Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.121 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 4082/2017 R.G. proposto da:

Banco BPM s.p.a. (per fusione tra Banca Popolare di Milano s.c.ar.l.

e Banco Popolare s.c.), nella qualità di mandataria di BPM s.p.a., in persona del procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Pompeo Magno n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Saverio Gianni, che lo rappresenta e difende, unitamente agli Avvocati Giulio Federico Colombo, e Francesco Rigano, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

***** s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tagliamento n. 14, presso lo studio dell’Avvocato Carlo Maria Barone, che la rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato Anselmo Barone, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Roma depositato il 6/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi;

lette le conclusioni scritte, D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, del P.M.

in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che chiede che la Corte, accolto il terzo motivo, rigetti i primi due. Conseguenze di legge.

FATTI DI CAUSA

1. Il giudice delegato, con decreto del 14 giugno 2007, regolava le spese da porre a carico del creditore istante Banca Popolare di Milano soc. coop. a r.l. dopo la revoca del fallimento n. ***** della società ***** s.r.l., che era stata disposta dalla Corte di appello di Roma con sentenza n. 1323 del 18 marzo 2003.

Tale statuizione veniva integralmente confermata in sede di reclamo dal Tribunale di Roma, con decreto dell’11 gennaio 2008.

Questa Corte, con sentenza n. 3333 del 19 febbraio 2015, accoglieva il ricorso presentato da Banca Popolare di Milano avverso quest’ultimo provvedimento, cassava il medesimo e rinviava per nuovo esame al giudice di merito.

2. In sede di rinvio il Tribunale di Roma, con decreto del 6 dicembre 2016, dichiarava inammissibile il ricorso in riassunzione proposto da Banca Popolare di Milano soc. coop. a r.l. ai sensi dell’art. 392 c.p.c., in ragione del completo decorso del termine annuale previsto dalla norma nel testo applicabile ratione temporis, escludendo che la sospensione dei termini processuali per il periodo feriale operasse rispetto al procedimento di reclamo di cui alla L. Fall., art. 26.

Osservava che i reclami endofallimentari – e, in particolare, quelli L. Fall., ex art. 26 – sostituiscono le opposizioni previste dalle norme sul procedimento esecutivo individuale, di cui condividono la natura e la funzione, con la conseguente necessaria estensione a questi rimedi del principio di inapplicabilità della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale contemplato per le opposizioni agli atti esecutivi e all’esecuzione.

L’estensibilità di questa disciplina trovava conferma – a parere del collegio di merito – anche nella previsione della L. Fall., art. 36-bis, introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, norma che era entrata in vigore il 16 luglio 2006, prima che ***** s.r.l. presentasse al giudice delegato, in data 20 marzo 2007, l’istanza di determinazione delle spese da porre a carico al creditore istante.

Escludeva, poi, che la L. Fall., art. 36-bis, non trovasse applicazione solo perché la norma non fa espressa menzione del procedimento previsto dal D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 147, poiché il provvedimento impugnato era stato emesso all’esito di un procedimento di reclamo introdotto ai sensi della L. Fall., art. 26.

Aggiungeva, infine, che il ricorso sarebbe stato tardivo anche nel caso in cui si fosse applicata la disciplina in materia di sospensione feriale dei termini, dato che la sentenza della Corte di Cassazione era stata pubblicata il 19 febbraio 2015 e l’atto di riassunzione era stato notificato il 15 aprile 2016.

3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso Banco BPM s.p.a., sorta dalla fusione fra Banca Popolare di Milano soc.c.oop. a r.l. e Banco Popolare S.C., nella sua qualità di mandataria di BPM s.p.a. (già Banca Popolare di Mantova s.p.a.), divenuta titolare del rapporto controverso quale conferitaria del ramo d’azienda di Banca Popolare di Milano di esso comprensivo, scorporato in esecuzione del progetto di fusione.

Il ricorso prospetta tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso ***** s.r.l..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Questa sezione ha rinviato la causa a nuovo ruolo onde consentire la successiva trattazione in pubblica udienza.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte sollecitando l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo Banco BPM s.p.a. lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento della L. n. 742 del 1969, art. 3 e alla L. Fall., art. 36-bis, nonché al D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 147 (art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perché il tribunale non ha considerato che la L. Fall., art. 36-bis, mentre richiama espressamente L. Fall., artt. 26 e 36, non menziona il procedimento di cui all’art. 147 cit., che disciplina la fattispecie, oggetto del presente giudizio, dell’addebito delle spese della procedura e del compenso del curatore in caso di revoca del fallimento.

