Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.1170 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 10898/19 proposto da:

Banco BPM s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a Roma, v. Tommaso Salvini n. 55, difeso dall’avvocato Giuseppe Mercanti, Matteo Deboni, e Carlo d’Errico, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Associazione Professionale ” B., C. & Associati Dottori Commercialisti”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a Roma, v. Luigi Settembrini n. 30, difeso dall’avvocato Maurizio Allegro Pontani, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché

B.P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 24 settembre 2018 n. 4217;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 4 novembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La Banca Popolare di Lodi (il cui credito, per effetto di successive fusioni, pervenne all’odierna ricorrente Banco BPM s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, “il Banco”) nel 2008 chiese ed ottenne dal Tribunale di Lodi un decreto ingiuntivo nei confronti di B.P.G..

Questi propose opposizione al decreto, la quale venne rigettata dal Tribunale di Lodi con la sentenza n. 880/11.

2. Munito di tale titolo, il Banco intimò precetto al proprio debitore con atto notificato il 23 novembre 2011.

Perdurando la mora, il Banco iniziò l’esecuzione forzata pignorando il credito vantato da B.P.G. nei confronti della “Associazione Professionale B., C. & Associati Dottori Commercialisti”, cui il debitore era associato, con pignoramento notificato al terzo, debitor debitoria, il 22 marzo 2012.

3. L’Associazione professionale negò di essere debitrice di Giacinto B.P.G., dichiarando per i fini di cui all’art. 547 c.p.c., che questi, con atto notificato all’Associazione Professionale il 14 dicembre 2011, aveva ceduto tutti i crediti vantati nei confronti dell’Associazione Professionale alla Banca Popolare di Sondrio.

4. Il Banco introdusse allora il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (secondo la procedura applicabile ratione temporis), sostenendo che la suddetta cessione non potesse essergli opposta con riferimento ai “pagamenti effettuati in data successiva al pignoramento”.

5. Con sentenza 19 gennaio 2016 n. 723 il Tribunale, dopo aver negato esservi prova di una valida cessione del credito, stabilì che “in mancanza di concorrenti domande di parte attrice, la domanda di accertamento avente ad oggetto i rapporti tra l’Associazione Professionale e il B. deve essere limitata alla somma di Euro 44.115,64, atteso che il creditore pignorante ha pignorato un credito per questa somma”.

6. La sentenza venne appellata dalla Associazione Professionale e da B.P.G. in via principale, e dal Banco in via incidentale. Quest’ultimo, in particolare, chiese alla Corte d’appello di accertare che l’Associazione Professionale era debitrice nei confronti di B.P.G. della maggior somma di Euro 412.843,58, secondo quanto emerso dall’istruttoria compiuta in primo grado.

7. La Corte d’appello di Milano, con sentenza 24 settembre 2018 n. 4217, rigettò tanto l’appello principale, quanto l’appello incidentale.

Per quanto in questa sede ancora rileva la Corte d’appello ritenne che:

-) il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ha per oggetto “il credito di cui alla pretesa esecutiva per come indicata nell’atto di pignoramento”;

-) nel caso di specie l’atto di pignoramento dichiarava di voler sottoporre a vincolo le somme dovute dall’Associazione Professionale a B.P.G. “sino alla complessiva somma portata dall’atto di precetto del 18 novembre 2011, aumentata della metà ai sensi dell’art. 546 c.p.c., e così complessivamente Euro 44.115,64”;

-) in nessun caso il creditore pignorante può vedersi assegnare somme maggiori rispetto all’importo indicato nell’atto di pignoramento.

8. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dal Banco BPM con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da ampia memoria; l’Associazione Professionale ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di sette diverse norme del codice di procedura civile, di due norme costituzionali e dell’art. 2741 c.c..

Al di là di tali riferimenti normativi, nella illustrazione del motivo (pagine 1022 del ricorso) la difesa del Banco espone una tesi giuridica così riassumibile:

-) oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 548 c.p.c. (vecchio testo), è “l’intero rapporto obbligatorio intercorrente fra il terzo pignorato e il debitore esecutato”;

-) il giudice chiamato a compiere il suddetto accertamento, pertanto, deve verificare se il terzo abbia o non abbia debiti nei confronti del debitore esecutato, e deve stabilirne la misura;

-) la Corte d’appello quindi avrebbe dovuto accertare quali fossero tutti i debiti dell’Associazione Professionale nei confronti di B.P.G., senza limitarsi ad accertare che la prima fosse debitrice del secondo almeno d’una somma pari all’importo precettato.

