa.
3. Sotto altro profilo la corte territoriale ha, peraltro, evidenziato che:
a) “il diritto in parola non ha certa fonte convenzionale, atteso che non tutti i contratti lo contemplano e, quelli che lo fanno, in ogni caso, lo limitano all’ipotesi della vendita frazionata diretta”;
b) l’ente previdenziale si era determinato alla cessione in blocco (e non frazionata) degli appartamenti detenuti dagli attori, senza che gli stessi avessero mai formulato un’adeguata o efficace proposta di acquisto in blocco attraverso l’intervento di una figura giuridica collettiva esponenziale dei relativi interessi, come pure ad essi era stato riconosciuto dall’ente previdenziale proprietario (con Delib. Consiglio Amministrazione 26 maggio 2006);
c) la decisione di vendere tutto l’edificio in blocco, piuttosto che attendere ad alienazioni particolari in favore dei singoli inquilini, non poteva essere considerata elusiva del diritto di prelazione, “essendo ben possibile che gli inquilini concordi nell’acquisto dell’intero edificio associassero a sé soggetti terzi, incluse società immobiliari, ugualmente privati, conservando così il diritto ad essere preferiti nell’operazione”;
d) né la vendita in blocco poteva considerarsi in sé fraudolenta per essere ad essa immediatamente conseguito il trasferimento da parte dell’acquirente, pochi minuti dopo, ad altra società e a tre privati; ciò in quanto:
d1) l’E.N.P.A.M. aveva premura soltanto di cedere in blocco il compendio, incamerando il relativo prezzo, senza essere accomunata nelle strategie aziendali della acquirente;
d2) la vendita in blocco non cessa di essere tale per la successiva alienazione frazionata delle porzioni dell’edificio da parte dell’acquirente seguita a stretto giro all’acquisto del complesso immobiliare, “dato che la successiva utilizzazione dell’edificio, da parte dell’acquirente, non influisce sui connotati della vendita in blocco” (Cass. 03/11/1993, n. 10835);
e) alcuna simulazione era stata dimostrata in relazione ai due distinti atti di trasferimento: l’uno dalla Fondazione E.N.P.A.M. alla EMME 1 S.r.l. e l’altro da questa alla DA.CHI.RO. S.r.l. e a tre soggetti privati; nulla comprovava, infatti, che la Fondazione avesse inteso, così concertando, di vendere direttamente a terzi singole unità immobiliari, mentre al contrario, vi era dimostrazione documentale del fatto che l’E.N.P.A.M., nel deliberare la vendita del complesso, aveva precisato che la stessa avrebbe dovuto avere ad oggetto l’immobile nella sua interezza (in blocco).
4. La corte d’appello ha infine evidenziato che, esclusa la violazione del diritto di prelazione, non vi era spazio per disquisire del diritto di riscatto, trattandosi di una pretesa succedanea alla prima (donde l’assorbimento del quinto motivo d’appello che riproponeva la relativa domanda).
Al riguardo ha peraltro soggiunto, “per completezza”, che il diritto di riscatto non avrebbe potuto comunque collegarsi ad una prelazione convenzionale, la violazione della quale, stante il carattere solo obbligatorio di questa, avrebbe potuto, al più, determinare condanne risarcitorie.
5. Avverso tale sentenza, i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
6. La Fondazione Enpam, la EMME 1 S.r.l., la Da.Chi.Ro. S.r.l. e M.F. resistono con distinti controricorsi, cui ha fatto seguito il deposito di ulteriori memorie.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1571 e 1321 c.c..
Assumono in premessa che, dalla motivazione della sentenza, si desume che la Corte d’appello:
– affermando che la motivazione del tribunale andasse solo “parzialmente integrata e corretta”, ha implicitamente ritenuto errata l’affermazione che non vi fosse prova della manifestazione di volontà, da parte dei conduttori, di procedere all’acquisto degli immobili secondo le modalità palesate dalla Fondazione ENPAM (ovvero in blocco ed al prezzo individuato dall’advisor): manifestazione che, secondo i ricorrenti, la corte ha dunque a contrario ritenuto provata;
– ha però ritenuto che tale diritto poteva esercitarsi nei confronti della vendita “in blocco” e non sui rispettivi singoli alloggi, poiché la decisione di vendere in blocco l’intero edificio era una scelta insindacabile dell’ente proprietario e non elusiva del predetto diritto.