Quest’ultimo procedimento ricade nella disciplina ordinaria ed è sottoposto alla sospensione dei termini processuali.

5. Con il secondo motivo la banca ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento alla L. n. 742 del 1969, art. 3 e alla L. Fall., art. 36-bis, nonché al D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 147, perché il Tribunale di Roma ha applicato al presente giudizio, in via analogica, il disposto della L. Fall., art. 36-bis, che stabilisce una regola di natura processuale e speciale (la cui ratio in ogni caso è quella di accelerare i procedimenti interni alla procedura fallimentare), in un caso in cui la procedura si era già chiusa e la società era tornata in bonis; per di più la struttura del giudizio di cui al D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 147, a cognizione piena, è diversa rispetto a quella dei procedimenti di opposizione all’esecuzione ex art. 617 c.p.c..

6. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, non sono fondati.

6.1 Non si può prescindere dal giudicato interno già formatosi in ordine alla natura del provvedimento reso dal giudice delegato e sulla disciplina che regola il procedimento.

Il tribunale, nell’ambito del primo giudizio di reclamo, ha accertato con una statuizione non impugnata in sede di legittimità – che il provvedimento del giudice delegato era stato emesso “sulla base della L. Fall., art. 25, avendo le parti richiesto al G.D. di effettuare la concreta ripartizione del carico delle spese di procedura, precedentemente quantificate, sulla base dei criteri fissati dalla Cassazione” (pag. 2 del decreto dell’11 gennaio 2008).

Questa Corte poi, con la sentenza 3333/2015, ha osservato (a pag. 6) che “il presente giudizio riguarda un decreto emesso ai sensi dell’abrogato della L. Fall., art. 21, in relazione a fallimento dichiarato nel 1992… e, qualora il fallimento sia stato dichiarato anteriormente al 16 luglio 2006 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006) la procedura è regolata dalla antecedente normativa, ai sensi degli artt. 150 e 153 del D.Lgs. citato, essendo la pendenza del fallimento ricollegabile alla sentenza dichiarativa, la quale costituisce l’inizio della procedura liquidatoria.., cui appartengono anche le fasi relative alla revoca e alla chiusura, compresa quella disciplinata dal previgente della L. Fall., art. 21”.

Rimane così definitivamente accertato, da un lato, che il giudizio attiene ad un reclamo presentato ai sensi della L. Fall., art. 26, contro un decreto del giudice delegato reso L. Fall., ex art. 25, nell’ambito di un procedimento soggetto alla disciplina fallimentare previgente al D.Lgs. n. 5 del 2006, dall’altro che quest’ultima disciplina trova applicazione anche per le fasi di revoca e chiusura, ivi compresa la regolazione delle spese di procedura ai sensi del previgente della L. Fall., art. 21.

6.2 Dunque, non è possibile fare diretta applicazione della L. Fall., art. 36-bis, attualmente vigente, perché questa norma, stando a quanto accertato nel precedente corso del giudizio, non trova applicazione al procedimento in esame.

Sul punto il decreto impugnato deve essere corretto, ex art. 384 c.p.c., comma 4, poiché non tiene conto del giudicato interno formatosi in ordine alla natura del provvedimento adottato, al regime di impugnazione a cui lo stesso rimaneva soggetto e alla disciplina normativa regolante il procedimento.

6.3 Il tribunale, nella prima parte della propria decisione, ha fatto richiamo alla giurisprudenza di questa Corte al fine di rappresentare che “i reclami endofallimentari ed, in particolare, i reclami di cui alla L. Fall., art. 26, sostituiscono “le opposizioni previste dalle norme sul procedimento esecutivo individuale” (Cass. nn. 2401-69 e 2606-85) ed hanno, quindi, la medesima natura e funzione”; ne discende – a parere del collegio di merito – che “non può non estendersi a questi rimedi, specificamente previsti dalla legge fallimentare, il principio (ormai pacifico) della inapplicabilità della sospensione dei termini processuali in periodo feriale alle cause di opposizione ed agli atti esecutivi, ricorrendo senza alcun dubbio la medesima ratio (di rapida definizione di particolari procedimenti) che giustifica l’eccezionale divieto della sospensione sancito dalla L. n. 742 del 1969, art. 3….”.