Formulata in linea generale questa tesi, la società ricorrente la corrobora con ulteriori osservazioni (pp. 15 e ss. del ricorso) così riassumibili:

-) così come il giudice dell’accertamento dell’obbligo del terzo non potrebbe estendere la propria cognizione a questioni riservate al giudice dell’esecuzione (quale ad esempio la pignorabilità del credito), allo stesso modo il giudice dell’accertamento dell’obbligo del terzo non potrebbe limitare la sua pronuncia di accertamento alla somma indicata nel precetto, perché lo stabilire se il credito pignorato sia esorbitante rispetto alla somma precettata è questione che riguarda il giudice dell’esecuzione (pp. 16-17);

-) sarebbe contrario ai principi costituzionali di effettività della tutela giurisdizionale e di ragionevole durata del processo imporre al creditore procedente, nel caso di insorgenza di nuovi crediti durante lo svolgimento dell’esecuzione forzata, non potere avvalersi del pignoramento già eseguito, così da costringerlo ad iniziare una nuova procedura esecutiva;

-) il giudice d’appello in ogni caso non tenne conto del fatto che il creditore procedente aveva dimostrato, nel corso del giudizio d’appello, di avere depositato due atti di intervento nel processo esecutivo, fondati su ulteriori titoli esecutivi; e che tali interventi erano “idonei ad estendere gli effetti del pignoramento” (pp. 18-19);

-) infatti, poiché nel caso di pignoramento presso terzi oggetto del pignoramento è l’intero credito vantato dal debitore esecutato nei confronti del terzo, l’intervento di altri creditori o del medesimo creditore procedente, fondato su ulteriori titoli esecutivi, produrrebbe ope legis l’estensione degli effetti del pignoramento (p. 20).

2. Il motivo è infondato.

Nel caso di specie il Banco ha effettuato un pignoramento presso terzi per l’importo di Euro 44.000r e il giudice dell’accertamento dell’obbligo del terzo ha accertato che il terzo era debitore del debitore esecutato per almeno 44.000 Euro.

La decisione del giudice dell’accertamento dell’obbligo del terzo fu dunque corretta alla luce del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui il limite dell’importo del credito precettato aumentato della metà, previsto dall’art. 546 c.p.c., comma 1, “individua anche l’oggetto del processo esecutivo, sicché, in difetto di rituale estensione del pignoramento, un intervento successivo, pur se del medesimo procedente, non consente il superamento del detto limite e, quindi, l’assegnazione di crediti in misura maggiore” (Sez. 3 -, Sentenza n. 15595 del 11/06/2019, Rv. 654473 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9054 del 18/05/2020, Rv. 657740 – 01).

E nel caso di specie non risulta mai avvenuta – e comunque la società ricorrente non ne dà conto ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 – una “rituale estensione del pignoramento”, da compiersi mediante la notifica al debitore di un nuovo atto di intimazione, e non semplicemente depositando un atto di intervento dinanzi al giudice dell’esecuzione.

Il pignoramento, infatti, si può estendere solo per effetto di una intimazione formale, senza la quale il terzo esecutato non sarebbe in condizione di sapere se, e nelle mani di chi, possa o debba adempiere la propria obbligazione.

2.1. Il ricorso va dunque rigettato alla luce dei seguenti principi di diritto:

a) la misura del pignoramento circoscrive l’oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo;

b) se, pendente il processo di accertamento dell’obbligo del terzo, il creditore esecutante acquisisse nuovi titoli ed intervenisse nel processo esecutivo, tale intervento potrà modificare l’oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo solo a due condizioni:

b’) che il creditore abbia ritualmente esteso il pignoramento, notificando l’atto di intervento al debitore ed al terzo;

b”) che il creditore-attore nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo abbia formulato rituale istanza di rimessìone in termini ex art. 153 c.p.c., per modificare la domanda, sempre che ne sussistano i presupposti.

2.2. Ritiene doveroso questa Corte precisare che i principi appena elencati, per ovvie ragioni di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, vengono affermati con riferimento ad una vicenda processuale in cui l’accertamento dell’obbligo del terzo si svolse in un autonomo giudizio e dinanzi ad un giudice diverso da quello dell’esecuzione (secondo le regole previgenti alle modifiche introdotte della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 20, n. 4)). Essi, tuttavia, restano validi anche nel vigente sistema processuale, in cui l’accertamento dell’obbligo del terzo, in caso di contestazioni, è devoluto allo stesso giudice dell’esecuzione.

La circostanza, infatti, che le contestazioni circa la sussistenza dell’obbligo del terzo debbano essere risolte celeriter et breviter in un subprocedimento incidentale dinanzi al giudice dell’esecuzione, non toglie che scopo di quel giudizio resti comunque e soltanto consentire il prosieguo dell’esecuzione.

E per consentire il prosieguo dell’esecuzione non è necessario conoscere quanti e quali rapporti patrimoniali esistano tra debitore e terzo, ma è sufficiente accertare se il secondo debba o non debba al primo un importo almeno pari alla somma assegnabile, vale a dire l’importo precettato aumentato della metà.

2. Col secondo motivo la società ricorrente prospetta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

Il “fatto decisivo” che si assume essere stato trascurato è il duplice intervento compiuto dal Banco nel processo esecutivo, per effetto del quale il credito complessivo vantato dal Banco nei confronti del debitore esecutato era cresciuto ben oltre l’originale importo di Euro 44.000.

2.1. Il motivo resta assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso.

Infatti, una volta stabilito che il creditore avrebbe dovuto estendere il pignoramento e non risulta averlo fatto; e che in mancanza di tale estensione l’oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo non poteva ampliarsi, l’omesso esame di cui la ricorrente si duole ha ad oggetto un fatto irrilevante.

3. L’incontestata esistenza d’un debito maggiore del debitore verso il creditore procedente, e le oscillazioni giurisprudenziali in subiecta materia costituiscono gravi motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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