Ciò premesso, deducono l’erroneità, in diritto, di tale ultima esegesi, richiamando il principio giurisprudenziale secondo il quale perché si abbia vendita in blocco è necessario che i beni alienati tra loro confinanti costituiscano un unicum e siano venduti (o promessi in vendita) non come una pluralità di immobili casualmente appartenenti ad un unico proprietario e ceduti (o cedendi) allo stesso acquirente, ma come un complesso unitario, costituente un quid diverso dalla mera somma delle singole unità immobiliari, con la conseguenza che l’esistenza di un unico atto di vendita, non è dunque, di per sé, sufficiente a escludere che esso contenga in realtà una pluralità di autonomi trasferimenti, nel qual caso, l’eventuale pattuizione di un prezzo globale non preclude la facoltà del conduttore di far valere il diritto in questione sull’immobile locato, né impedisce che il valore di questo bene sia determinato anche in fase di riscatto e in sede giudiziale.
Affermano ancora che non è necessaria l’esistenza del dolo nei confronti dell’inquilino titolare del diritto di prelazione perché questi possa contestare la vendita che lo ha visto pretermesso, ma è sufficiente il solo fatto che l’immobile in questione sia stato ceduto senza la dovuta denuntiatio.
Deducono che erroneamente i giudici d’appello hanno ritenuto che il conduttore non possa opporre il diritto di prelazione, ai fini dell’acquisto dell’alloggio condotto in locazione, al proprietario che invece intenda vendere detto alloggio “in blocco” con altri immobili senza che risulti, o almeno appaia, che nel blocco debba necessariamente essere inserito l’alloggio in questione.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., “nullità della sentenza e del procedimento; error in procedendo”.
Lamentano che – motivando nel modo che si è sopra illustrato (v. supra, “Fatti di causa”, p. 4) sul quinto motivo d’appello – la Corte partenopea è incorsa in omessa pronuncia, non avendo tenuto conto dell’intera domanda dei ricorrenti, peraltro riportata nel contesto della sentenza (pag. 6), la quale era anche diretta, sia pure in via subordinata, alla condanna delle società convenute, “ciascuna per quanto di ragione o in subordine in solido, al risarcimento per equivalente monetario dei danni subiti dai singoli istanti, patrimoniali e non, in conseguenza del denegato diritto di opzione o, subordinatamente, di prelazione per l’acquisto dei rispettivi alloggi, in somme da liquidarsi, con gli accessori, in separato giudizio”.
3. Occorre esaminare anzitutto le eccezioni preliminari opposte, in ordine alla ammissibilità del ricorso, dai controricorrenti; ossia, in ordine logico:
a) l’eccezione di inammissibilità per mancanza di valida procura ex art. 365 c.p.c. (eccezione opposta da Da.Chi.Ro. S.r.l. e M.F. nei propri controricorsi e ripresa nelle rispettive memorie, con riferimento a tutti i ricorrenti con la sola eccezione di Ar.Ma.);
b) l’eccezione (opposta da Fondazione Enpam, Da.Chi.Ro. S.r.l. e M.F.) di inammissibilità del ricorso in quanto riferito anche a B.S., per non essere questi stato parte del precedente giudizio di merito;
c) l’eccezione di giudicato esterno (opposto dalla Fondazione Enpam in memoria e da Da.Chi.Ro. S.r.l. e M.F. nei propri controricorsi e nelle rispettive memorie, con riferimento alle posizioni di tutti gli odierni ricorrenti con la sola eccezione di D.M.C.).
Di tali eccezioni è infondata la prima, mentre sono fondate le altre.
3.1. La nullità delle procure apposte in fogli separati spillati al ricorso è dedotta sul rilievo che esse risultano: prive di data; prive di alcun riferimento alla sentenza impugnata; conferite in favore di un legale del Foro di Napoli, con studio in *****.
3.1.1. L’eccezione, come s’e’ anticipato, va disattesa.
L’esame delle procure, cui questa Corte è comunque chiamata ex officio trattandosi di requisito d’ammissibilità del ricorso, consente di rilevare l’idoneità del loro contenuto a palesarne la specialità, come richiesta per il giudizio di cassazione.
