LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21712/2017 proposto da:
C.G. & F. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Arno 38, presso lo studio dell’avvocato Moncada Gianluca, rappresentata e difesa dall’avvocato Lo Giudice Salvatore;
– ricorrente –
contro
Riscossione Sicilia Spa, in persona del legale rappresentante por tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Arcudi Rosaria;
– resistente –
avverso la sentenza n. 445/2017S/12 della COMM. TRIB. REG. SICILIA, depositata il 09/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2021 dal consigliere Dott. MELE MARIA ELENA.
RITENUTO
che:
La società C.G. e F. snc impugnava l’intimazione di pagamento con cui l’agente della riscossione Serit Sicilia spa (oggi Riscossione Sicilia spa) le aveva intimato il pagamento della cartella esattoriale asseritamente non pagata, deducendo plurime censure.
La Commissione tributaria provinciale di Agrigento accoglieva il ricorso.
Riscossione Sicilia spa impugnava tale decisione avanti alla Commissione tributaria regionale della Sicilia. La società non si costituiva e la CTR accoglieva il gravame.
La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza affidato a 3 motivi.
Riscossione Sicilia spa ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 101,112 e 132 c.p.c., della L. n. 890 del 1982, art. 3 e art. 4, comma 3, degli artt. 24 e 111 Cost., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la CTR omesso di esaminare e valutare la ritualità della notifica dell’atto di appello in assenza di costituzione della parte appellata. La sentenza impugnata aveva affermato che l’atto di impugnazione della decisione della CTP di Agrigento era stato notificato alla contribuente e non aveva evidenziato che essa era rimasta contumace. La ricorrente deduce che l’atto d’appello era stato notificato per posta e che solo sul plico postale di tale atto era stato apposto il timbro “per compiuta giacenza”, nonché la data e una firma illeggibile, mentre l’avviso di ricevimento della raccomandata non dava alcun conto delle formalità compiute dall’agente postale, del tentativo di notifica, e delle modalità di formazione della cd. compiuta giacenza. La carenza delle formalità prescritte avrebbe dovuto indurre la CTR a dichiarare l’inammissibilità dell’appello per violazione della instaurazione del contraddittorio.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112 e 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. La CTR aveva accolto l’appello escludendo erroneamente che si fosse formato tra le stesse parti un giudicato, in quanto la sentenza invocata dalla contribuente e resa in un precedente giudizio era in realtà intervenuta tra parti diverse. Secondo la ricorrente, il giudice d’appello avrebbe omesso di motivare in ordine alla mancanza di prova da parte dell’agente della riscossione circa la diversità delle parti dei due giudizi, tenuto conto del fatto che, a prescindere dall’erronea indicazione del nominativo, esse avevano il medesimo codice fiscale, sicché si trattava del medesimo soggetto.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 91,92,96 c.p.c., del D.P.R. n. 456 del 1992, art. 112, art. 15, comma 2-bis e art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4. La sentenza impugnata avrebbe omesso di motivare in ordine alla inesistenza della pretesa creditoria fatta valere dall’agente della riscossione per essere stata la cartella esattoriale già annullata con sentenze rese tra le stesse parti, come risultante dalla documentazione prodotta, ed aventi lo stesso oggetto, circostanza di cui l’agente avrebbe avuto piena consapevolezza e che, pertanto, avrebbe dovuto indurre il giudice di secondo grado a valutare la sussistenza di un’ipotesi di responsabilità processuale aggravata dell’agente.
Il primo motivo è fondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, per il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario, è necessario che egli abbia ricevuto l’atto o che esso sia pervenuto nella sua sfera di conoscibilità e l’unico documento idoneo a fornire tale dimostrazione, nonché della data in cui essa è avvenuta, dell’identità ed idoneità della persona cui il plico sia stato consegnato è la ricevuta di ritorno della raccomandata (citata L. n. 890 del 1982, art. 149, e art. 4, commi 3 e 8).
