All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15718-2020 proposto da:
F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MARCO POLO 84, presso lo studio dell’avvocato LINDA CIPOLLONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MARTINELLI;
– ricorrente –
contro
M.P.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1873/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 31/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.
FATTI DI CAUSA
1. – In data 3 febbraio 2017 la Corte di appello di Firenze, in sede di reclamo, aveva determinato in Euro 1.000,00 mensili l’assegno di divorzio che F.A. doveva corrispondere alla moglie M.P..
Decidendo sulla richiesta di modifica delle condizioni di divorzio, il Tribunale di Livorno, in considerazione del peggioramento della situazione economica di F. e del miglioramento di quella di M.P., ha rideterminato l’assegno divorzile nell’importo di Euro 500,00.
2. – F. ha proposto reclamo instando per la revoca dell’assegno. Ha resistito la ex-moglie.
La Corte di appello di Firenze ha respinto l’impugnazione: ha rilevato che il mantenimento dell’assegno trovava giustificazione nella funzione perequativo-compensativa del contributo da erogarsi e, specificamente, nel fatto che veniva in questione un matrimonio che era durato trent’anni, da cui erano nati tre figli (il più piccolo dei quali minorenne al momento della separazione, e affidato alla madre): matrimonio in costanza del quale M.P. – che aveva dovuto interrompere gli studi universitari di medicina – aveva sempre svolto attività di casalinga, dedicandosi alla cura della famiglia. La Corte di merito ha perciò ritenuto che l’assegno di divorzio non potesse essere revocato, dovendosi guardare alle aspettative professionali ed economiche che il coniuge più debole ha dovuto sacrificare. Ha poi osservato che la statuizione del primo giudice doveva essere modificata, dal momento che, per un verso, nel periodo di imposta 2017, il reddito netto da attività professionale di F. si era ridotto a Euro 16.480,00 e, per altro verso, il patrimonio dell’ex moglie si era incrementato, avendo la stessa ereditato due immobili nel 2018: cespiti, questi, da cui era possibile ritrarre reddito attraverso la vendita o la locazione.
3. – Contro il decreto della Corte di Firenze depositato il 31 ottobre 2019, ricorre per cassazione, con un unico motivo, F.A.. M.P., intimata, non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6. Osserva che presupposto indefettibile dell’erogazione dell’assegno di mantenimento a beneficio del coniuge è la disparità reddituale a sfavore del soggetto che richieda l’assegno stesso e che, nella fattispecie, la condizione di sfavore era riferibile proprio ad esso istante: e cioè al soggetto tenuto alla contribuzione di cui trattasi.
2. – Il motivo non ha fondamento.
L’istante, nell’esaltare il dato delle disponibilità economiche che l’intimata si sarebbe procurata con l’acquisizione dei due immobili (oltre che di altre fonti di reddito, rimaste però estranee all’accertamento della Corte di merito) mostra, di fatto, di conferire rilievo assorbente alla funzione assistenziale dell’assegno di mantenimento. In base al recente e noto arresto delle Sezioni Unite, invece, all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (Cass. Sez. U. 11 luglio 2018, n. 18287). In tal senso, l’assegno divorzile deve assicurare all’ex coniuge richiedente, in ragione della sua finalità composita – assistenziale, perequativa e compensativa -, un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i suddetti parametri (Cass. 17 febbraio 2021, n. 4215).
La Corte di appello, apprezzando, per un verso, il contributo dell’intimata alla gestione familiare e il sacrificio, dalla stessa affrontato, consistente nell’interruzione dei propri studi universitari e, per altro verso, le mutate condizioni reddituali di entrambi gli ex coniugi -comunque rilevanti quali giustificati motivi atti a giustificare una revisione della statuizione originariamente assunta in punto di assegno di mantenimento -, ha reso una decisione che si sottrae a censura. Infatti, il mantenimento dell’assegno nell’importo ridotto è pienamente coerente con la valorizzazione dei tre profili che si sono sopra indicati e sottende l’accertamento, in questa sede non sindacabile, quanto al fatto che il divorzio abbia comunque prodotto uno squilibrio economico ai danni della moglie.
3. – Segue il rigetto del ricorso.
4. – Le spese del giudizio di legittimità sono regolate dal principio di soccombenza.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 22 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022