Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1212 del 17/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7234/2018 R.G. proposto da:

PARC HOTEL VILLA IMMACOLATA srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Mangia, con domicilio eletto in Roma, via A. Regolo n. 12/d, presso lo studio dell’Avv. Italo Castaldi;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PESCARA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Paola Di Marco e dall’Avv. Antonella Manso, elettivamente domiciliato presso i propri uffici in Pescara, p.zza Italia n. 1;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, n. 731/2017, depositata il 5 settembre 2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 6 ottobre 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.

RITENUTO

che:

Parc Hotel Villa Immacolata srl, in persona del legale rappresentate pro tempore, impugnava l’avviso di accertamento con cui il Comune di Pescara aveva richiesto il pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani per le annualità dal 2007 al 2012. A fondamento del ricorso la contribuente deduceva l’illegittimità dell’avviso per violazione dell’obbligo di motivazione, l’erroneità dei dati di calcolo e la violazione del principio del cumulo giuridico delle sanzioni.

La Commissione tributaria provinciale di Pescara accoglieva in parte il ricorso escludendo dall’accertamento l’annualità 2007 e rideterminando le sanzioni.

La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo rigettava l’appello con il quale la società contribuente aveva riproposto tutte le doglianze svolte in primo grado.

La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza affidato a due motivi.

Ha resistito con controricorso il Comune di Pescara.

CONSIDERATO

che:

Il primo motivo è così rubricato: “Violazione, falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7”. La CTR avrebbe erroneamente ritenuto congruamente motivato l’atto impugnato, dal momento che, costituendo la TARSU remunerazione del servizio di smaltimento dei rifiuti, è necessario che l’atto impositivo evidenzi il criterio di riparto in relazione al costo del servizio, cioè in relazione alle differenti capacità di produzione dei rifiuti. L’avviso impugnato, invece, non indicava le ragioni per cui il Comune aveva attribuito una tariffa piuttosto che un’altra.

Il secondo motivo è così rubricato: “violazione, falsa applicazione delle norme di diritto e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. La CTR avrebbe erroneamente fondato il rigetto dell’appello sulla circostanza che il contribuente non aveva adempiuto al proprio onere dichiarativo previsto dal D.Lgs. n. 597 del 1993, art. 70. Il ricorrente sostiene che, al momento della emissione dell’atto impugnato, il Comune di Pescara era già in possesso della documentazione relativa all’immobile soggetto a tassazione perché fornito dal precedente gestore dell’attività alberghiera, sicché era già a conoscenza sia della estensione dell’immobile, sia della specifica destinazione delle aree e ben avrebbe dovuto scomputare dalla superficie tassabile l’area destinata a cucina dove si producono rifiuti speciali che la contribuente smaltisce autonomamente, a prescindere dalla necessità di una preventiva dichiarazione. Inoltre, la contribuente aveva provveduto a depositare in giudizio la documentazione attestante lo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali. Tali circostanze, tuttavia, non aveva valutato tali circostanze così incorrendo nel vizio di violazione di legge, nonché in quello di omesso esame delle circostanze suddette.

Il primo motivo è inammissibile.

In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 2 (nel testo vigente ratione temporis) obbliga il Comune ad indicare in ciascun atto impositivo soltanto la tariffa applicata e la relativa delibera, con la conseguenza che non è necessario riportare o esplicitare la formula utilizzata per la determinazione della tariffa, la quantità totale dei rifiuti o la superficie totale iscritta a ruolo, né, tantomeno, i dati numerici fondamentali per il calcolo del tributo. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22470 del 09/09/2019, Rv. 655081 – 01).

