Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1195 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7461-2020 proposto da:

F.G., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato IGNAZIO TERMINE;

– ricorrente-

contro

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO, 38, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO BOLOGNESI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 14/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.

RILEVATO IN FATTO

che:

la Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 22 del 2020, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’avvocato F.G. nei confronti della Cassa nazionale forense avverso la sentenza di primo grado di rigetto della sua domanda tesa ad ottenere l’accertamento che non fosse tenuto a versare i contributi durante il periodo di sospensione dall’albo degli avvocati ed in quanto già pensionato presso altra forma assicurativa;

la Corte, confermando la sentenza di primo grado e ritenendo infondate le eccezioni sulla genericità del ricorso in appello ed al riferimento ad una cartella esattoriale sollevate dalla Cassa, ha accertato che l’avvocato esercitava la professione ed era iscritto all’albo e che, dunque, vi fossero i presupposti necessari e sufficienti per l’iscrizione alla Cassa ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 21, e che la mancata percezione di reddito poteva incidere solo sulla misura minima dei contributi dovuti, in conformità con la giurisprudenza costituzionale e di legittimità formatasi in ordine alla natura solidaristica del sistema previdenziale dei liberi professionisti;

avverso tale sentenza l’avvocato F.G. propone ricorso per cassazione cui resiste la Cassa con controricorso;

e’ stata comunicata proposta del relatore alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’odierna adunanza non partecipata;

le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO

che:

il ricorso, che contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente contiene in calce il conferimento di procura speciale in favore dell’avvocato Ignazio Termine con autentica della firma attraverso la formula “vera è la firma”, non è conforme alle previsioni del codice di rito;

lo stesso, dopo una successione di paragrafi (che riportano alcune righe della sentenza impugnata ed il dispositivo), riferibili alla intitolazione “IN FATTO ED IN DIRITTO”, indica un ulteriore paragrafo intitolato “Motivi della impugnazione dinanzi al Suprema Collegio della Corte Suprema di Cassazione Sezione Lavoro, motivi del collegio palermitano trascritti in corsivo:” al cui interno vengono riportati stralci della sentenza impugnata interrotti da ulteriori paragrafi intitolati ” Risposta Secca” (da pag. 3 a pag. 21 e con la inserzione del testo regolamento di attuazione della L. n. 247 del 2012, art. 21, preceduto dal titolo “In diritto vivente:”); il ricorso si dispiega in ulteriori otto pagine ove: si commenta il contenuto del regolamento assumendo che le previsioni relative alla cancellazione d’ufficio e a domanda dalla cassa forense siano applicabili alla fattispecie in quanto la cancellazione stessa era stata richiesta dal ricorrente; si fa riferimento al fatto che lo stesso ricorrente era pensionato statale ex L. n. 141 del 1990, e che tale norma giuridica sarebbe stata applicata erroneamente dalla Cassa e “violata in modo avulsa in diritto”; si afferma la nullità della sentenza impugnata per “Violazione del precetto Costituzionale art. 111, comma 6” in quanto priva di motivazione ed inoltre per: A) nullità della sentenza per error in procedendo; B) omesso esame circa un fatto decisivo per giudizio; C) violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, perché non era stata considerata la circostanza dell’avvenuto pensionamento sin dal 1995 e l’età del ricorrente; D) che il ricorrente era stato sospeso dall’attività professionale forense ed aveva chiesto inutilmente un sostentamento alimentare che ancora chiedeva; E) si era in presenza di una motivazione apparente e la questione meritava di essere trattata con l’affermazione di un principio di diritto nell’interesse della legge e dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione; la violazione per gli ultraquarantenni del Regolamento di attuazione della L. n. 247 del 2012; la violazione del medesimo Reg., art. 6, nonché degli artt. 8 e 9;

il ricorso è formulato in modo non conforme alle previsioni del codice di rito (artt. 360 e 366 c.p.c.) in quanto non contiene una chiara esposizione dei fatti di causa e non indica in modo compiuto ed intellegibile quali siano i vizi denunciati mediante l’esposizione delle ragioni poste a loro fondamento; piuttosto, alternando proprie critiche a stralci della sentenza impugnata ed al regolamento di attuazione della L. n. 247 del 2012, il ricorso esprime un generico dissenso relativo al contenuto della decisione impugnata senza riuscire ad enucleare l’errore in fatto, nei limiti in cui ciò può rilevare nel giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, o in diritto addebitabili alla sentenza della Corte d’appello;

in particolare, va ricordato che in relazione al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 3, questa Corte di legittimità ha affermato che per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve indicare, in modo chiaro ed esauriente, sia pure non analitico e particolareggiato, i fatti di causa da cui devono risultare le reciproche pretese delle parti con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano in modo da consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto senza dover ricorrere ad altre fonti e atti del processo, dovendosi escludere, peraltro, che i motivi, essendo deputati ad esporre gli argomenti difensivi possano ritenersi funzionalmente idonei ad una precisa enucleazione dei fatti di causa (vd. da ultimo Cass. n. 24432 del 03/11/2020) inoltre, quanto alla formulazione dei motivi del ricorso per cassazione, questa Suprema Corte (vedi SS.UU. n. 23745 2020) ha già affermato che, quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della violazione o della falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., Sez. 3, n. 15177 del 28/10/2002; (Cass., Sez. 2, n. 1317 del 26/01/2004; Cass., Sez. 6 – 5, n. 635 del 15/01/2015);

infatti, l’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone al ricorrente, a pena d’inammissibilità della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa;

il generico motivo che si riferisce alla omessa valutazione del fatto dell’avvenuto pensionamento o dell’età del ricorrente è poi inammissibile in quanto tale vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non è deducibile in presenza di doppia conforme, secondo quanto previsto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 4; peraltro il motivo sarebbe comunque inammissibile per difetto di specificità, non essendo tali circostanze in alcun modo essenziali nello svolgimento delle ragioni addotte dalla sentenza, riferite al principio di solidarietà che ispira il sistema previdenziale;

anche il riferimento alla mera apparenza della motivazione, oltre che platealmente contraddetto dal volume del ricorso, è inammissibile in quanto parte ricorrente non ha adempiuto l’onere di indicare quali affermazioni in diritto della sentenza impugnata si porrebbero in contrasto con le disposizioni regolamentari e di legge richiamate e non ha compiuto il necessario raffronto. Sotto tale profilo la censura risulta inammissibile per difetto di specificità;

in definitiva, il ricorso è inammissibile;

le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di Euro 1.800,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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