Esse, infatti, bensì mancanti di data e di una specifica indicazione degli estremi della sentenza impugnata, risultano tuttavia conferite per “il giudizio di cui all’antescritto atto dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione” e non contengono riferimenti tali da determinare confusioni o ambiguità (tale non potendosi considerare quello, meramente aggiuntivo, a giudizi “connessi e dipendenti, in ogni fase, con ogni potere e facoltà di legge, ivi compresi quelli di conciliare, rinunziare, proporre controricorsi e ricorsi anche incidentali, domande cautelari, reclami, opposizioni, chiamare terzi in causa, nominare condifensori”).
Va in tal senso ribadito il principio, affermato da questa Corte in un caso analogo (e persino più carente di indicazioni del presente), secondo cui “la procura per il ricorso per cassazione è validamente conferita, soddisfacendo il requisito di specialità di cui all’art. 365 c.p.c., anche se apposta su di un foglio separato, purché materialmente unito al ricorso e benché non contenente alcun riferimento alla sentenza impugnata o al giudizio da promuovere, in quanto, ai sensi dell’art. 83 c.p.c. (come novellato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141), si può ritenere che l’apposizione topografica della procura sia idonea – salvo diverso tenore del suo testo (che, nella specie, non è dato desumere…) – a fornire certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a far presumere la riferibilità della procura medesima al giudizio cui l’atto accede. Ne’ la mancanza di data produce nullità della predetta procura, dovendo essere apprezzata con riguardo al foglio che la contiene alla stregua di qualsiasi procura apposta in calce al ricorso, per cui la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza impugnata si desume dall’intima connessione con il ricorso cui accede e nel quale la sentenza è menzionata, mentre l’anteriorità rispetto alla notifica risulta dal contenuto della copia notificata del ricorso (così Cass. n. 22164 del 05/09/2019, in motivazione, p. 6, pag. 25).
E’ poi appena il caso di aggiungere che nessun rilievo invalidante può derivare dall’essere le procure conferite in favore di un legale del Foro di Napoli, con studio in *****, dal momento che: a) l’abilitazione a patrocinare nei giudizi di legittimità non è certo limitata ad avvocati di un determinato foro, ma richiede solo l’iscrizione all’albo speciale degli avvocati cassazionisti (requisito nella specie sussistente in capo all’Avv. Edoardo Cannellini); b) la mancata elezione di domicilio in Roma è del tutto ininfluente avendo il detto avvocato comunque indicato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, secondo facoltà alternativa prevista dall’art. 366 c.p.c., comma 2, in mancanza di che, peraltro, in base alla stessa norma, si sarebbe avuta la sola conseguenza che le notificazioni avrebbero dovuto farsi presso la cancelleria della Corte di cassazione.
3.2. E’ invece fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto proposto nell’interesse di B.S..
Non avendo questi preso parte al giudizio di appello egli è privo di legittimazione ad impugnare.
Va al riguardo ribadito che la legittimazione al ricorso per cassazione, o all’impugnazione in genere, spetta, fatta eccezione per l’opposizione di terzo, solo a chi abbia formalmente assunto la qualità di parte (non rileva se presente o contumace, originaria o intervenuta) nel precedente grado di giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, indipendentemente dall’effettiva titolarità del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, poiché con l’impugnazione non si esercita un’azione ma un potere processuale che può essere riconosciuto solo a chi abbia partecipato al precedente grado di giudizio (Cass. n. 17974 del 11/09/2015; n. 11525 del 23/05/2014; n. 11525 del 23/05/2014; n. 15168 del 05/08/2004; n. 4878 del 18/05/1994).
3.3. Come s’e’ anticipato, è anche fondata l’eccezione di giudicato esterno.
3.3.1. Il diritto di prelazione azionato nel presente giudizio dagli odierni ricorrenti è stato oggetto di accertamento negativo già in due sentenze, entrambe passate in giudicato successivamente alla sentenza d’appello.
