LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 12951/2016 R.G. proposto da:
F.D. s.a.s. di F.F. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Paisiello n. 55, presso lo studio dell’Avvocato Franco Gaetano Scoca, rappresentata e difesa dall’Avvocato Chiara Cacciavillani, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia del Demanio, in persona del direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
e contro
Agenzia del Demanio Filiale del *****, Comune di Rosolina;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2659/2015 della Corte d’appello di Venezia depositata il 13/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/11/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 585/2013, respingeva le domande proposte da F.D. s.a.s. di F.F. & C., titolare di concessioni demaniali marittime rilasciate dal Comune di Rosolina, al fine di veder acclarate l’illegittimità e l’erroneità della determinazione dei canoni demaniali operata dall’amministrazione municipale e l’infondatezza delle pretese di pagamento avanzate per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2009, dato che i canoni erano stati calcolati con riferimento all’intero anno solare anziché rispetto al periodo di effettivo utilizzo del bene.
2. La Corte d’appello di Venezia, a seguito dell’impugnazione proposta in via principale da F.D. s.a.s. e in via incidentale dall’Agenzia del demanio, riteneva – fra l’altro e per quanto qui di interesse – che non potesse essere accolta la domanda di definizione della causa ai sensi della L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 732 e 733, in mancanza di un esito positivo dei riscontri effettuati dall’amministrazione in merito alla corrispondenza di quanto versato dalla compagine appellante ai presupposti legali o alle condizioni individuate dalla norma di legge; riscontro positivo che non poteva essere configurabile in presenza di un’opposta interpretazione offerta dalle parti alla disposizione di legge da applicare, con riferimento al significato da attribuire alla locuzione “somme dovute”.
Reputava, inoltre, che per le annualità 2008 e 2009 i canoni fossero stati correttamente conteggiati con riferimento all’intero anno piuttosto che alla sola stagione estiva, in applicazione della L. n. 494 del 1993, art. 1, comma 4, dato che erano state mantenute in loco strutture di carattere precario e facilmente removibili.
3. Per la cassazione di questa statuizione, pubblicata in data 13 novembre 2015, ha proposto ricorso la società F.D. s.a.s. di F.F. & C., prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso l’Agenzia del Demanio.
L’intimato Comune di Rosolina non ha svolto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 732 e 733, perché la Corte d’appello ha erroneamente rigettato la richiesta di definizione della controversia in applicazione di quest’ultima normativa, ritenendo che un simile esito fosse precluso dal mancato riscontro positivo dell’Agenzia del demanio, la quale attribuiva alla locuzione “somme dovute” una differente interpretazione.
Tale riscontro positivo, tuttavia, non solo non era richiesto dalla legge, ma si poneva in radicale contrasto con la ratio ispiratrice della norma, volta alla rapida definizione di una moltitudine di contenziosi pendenti. Spettava, quindi, alla Corte distrettuale entrare nel merito della questione e verificare in prima persona se si fossero verificati o meno i presupposti richiesti dalla legge per la definizione del contenzioso pendente.
Non era neppure condivisibile l’interpretazione della norma offerta dall’Agenzia del demanio, in quanto la locuzione “somme dovute” doveva essere interpretata come riferita all’originaria pretesa dell’amministrazione e non alla differenza fra tale importo e quanto ritenuto dovuto dal concessionario.
5. Il motivo è fondato, seppur nei limiti che si vanno a illustrare.
5.1 L’odierna ricorrente ha domandato alla Corte d’appello di Venezia che venisse accertato il suo diritto alla definizione della lite, dato che aveva presentato l’istanza prescritta dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 732 e 733, ed aveva già versato, a titolo di canoni, un importo superiore a quello dovuto, ossia richiesto dall’amministrazione per tutte le annualità in contestazione; nel contempo ha reclamato l’accertamento del suo diritto alla restituzione del surplus rispetto al 30% del dovuto indebitamente pagato e la conseguente condanna solidale del Comune e dell’Agenzia del demanio alla relativa restituzione.
5.2 La L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 732, stabilisce, testualmente: “nelle more del riordino della materia da effettuare entro il 15 ottobre 2014, al fine di ridurre il contenzioso derivante dall’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni delle concessioni demaniali marittime ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1, lett. b), n. 2.1), convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, i procedimenti giudiziari pendenti alla data del 30 settembre 2013 concernenti il pagamento in favore dello Stato dei canoni e degli indennizzi per l’utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative pertinenze, possono essere integralmente definiti, previa domanda all’ente gestore e all’Agenzia del demanio da parte del soggetto interessato ovvero del destinatario della richiesta di pagamento, mediante il versamento: a) in un’unica soluzione, di un importo, pari al 30 per cento delle somme dovute; b) rateizzato fino a un massimo di sei rate annuali, di un importo pari al 60 per cento delle somme dovute, oltre agli interessi legali, secondo un piano approvato dall’ente gestore”.