In realtà la giurisprudenza di questa Corte ha fissato un criterio più complesso al fine di verificare se le procedure di reclamo endofallimentare siano o meno sottratte alla sospensione feriale dei termini, ritenendo che la stessa non operi rispetto ai procedimenti di reclamo che assumono una funzione sostitutiva delle opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi della procedura esecutiva individuale (artt. 615 e 617 c.p.c.), per le quali la legge (vale a dire la L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3, che richiama l’art. 92 ord. giud.) pone un’eccezione alla regola della sospensione, e si applichi, invece, in caso di reclamo contro atti di altra natura del giudice delegato o del curatore – come, ad esempio, ai procedimenti di reclamo avverso il decreto del giudice delegato con cui è reso esecutivo il progetto di ripartizione dell’attivo fallimentare (Cass. 2329/2006) o con il quale è esclusa la possibilità per il fallito di esaminare il fascicolo fallimentare e di estrarne copia (Cass. 19509/2005) -, non avendo tali reclami funzione sostitutiva delle predette opposizioni.

Posto, quindi, che non tutti i reclami in ambito fallimentare sono sottratti alla sospensione feriale, per la ragione che non sempre gli stessi agitano questioni sovrapponibili a quelle trattate in sede di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi all’interno della procedura esecutiva individuale, si tratta di verificare se, nel caso di specie, una simile sovrapponibilità di ratio sussistesse e, in quanto tale, giustificasse l’operatività della regola fissata per i procedimenti di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c..

6.4 Il provvedimento del G.D. emesso ai sensi della L. Fall., art. 25 e reclamato avanti al collegio L. Fall., ex art. 26, riguardava, come detto, l’individuazione delle spese che dovevano essere poste a carico del creditore istante in conseguenza della revoca del fallimento.

Ora, in caso di procedura esecutiva individuale, l’art. 617 c.p.c., costituisce il rimedio tipico per contestare i provvedimenti del giudice dell’esecuzione regolanti l’andamento del processo (Cass. 14604/2020, Cass. 9837/2015), sicché rimangono soggetti a un simile rimedio, oltre ai provvedimenti dichiarativi dell’improcedibilità o di chiusura anticipata del processo esecutivo, anche i provvedimenti consequenziali adottati dal giudice, compresi quelli inerenti alla liquidazione delle spese (Cass. 21874/2021).

Allo stesso modo l’individuazione da parte del giudice delegato dell’entità delle spese da porre a carico del creditore istante in caso di revoca del fallimento costituisce un atto sostanzialmente ricognitivo, regolante la fase di chiusura del procedimento fallimentare, che può essere assimilato a un provvedimento del giudice dell’esecuzione impugnabile in via di opposizione agli atti esecutivi.

Il procedimento di impugnazione di un simile provvedimento, avendo assunto funzione sostitutiva di un’opposizione agli atti esecutivi nell’ambito di una procedura esecutiva individuale, per la quale il combinato disposto della L. n. 742 del 1969, art. 3 e art. 92 ord. giud., pone un’eccezione alla regola della sospensione, rimaneva quindi soggetto alla medesima disciplina di esenzione dalla sospensione feriale, di modo che le conclusioni a cui è giunto il tribunale, pur da correggersi nei termini in precedenza indicati, risultano conformi a diritto.

7. Rimane assorbito il terzo motivo (con cui la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 742 del 1969, art. 3,L. Fall., art. 36-bis, D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 147 e art. 111 Cost., nonché l’omesso esame del fatto che la notificazione dell’atto di riassunzione era stata richiesta e si era perfezionata in data 18 marzo 2016, come dimostrato dai messaggi di posta elettronica certificata allegati, con il conseguente erroneo convincimento della irrilevanza della L. n. 742 del 1969, art. 3); infatti, la riconosciuta non operatività della sospensione feriale dei termini rende superfluo l’esame della censura, dato che l’atto di riassunzione, quand’anche fosse stato presentato nella data indicata, risulterebbe comunque tardivo.

8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente, nella dichiarata qualità, al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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