Detto giudicato in particolare discende:
A) dalla sentenza di questa Corte n. 12421 del 08/07/2021 che ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto tra gli altri da due degli odierni ricorrenti ( B.S. e Ar.Ma.), avverso sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1793/2018 del 19/04/2018 che aveva confermato il rigetto della domanda proposta dai predetti e da altri attori avente, rispetto a quella proposta nel primo grado del presente giudizio, identici oggetto e contraddittori (decisione questa resa in giudizio della cui pendenza dà atto anche la sentenza qui impugnata, che, dato anche atto della identità delle questioni trattate, ne esclude però l’effetto impediente solo perché allora non ancora passata in giudicato);
B) dalla sentenza di questa Corte n. 16891 del 15/06/2021 che ha rigettato il ricorso proposto, insieme con altri, da sei degli odierni ricorrenti – A.M., Ar.Ma., B.S., C.N., D.M. e S.M. – avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 4690/2017 del 15/11/2017 che aveva confermato il rigetto della domanda proposta dai predetti e da altri attori per l’accertamento della nullità del contratto preliminare di compravendita dell’edificio ubicato in *****, concluso tra l’ente proprietario e la Emme 1 S.r.l., siccome asseritamente concluso in violazione della disciplina pubblicistica ritenuta nella specie applicabile, nonché in violazione dei diritti di prelazione asseritamente spettanti.
Il rigetto di tale domanda (sia in primo grado che nel secondo) era stato infatti fondato sul rilievo della insussistenza di alcun diritto di prelazione legale degli inquilini sugli immobili facenti parte dell’edificio “*****” (tenuto conto della natura privatistica dell’Enpam sin dal 1994), nonché di alcuna prelazione convenzionale in capo ai medesimi inquilini (attesa l’avvenuta cessione dell’edificio ***** alle Emme 1 s.r.l. nella sua interezza, e pertanto l’avvenuta vendita “in blocco” dei singoli appartamenti, come tale idonea a escludere la riconoscibilità, in favore dei singoli inquilini, della prelazione per l’acquisto delle singole unità abitative).
Con la menzionata sentenza la S.C. ha ritenuto tale rilievo esente dai dedotti errores in procedendo e in iudicando, osservando che:
– l’accertamento demandato ai giudici del merito in ordine alla (in)sussistenza di un diritto di prelazione degli inquilini sull’acquisto delle unità abitative dagli stessi occupate, rappresentava un passaggio logico-giuridico indispensabile ai fini dell’esame delle domande proposte da detti interessati, avendo questi ultimi propriamente fondato il richiesto riconoscimento dell’invalidità del contratto preliminare di compravendita concluso tra la Emme 1 s.r.l. e l’Enpam sul presupposto della violazione delle ridette prelazioni; ne deriva che l’accertamento (negativo) di dette prelazioni di acquisto, pur non costituendo il petitum immediato di nessuna delle domande avanzate nel giudizio, costituiva in ogni caso un adempimento indispensabile ai fini della decisione della controversia, come tale necessariamente sottoposto alla cognizione del giudice del merito, con la conseguente insussistenza della violazione, allora denunciata dai ricorrenti, dell’art. 112 c.p.c., da parte del giudice a quo;
– il giudice d’appello aveva correttamente ricostruito i principi di diritto tradizionalmente osservati da questa Corte in materia di prelazione di acquisto di beni immobili condotti in locazione (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19502 del 04/08/2017), con particolare riguardo alla distinzione tra l’ipotesi della vendita “in blocco” da quella della vendita “cumulativa”, avendo detto giudice sottolineato come, nel caso di specie, ben potesse parlarsi di vendita in blocco, tra l’Enpam e la Emme 1 S.r.l., atteso che i beni alienati, tra loro confinanti, costituivano un unicum, essendo stati venduti, non già come una pluralità di immobili casualmente appartenenti ad un unico proprietario e ceduti a un soggetto diverso da colui che li conduce in locazione, bensì come un complesso unitario, costituente un quid del tutto differente dalla mera somma delle singole unità immobiliari, non risultando, peraltro, dagli atti del processo, alcun elemento di carattere sintomatico eventualmente idoneo ad attestare, in modo inequivocabile, l’eventuale simulazione dell’accordo intercorso tra gli originari contraenti.