Si è infatti affermato che “al fine di stabilire l’esistenza e la tempestività della notificazione di un atto giudiziario eseguita a mezzo del servizio postale, occorre fare riferimento esclusivamente ai dati risultanti dall’avviso di ricevimento, essendo soltanto tale documento idoneo a fornire la prova dell’esecuzione della notificazione, della data in cui è avvenuta e della persona cui il plico è stato consegnato” (Cass. Sez. 1, n. 3737 del 25/02/2004, Rv. 570487-01; Sez. 3, n. 15374 del 13/06/2018, Rv. 649056-01).
La giurisprudenza di legittimità e’, altresì, ferma nel ritenere che in caso di notificazione a mezzo posta, l’ufficiale postale, qualora non abbia potuto consegnare l’atto al destinatario o a persona abilitata a riceverlo in sua vece, ai sensi della L. n. 890 del 1982, artt. 8 e 9, ha l’obbligo, dopo avere accertato che il destinatario non ha cambiato residenza, dimora o domicilio, ma è temporaneamente assente e che mancano persone abilitate a ricevere il piego, di rilasciare al notificando l’avviso del deposito del piego nell’ufficio postale e di provvedere, eseguito il deposito, alla compilazione dell’avviso di ricevimento che, con la menzione di tutte le formalità eseguite, deve essere restituito con il piego al mittente, dopo la scadenza del termine di giacenza dei dieci giorni dal deposito. Ne consegue che, ove l’avviso di ricevimento non contenga precisa menzione di tutte le descritte operazioni e in difetto di dimostrazione dell’attività svolta dall’ufficiale postale offerta aliunde dal notificante, la notifica è radicalmente nulla (Cass., Sez. 3, n. 10998 del 19/05/2011, Rv. 617863-01; Sez. L, n. 12822 del 21/06/2016, in motivazione).
Nella specie la contribuente ha rilevato che l’atto di appello era stato notificato a mezzo posta e che l’avviso di ricevimento conteneva sul lato fronte l’indicazione del mittente, mentre sul retro recava il numero e la data della raccomandata e gli estremi del destinatario. Nessun’altra indicazione era contenuta.
Il plico postale dell’atto di appello, il cui contenuto, in ossequio al principio di autosufficienza, è stato riprodotto nel ricorso, recava il timbro così scritturato: “per compiuta giacenza. Data 22/11/13. Firma”, cui seguiva una sigla illeggibile, nonché il timbro postale recante la data del 4/12/2013.
Tali circostanze non sono stata in alcun modo contestate da Riscossione Sicilia spa.
E’ dunque pacifico che l’avviso di ricevimento della raccomandata con la quale era stato notificato l’appello non recava l’indicazione di alcuna delle formalità eseguite dall’agente postale ai fini della notificazione dell’atto al destinatario, non essendo specificata né l’assenza del destinatario, né la mancanza dei soggetti abilitati a ricevere l’atto e neppure il rilascio dell’avviso di deposito del piego nell’ufficio postale, né le modalità di formazione della cd. compiuta giacenza.
Si deve pertanto dare seguito alla giurisprudenza di questa Corte e dichiarare la nullità della notifica dell’atto di appello.
Ne consegue l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti motivi, e la cassazione della sentenza impugnata senza rinvio. Si ritiene, infatti, che debba trovare applicazione il principio espresso dal giudice di legittimità, in tema di notifica a mezzo posta nel contenzioso tributario sul mancato rispetto delle formalità prescritte per la notifica a mezzo posta, da ritenere applicabile anche al caso in esame, secondo cui, ove la Corte di cassazione sia investita, attraverso ricorso ad essa presentato, della inesistenza della notifica e delle conseguenti nullità dell’atto introduttivo del giudizio di appello, nonché della sentenza emessa all’esito del medesimo, quest’ultima deve essere annullata senza rinvio, ai sensi del combinato disposto del citato D.Lgs. n. 546, art. 62, comma 2, e dell’art. 382 c.p.c., comma 3, secondo periodo, e ciò in quanto il processo non avrebbe potuto essere proseguito in grado di appello ed i giudici avrebbero dovuto dichiarare inammissibile il gravame, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1. (Cass., Sez. 5, n. 20789 del 21/07/2021, Rv. 661948 – 01; n. 24245 del 2011; n. 7608 del 2000).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di appello che si liquidano in Euro 2.000, e al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in Euro 2.300 per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge e oltre Euro 200 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022
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