Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1197 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12013-2020 proposto da:

L.M., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMINE DI RISIO;

– ricorrente-

contro

ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 686/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 31/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 686 del 2019, ha rigettato l’impugnazione proposta da L.M. avverso la sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione all’ordinanza ingiunzione dell’Ispettorato del lavoro di *****, seguita all’accertamento dell’irregolarità dei contratti di lavoro subordinato, formalmente qualificati come collaborazioni autonome, intercorsi con due lavoratrici nel periodo compreso tra il 2011 ed il 2014, da parte della società SEGI di cui L. era amministratore unico;

la Corte ha disatteso le censure articolate dal L., relative alla circostanza che l’ordinanza fosse motivata in modo apparente e che fosse stata violata la disciplina contenuta nella L. n. 241 del 1990; ancora, ha ritenuto che la legittimità dell’ordinanza ingiunzione dipendesse dall’esistenza in sé di una motivazione, mentre la sua adeguatezza non poteva che coincidere con il merito della legittimità dell’esercizio del potere sanzionatorio; sotto tale profilo, ad avviso della Corte territoriale, l’istruttoria espletata aveva dimostrato l’effettiva sussistenza l’effettiva sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato emersi in sede ispettiva;

avverso tale sentenza ricorre per cassazione L.M. sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;

l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di ***** non ha opposto difese;

la proposta del relatore è stata comunicata alla parte unitamente al decreto di fissazione della presente adunanza.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che la parte individua nel fatto che nei gradi del giudizio di merito era stata rilevata la non imputabilità della violazione in capo al L., non potendosi ritenere al medesimo riferibili i poteri gerarchici e disciplinari del datore di lavoro;

con il secondo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, in relazione all’art. 2094 c.c., ed al D.Lgs. n. 276 del 2003, , art. 61, comma 2, dal momento che il giudice d’appello aveva accertato la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorrente tra le lavoratrici e la società SEGI s.r.l. pur non essendo emersi elementi caratterizzanti la subordinazione; in particolare, nessuno dei lavoratori escussi aveva dichiarato di aver ricevuto ordini e direttive della società SEGI s.r.l. o dei suoi preposti, neppure avevano dichiarato di aver seguito orari predeterminati e di aver ricevuto una retribuzione in misura fissa e la presenza delle lavoratrici presso lo stabile di via Raiale Vecchia, 20 in Pescara, era giustificata dal fatto che le stesse prestavano occasionalmente attività lavorativa in favore della SEGI s.r.l., come in favore delle altre società aventi sede nello stesso luogo;

il primo motivo è inammissibile;

secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di cassazione (SS.UU. n. 34476/2019; 5987/2021), è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito;

nel caso di specie, il motivo mira a scardinare il giudizio della Corte territoriale relativo all’effettivo assoggettamento delle lavoratrici P., M., G. e B. al potere gerarchico e disciplinare di L.M., ma ciò è tentato attraverso l’indicazione di un complesso di dati e circostanze che si assumono convergenti nel senso di provare che in realtà il L. non avesse rivestito il ruolo di datore di lavoro, trattandosi di prestazioni occasionali in favore di tutte le società aventi sede nel luogo su indicato;

difetta, all’evidenza, l’indicazione di un fatto storico (come affermato sin da Cass. SS.UU. 8053 del 07/04/2014) dalla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134; tale disposizione deve essere interpretata quale totale pretermissione di uno specifico fatto storico, nonché, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

quanto al secondo motivo, con cui si denuncia un preteso error in iudicando, non può trovare accoglimento;

questa Corte di cassazione (ex plurimis Cass. 10/11/2020 n. 25221) ha avuto modo di consolidare il principio secondo il quale il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti;

parte ricorrente non individua l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nell’ascrivere significato all’enunciato normativo contenuto nell’art. 2094 c.c., che assume violato, si diffonde nel richiamo a risultanze istruttorie, di cui propone una diversa lettura, criticando le valutazioni operate dal giudice che ha il dominio del merito e, nella sostanza, invocando un sindacato precluso a questa Corte Suprema di legittimità, al di fuori degli angusti limiti imposti dalla novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. n. 8053 e n. 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) di cui parte ricorrente non tiene alcun conto;

in definitiva, il ricorso va rigettato;

nulla va disposto sulle spese del giudizio in ragione del fatto che l’Ispettorato del Lavoro di Teramo Chieti non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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