Orbene, non può dubitarsi che, alla luce dell’esposto contenuto (decisorio e motivazionale), non solo la prima (ove l’identità del decisum riguarda sia la causa petendi che il petitum) ma anche la seconda delle sentenze su menzionate costituiscano pronunce idonee a spiegare vincolo di giudicato nel presente giudizio.
Secondo noto principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, invero, “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo” (v. Cass. Sez. U. n. 13916 del 16/06/2006; Id. n. 26482 del 17/12/2007; cui adde ex plurimis Cass. n. 24434 del 19/11/2009; n. 15339 del 25/07/2016).
Nella specie, che l’accertamento (negativo) circa la sussistenza del diritto di prelazione in capo ai menzionati inquilini, tra cui i ricorrenti di cui si è detto, costituisca “premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza” è expressis verbis affermato, sia pure ovviamente ad altri fini, nella sentenza stessa.
3.3.2. Trattandosi poi di pronunce intervenute successivamente alla sentenza d’appello ed anche alla proposizione del ricorso per cassazione, il giudicato che ne deriva, oltre ad essere deducibile dalle parti fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione, è anche rilevabile d’ufficio (Cass. Sez. U. n. 13916 del 2006, cit.).
A tal fine, peraltro, essendosi il giudicato esterno fra le stesse parti formato, come detto, a seguito di sentenze della Corte di cassazione, i poteri cognitivi del giudice possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche prescindendo dalle allegazioni delle parti e facendo ricorso, se necessario, a strumenti informatici e banche dati elettroniche (Cass. n. 29923 del 30/12/2020; n. 8614 del 15/04/2011).
3.3.3. Il rilievo del giudicato esterno conduce alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti dalle parti nei cui confronti tale giudicato si è formato, giacché l’interesse ad impugnare con siffatto ricorso discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole alla parte (Cass. Sez. U. n. 13916 del 2006, cit., Rv. 589695 – 01; Cass. n. 1829 del 29/01/2007).
4. Le sopra evidenziate ragioni di inammissibilità non riguardano il ricorso (solo in quanto) proposto da D.M.C. ed è pertanto solo in relazione ad esso che occorre passare all’esame dei motivi che ne sono posti a fondamento.
5. Il primo motivo è inammissibile per aspecificità – non confrontandosi con tutte le molteplici ed autonome rationes decidendi e anzi muovendo da una erronea lettura della sentenza impugnata comunque per la natura fattuale della doglianza.
Come si ricava dalla sintesi che ne è stata qui esposta (v. supra “FATTI DI CAUSA”, p.p. 2 – 3), tali ragioni possono così nuovamente sintetizzarsi ed elencarsi in ordine di priorità logica:
i. il vantato diritto di prelazione non ha fondamento legale;
ii. esso non ha neppure “certa fonte convenzionale”, poiché “non tutti i contratti lo contemplano e, quelli che lo fanno, in ogni caso, lo limitano all’ipotesi della vendita frazionata diretta”;
iii. la Fondazione Enpam, nel determinarsi a vendere in blocco, aveva sua sponte, con Delib. Consiglio Amministrazione 26 maggio 2006, riconosciuto agli inquilini preferenza a tal fine, nel caso in cui gli stessi avessero manifestato la volontà di accedere, tramite unico soggetto esponenziale, a tale modalità di acquisto: manifestazione di volontà che però non vi è stata (al riguardo non potendosi affatto leggere nella motivazione, diversamente da quanto postulato in ricorso, alcuna smentita della sentenza di primo grado che proprio sul rilievo della mancata prova della manifestazione di volontà ad acquistare in blocco aveva fondato il rigetto della domanda; la Corte d’appello ha invero inteso solo aggiungere a tale motivazione i rilievi sopra ordinati di cui si è detto);
iv. la decisione di vendere tutto l’edificio in blocco, piuttosto che attendere ad alienazioni particolari in favore dei singoli inquilini, non poteva essere considerata elusiva del diritto di prelazione;
v. era da escludere il carattere simulato di detta vendita.
Orbene di tali rationes decidendi il ricorso investe solo la quarta e non si confronta invece, in alcuna misura, con quelle che la precedono, di carattere, come detto, preliminare e assorbente.