Ne deriva che in tema di Tarsu, nel caso in cui la rettifica venga operata sulla base di una variazione di superficie o di tariffa o di categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenuta applicabile, elementi che, integrati con gli atti generali, quali le delibere comunali o altri regolamenti comunali – che non è necessario allegare, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, perché si rivolgono ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (cfr. Cass. sez. 5, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass. sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass. n. 16165 del 2018) – risultano idonei a rendere intellegibili i presupposti di fatto e di diritto della pretesa tributaria. Viene infatti in rilievo la semplicità del procedimento logico che in questi casi caratterizza la determinazione del tributo in esame, il cui ammontare viene determinato moltiplicando la tariffa, individuata sulla base della categoria, per la superficie tassata. Va pertanto escluso che possa essere censurata come mancanza di motivazione l’omessa individuazione di tutte le fonti probatorie o delle indagini effettuate per rideterminare l’area, ben potendo tali indicazioni essere fornite nell’eventuale successiva fase contenziosa, in cui l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri.

Nel caso in esame, la CTR ha ritenuto adeguatamente motivato l’atto impugnato. La società contribuente, pur lamentando la carente motivazione dell’avviso di accertamento e censurando sotto tale profilo la sentenza impugnata, non ha riprodotto il contenuto dell’atto impositivo in tal modo non consentendo a questa Corte di valutare la fondatezza della censura.

Infatti, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione in relazione alla motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso (ex plurimis v. Cass., sez. 5, n. 22119 del 2021; n. 28776 del 2021).

Quanto al secondo motivo, con riguardo al profilo concernente l’assunto omesso esame, da parte della sentenza impugnata, di circostanze decisive ai fini del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, esso è inammissibile. Trova infatti applicazione la regola della pronuncia c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter c.p.c. (applicabile ratione temporis) e della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In particolare, la doglianza contravviene al principio, condiviso dal Collegio, secondo cui in tale ipotesi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (ex plurimis, Cass. n. 30902 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014); adempimento che la ricorrente, nel caso di specie, non ha svolto, emergendo comunque dal contenuto del ricorso che identica è la quaestio facti esaminata dalle due commissioni.

Il secondo profilo concernente l’asserita violazione di legge è infondato. Ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato.

Lo stesso art. 62, prevede esclusioni disponendo che “Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione”.

Il comma 3, stabilisce un’ulteriore esclusione disponendo che “Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti”.

Tuttavia, l’art. 70, pone a carico del detentore dell’immobile un obbligo di denuncia da presentare al Comune, entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione, disponendo che essa ha effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate. In caso contrario l’utente è tenuto a denunciare, nelle medesime forme, ogni variazione relativa ai locali ed aree, alla loro superficie e destinazione che comporti un maggior ammontare della tassa o comunque influisca sull’applicazione e riscossione del tributo in relazione ai dati da indicare nella denuncia.

Sulla base di tali norme, la consolidata giurisprudenza di questa Corte afferma che spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3. Infatti, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato, oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del citato decreto, art. 70, un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Sez. 5, n. 21250 del 13/09/2017, Rv. 645459 – 01; n. 21011 del 22/07/2021, Rv. 662045 – 02).

Si è altresì affermato che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), grava sul contribuente l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare delle esenzioni previste dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 2 e 3, per quelle aree detenute, od occupate, che, in ragione di specifiche caratteristiche strutturali o di destinazione, non producono rifiuti o producono rifiuti speciali (smaltiti dallo stesso produttore a proprie spese), in quanto il principio secondo cui spetta all’Amministrazione provare la fonte dell’obbligazione tributaria non si estende alla dimostrazione della spettanza o meno delle esenzioni, le quali costituiscono eccezioni alla regola generale della debenza del tributo da parte di tutti coloro che occupano, o detengono, immobili nel territorio comunale (Sez. 6-5, n. 10634 del 16/04/2019, Rv. 653952 01).

Nella specie, la CTR ha fatto corretta applicazione di tali principi affermando che il contribuente non aveva adempiuto all’onere, su di lui gravante, di formulare apposita denuncia, nonché di documentare le spese sostenute e i quantitativi di rifiuti speciali avviati al recupero.

In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 7.500 per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge e oltre Euro 200 per esborsi.

Visto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472