Il successivo comma prevede che “la domanda di definizione, ai sensi del comma 732, nella quale il richiedente dichiara se intende avvalersi delle modalità di pagamento di cui alla lett. a) o di quelle di cui alla lett. b) del medesimo comma, è presentata entro il 28 febbraio 2014. La definizione si perfeziona con il versamento dell’intero importo dovuto, entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione della domanda di definizione…”.
Stando al tenore del dettato normativo, la definizione della lite rimane condizionata al fatto che: i) il procedimento giudiziario sia pendente e concerna il pagamento in favore dello Stato dei canoni e degli indennizzi per l’utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative pertinenze; ii) il contenzioso abbia ad oggetto l’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni delle concessioni demaniali marittime ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1, lett. b), n. 2.1), convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni; iii) sia previamente depositata una domanda in tal senso; iv) venga effettuato il versamento in un’unica soluzione o rateizzato delle somme dovute.
5.3 A fronte della richiesta della compagine la Corte distrettuale non si è impegnata ad interpretare il testo della normativa di cui l’appellante domandava l’applicazione, ma ha ritenuto che la definizione fosse condizionata all’esito positivo dei riscontri effettuati dall’ente impositore relativamente alla corrispondenza di tale versamento ai presupposti legali o alle condizioni individuate”.
In difetto di un positivo riscontro dell’amministrazione, riscontro che nel caso di specie era ostacolato dalla diversa interpretazione attribuita dalle parti alla norma da applicare, nessuna definizione poteva avvenire in applicazione del disposto della L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 732 e 733.
La P.A., a quanto pare di capire, era abilitata – a parere dei giudici distrettuali – non solo a proporre, ma addirittura a imporre la corretta esegesi della norma.
Un simile approccio, applicativo piuttosto che interpretativo, al compendio normativo in discorso non è affatto condivisibile.
In vero, la verifica del concreto ricorrere dei presupposti utili alla definizione della lite, involgendo l’interpretazione da assegnare alla norma e riguardando le caratteristiche e l’oggetto del contenzioso già pendente e il comportamento tenuto nel corso di causa dal titolare della concessione demaniale marittima, rientrava nelle funzioni del giudice avanti al quale pendeva la lite e non poteva essere affidata a una delle parti, quand’anche pubblica.
Il provvedimento impugnato erra laddove, ritenendo determinante l’assenza di un riscontro positivo della domanda in ragione della discorde interpretazione della norma fatta dalle parti, finisce per attribuire alla Pubblica Amministrazione la funzione ermeneutica del disposto di legge, quando una simile attività faceva parte dei compiti istituzionali dell’organo giudicante, e per condizionare l’applicazione del beneficio al contegno adesivo tenuto dall’amministrazione, benché le norme in discorso non prevedano affatto una simile condizione fra i loro presupposti applicativi.
La Corte di merito era tenuta, invece, a impegnarsi in prima persona nell’individuazione del significato proprio della normativa che governa la fattispecie e nella verifica del ricorrere, nel concreto, dei presupposti di legge per la definizione del procedimento.
Una simile attività dovrà essere svolta in sede di rinvio, tenendo conto, peraltro, del mutato quadro normativo intervenuto nelle more del giudizio di legittimità ed includendo nello sforzo esegetico e nei correlati riscontri, ove ne ricorrano i presupposti, il disposto del D.L. n. 104 del 2020, art. 100, commi 7, 8, 9 e 10, convertito con modificazioni dalla L. n. 126 del 2020.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 400 del 1993, art. 3, comma 4, perché la Corte d’appello ha riconosciuto come corretta la quantificazione dei canoni demaniali per gli anni 2008 e 2009, malgrado la stessa fosse stata riferita all’intera annualità anziché ai soli mesi estivi ovvero a quelli di effettivo utilizzo del bene detenuto in concessione, senza considerare che la norma in discorso è volta a commisurare il canone concessorio alla durata del periodo durante il quale il concessionario ha potuto effettivamente trarre dal bene demaniale qualche profitto.
Il ricorrere di una simile presupposto doveva essere escluso nel caso di specie, poiché le strutture rimaste in loco erano essenzialmente docce e bagni, che costituivano servizi messi gratuitamente a disposizione dei bagnanti.
7. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente assume che le strutture costituite da docce e bagni non dovevano essere considerate al fine di determinare il periodo di effettiva utilizzazione del bene demaniale e il correlato importo del canone dovuto, trattandosi di servizi gratuiti che non generavano alcuna entrata per il concessionario.
La sentenza impugnata non fa il minimo cenno a una simile questione, che dalla lettura decisione non risulta essere stata posta dall’appellante; né dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, emerge che l’odierno ricorrente, nel corso del giudizio di merito, avesse allegato che le strutture di carattere precario e facilmente removibili potessero essere considerate al fine di stabilire la durata dell’utilizzazione del bene oggetto della concessione solo se capaci di procurare profitto.
Sicché trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).
8. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022