Anche ammesso, infatti, che si abbia ragione di disquisire sulla possibilità di definire la vendita de qua come “vendita in blocco” invece che come mera vendita cumulativa, restano inattaccati i rilievi preliminari che valgono ad evidenziare che la ricorrente non aveva comunque alcun titolo per porre la questione, non potendo opporre alcun diritto – secondo quanto affermato con le dette preliminari rationes decidendi – ad ottenere in via preferenziale la vendita dell’immobile condotto in locazione, né di fonte legale (per non essere applicabili la L. n. 104 del 1996 e L. n. 662 del 1996), né di fonte convenzionale (perché non tutti i contratti con i singoli inquilini la contemplavano: rilevo questo che avrebbe richiesto specifica censura di omesso esame del fatto che, in ipotesi, era invece provata l’esistenza di una tale previsione nel contratto della D.M.).
Varrà comunque anche qui ribadire che, come già rilevato nel precedente richiamato di Cass. n. 16891 del 2021, la circostanza che nel caso di specie sia stata riconosciuta un’ipotesi concreta di vendita in blocco, costituisce materia di uno specifico apprezzamento di merito, rispetto al quale deve ritenersi non consentita, in questa sede di legittimità, alcuna rivisitazione in fatto, così come preteso dagli odierni ricorrenti mediante la proposizione del motivo in esame.
6. Il secondo motivo è altresì inammissibile.
In disparte il rilievo della inosservanza dell’onere di specifica indicazione degli atti richiamati (ci si limita in ricorso a trascrivere le domande formulate in primo grado per dire che tra di esse ve ne era una, subordinata, di risarcimento del danno per equivalente, ma non si dice se tale domanda, rimasta assorbita dalla sentenza di rigetto di quella principale, fosse stata riproposta in appello ex art. 346 c.p.c.), è comunque dirimente il rilievo che la questione relativa all’eventuale spettanza del diritto al risarcimento del danno per la asserita violazione del diritto di prelazione era rimasta assorbita in primo grado dalla esclusione di tale diritto e tale ancora è rimasta in appello, in conseguenza della conferma sul punto della sentenza gravata.
La censura, dunque, investe un’affermazione che non costituisce ratio decidendi della sentenza impugnata, ma mero obiter dictum volto a indicare quale sarebbe stata la tutela esperibile ove un diritto di prelazione su base convenzionale fosse stato (ma non lo è stato) riconosciuto.
7. Per le considerazioni che precedono il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per tutti i ricorrenti.
Ne consegue la condanna degli stessi alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate, per ciascuno, come da dispositivo, con distrazione in favore dell’Avv. Michele Liguori (difensore dei controricorrenti Da.Chi.Ro. S.r.l. e M.) che ne ha fatto rituale richiesta.
8. Non sussistono i presupposti per la condanna dei ricorrenti al pagamento di somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.
Va al riguardo ribadita l’esegesi della norma affermatasi nella giurisprudenza di questa Corte, quale avallata dalle Sezioni Unite, secondo cui la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico (cfr. Cass. Sez. U. n. 16601 del 05/07/2017), autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate); peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di Impugnazione (v. ex multis Cass. Sez. U. n. 9912 del 20/04/2018; Id. n. 22405 del 13/09/2018; Cass. n. 19285 del 29/09/2016; n. 7901 del 30/03/2018).
Nella specie reputa il Collegio che tali presupposti non sussistano, occorrendo al riguardo osservare che:
a) il giudicato esterno si è formato successivamente alla proposizione del ricorso;
b) l’erronea impugnazione anche per conto del B. può, almeno dubitativamente, imputarsi a mera svista, considerato che lo stesso è parte in altre coeve controversie aventi il medesimo oggetto, con il patrocinio dello stesso difensore;
c) le censure, bensì inammissibili per le ragioni sopra esposte, non palesano tuttavia intenti meramente strumentali, né sembrano imputabili a colpa grave o tanto meno a mala fede.
9. I compensi, da porre a carico dei soccombenti, vanno liquidati in rapporto al valore commerciale non dell’intero edificio (base di calcolo che sembra invece utilizzare il difensore di Da.Chi.Ro. S.r.l. e di M.F. nelle note spese depositate) ma alla somma di quelli dei singoli alloggi con riferimento ai quali era stata avanzata, dagli odierni ricorrenti, domanda di accertamento del diritto di prelazione.
Non essendo stati forniti univoci elementi atti a risalire a tale valore, le spese vanno liquidate secondo i parametri previsti per cause di valore indeterminabile medio.
10. Va altresì liquidato l’importo di Euro 200, in via equitativa, per rimborso delle spese vive diverse da quelle documentate e da quelle generali, quali a titolo esemplificativo e non tassativo, quelle sostenute per gli spostamenti necessari per raggiungere l’Ufficio giudiziario in occasione delle udienze o degli adempimenti di cancelleria, diversi da quelli per viaggio e trasferta di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 27, per fotocopie, per l’invio di email o per comunicazioni telefoniche inerenti l’incarico e sostenuti fuori dallo studio 200,00 (Cass. Sez. U. 27/11/19 n. 31030).
11. Non può invece essere accordato il rimborso, pure richiesto dall’Avv. Michele Liguori, quale difensore della Da.Chi.Ro. S.r.l., della indennità di trasferta e delle relative spese D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex artt. 11 e 27, per un complessivo importo di Euro 363,44 così testualmente imputato: “(costo carburante e autostrada n. 2 Indennità di trasferta D.M. n. 55 del 2014, ex artt. 11 e 27 – Rimborso chilometrico Napoli Centro Direzionale – Suprema Corte di Cassazione andata e ritorno 447 Km (20% di Euro 1,65 x 447 Km.) Euro 147,51 + Pedaggi Euro 32,20 + Parcheggio Euro 2,00 = 181,71 x 2 per: deposito controricorso ritiro copia emananda sentenza (conforme e/o esecutiva) e fascicolo”.
Occorre al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in sede di liquidazione delle spese del giudizio di cassazione non possono essere attribuite all’avvocato cassazionista le spese e le indennità inerenti alla trasferta del predetto difensore dal suo luogo di residenza, in quanto, unico essendo su tutto il territorio nazionale l’albo speciale per gli avvocati che possono assumere il patrocinio davanti ai giudici superiori, non opera la previsione della tariffa civile applicabile soltanto in caso di difesa esplicata dal professionista fuori della propria residenza davanti ai giudici di merito (Cass. n. 19370 del 15/07/2008; n. 738 del 23/01/2002; n. 549 del 19/01/1995; n. 3850 del 01/04/1995).
12. Non compete nemmeno il rimborso di Euro 27 chiesto dallo stesso avvocato per non meglio specificata “marca”.
Se con esso si intende far riferimento alla marca da bollo da Euro 27, da applicare sulla nota di deposito del controricorso, va rilevato che si tratterebbe di esborso non dovuto (e dunque nemmeno addebitabile alla parte soccombente nel giudizio) essendo da tale marca esentata la parte che abbia provveduto a notificare il controricorso tramite p.e.c., come nella specie risulta essere avvenuto per i controricorsi in questione (L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 10, comma 1, come modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 46, comma 1, lett. d), convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114).
13. Quanto all’ulteriore importo di Euro 2 richiesto dal predetto avvocato per “Marca da bollo da applicare ex lege su fattura per importi non soggetti ad I.V.A. uguali o superiori ad Euro 77,47”, non occorre provvedere trattandosi di esborso di natura fiscale strettamente connessa all’attività svolta la cui ripetizione dalla parte soccombente può considerarsi effetto automatico della condanna della parte soccombente alle spese di lite, questa dovendosi intendere estesa implicitamente, al di là della mancanza formale, anche alla imposizione della restituzione della somma corrisposta per quel titolo, il cui pagamento sarà documentabile anche in sede esecutiva tramite la documentazione relativa al versamento (cfr. Cass. 03/09/2015, n. 18828; 20/11/2015, n. 23830).
14. Ai sensi dell’art. 97 c.p.c., comma 1, la condanna si deve intendere pro parte (e non in solido).
Non ricorrendo l’identità di posizione processuale dei soggetti assistiti dal medesimo avvocato, non trova applicazione il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2 (v. (Cass. n. 6110 del 04/03/2021).
15. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge: da distrarsi in favore dell’Avv. Michele Liguori quelle spettanti per i controricorrenti da questo difesi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022