Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.1217 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22947/2016 R.G. proposto da:

S.G.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Sabrina Mannarino, del foro di Cosenza, con domicilio eletto in Roma, via Panaro n. 11, presso lo studio dell’Avv. Raffaele Ambrosio;

– ricorrente –

contro

R.N., rappresentato e difeso dall’Avv. Francesca Guerrera, del foro di Cosenza e con domicilio in Roma, piazza Cavour n. 1, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 973 depositata il 17 luglio 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:

– il Tribunale di Paola, con sentenza n. 85 del 2010, rigettava la domanda proposta da S.G.L. di rescissione della scrittura privata del 28.01.1999, con la quale costui aveva ceduto a R.N., convenuto in giudizio, le quote di sua spettanza della società “Casa di Cura S. s.r.l.”, pari al 66,87%, per il corrispettivo di Lire 900.000.000, della garanzia pignoratizia contestualmente rilasciata e dell’atto per notaio C. del 3.12.1999 confermativo della cessione, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, per essere spirato il termine breve di un anno di cui all’art. 1449 c.c. e non potendo applicarsi il termine lungo, previsto per l’ipotesi che il fatto costituisca reato, essendosi concluso con un’archiviazione il procedimento penale per il reato di usura nei confronti del R.;

– sul gravame interposto dallo S., la Corte d’appello di Catanzaro, nella resistenza dell’appellato, rigettava l’appello, confermando la pronuncia di primo grado. In ordine all’eccezione di decadenza dalla proposizione dell’eccezione di prescrizione, in quanto formulata dal convenuto in primo grado con la comparsa di costituzione depositata il 16.07.2004, successivamente alla prima udienza e, dunque, oltre il termine di cui all’art. 166 c.p.c., la Corte d’appello la dichiarava infondata in quanto la normativa di riferimento era quella precedente alla riforma del 2005, secondo la quale il termine di costituzione di cui all’art. 166 c.p.c., aveva carattere ordinatorio e non determinava decadenze. Prima del D.L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 80 del 2005, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, tra le quali quella di prescrizione, non erano soggette a decadenza se proposte in dispregio degli artt. 166 e 167 c.p.c..

Quanto alla configurabilità dell’ipotizzato reato di usura, che, ove sussistente, avrebbe reso applicabile il termine prescrizionale più lungo previsto dall’art. 1449 c.c., la Corte d’appello dichiarava di condividere le argomentazioni del giudice di prime cure, valutando analitica e condivisibile la consulenza eseguita con le garanzie giudiziali dal PM presso il Tribunale di Cosenza a mezzo del commercialista Dott. M.A., che aveva stimato il valore complessivo dell’azienda S. al 31.12.1999 in L. 986.561.291, reputando congruo e proporzionato il prezzo pagato dal R. per l’acquisto delle quote ed escludendo l’asserita sproporzione tra il valore del compendio ceduto ed il corrispettivo pagato che, unitamente alla condizione di difficoltà economica o finanziaria della “vittima”, avrebbe connotato l’usurarietà. Infine, la Corte d’appello negava rilevanza alla relazione di “valutazione del capitale economico della Casa di Cura S. srl” allegata dall’appellante, in quanto viziata nella forma, perché priva di data e di sottoscrizione degli autori, e non condivisibile nei contenuti “palesemente apodittici” (pg. 4 sentenza impugnata) e nel metodo;

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorre S.G.L., sulla base di due motivi;

– resiste R.N. con controricorso;

– in data 31.05.2021 è stata depositata in cancelleria dichiarazione di rinunzia al ricorso, sottoscritta dal difensore del ricorrente, e notificata al difensore della controparte in data 28.05.2021.

Va osservato che l’atto di rinuncia risulta sottoscritto dal solo difensore del ricorrente e la procura rilasciatale dalla parte in calce al ricorso non la abilita espressamente e specificatamente (anche) a disporre del diritto in contesa mediante la rinunzia in oggetto.

Come questa Corte ha avuto modo di affermare, la legge non determina il contenuto necessario della procura, limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale (art. 82 c.p.c., comma 2), e a stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati, mentre non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere (art. 84 c.p.c.).

Orbene, alla procura alle liti, in assenza di specifica regolamentazione, si applica la disciplina codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente un carattere generale rispetto a quella processualistica (v. Cass., Sez. Un., 14 marzo 2016 n. 4909; Cass., Sez. Un., 4 maggio 2006 n. 10209; Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005 n. 15783; Cass., Sez. Un., 6 agosto 2002 n. 11759), ivi compreso in particolare il principio generale posto all’art. 1708 c.c., secondo cui il mandato comprende tutti gli atti necessari al compimento dell’incarico conferito (v. Cass., Sez. Un., 14 marzo 2016 n. 4909 cit.; Cass. 18 aprile 2003 n. 6264; Cass. 4 aprile 1997 n. 2910; Cass. 6 marzo 1979 n. 1392).

Pertanto, pur in presenza di una procura ad litem di contenuto scarno e generico, si è riconosciuto il potere del difensore di modificare la condotta processuale in relazione agli sviluppi e agli orientamenti della causa nel senso ritenuto più rispondente agli interessi del proprio cliente (v. Cass. 4 febbraio 2002 n. 1439; Cass. 3 luglio 1979 n. 3762), nonché di compiere con effetto vincolante per la parte, tutti gli atti processuali non riservati espressamente alla stessa, come ad esempio consentire od opporsi alle prove avversarie e di rilevarne l’utilità, rinunziare a singole eccezioni o conclusioni, ridurre la domanda originaria e rinunziare a singoli capi della domanda, senza l’osservanza di forme rigorose (v. Cass., Sez. Un., 14 marzo 2016 n. 4909 cit.; Cass. 24 settembre 2013 n. 21848; Cass. 8 gennaio 2002 n. 140; Cass. 10 aprile 1998 n. 3734).

Si è viceversa escluso che la procura alle liti come nella specie data al difensore con l’utilizzo di formule ampie e generiche (nella specie, “…conferendo ogni più ampio potere e falcoltà di legge con espresso mandato a proporre ricorso per la Cassazione della sentenza n. 973/20150…”) consenta al difensore di effettuare atti che importino disposizione del diritto in contesa, come transazione, confessione, rinunzia all’azione o all’intera pretesa azionata dall’attore nei confronti del convenuto, rinunzia agli atti del giudizio (v. Cass., Sez. Un., 14 marzo 2016 n. 4909 cit.; Cass. 17 dicembre 2013 n. 28146).

Tale atto denota peraltro la sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso giacché la dichiarazione di rinunzia che come nel caso di specie sia sprovvista dei requisiti di cui all’art. 390 c.p.c., comma 2, non è idonea a produrre l’effetto dell’estinzione del processo per avvenuta rinunzia ai sensi del combinato disposto dagli artt. 390 e 391 c.p.c., ma si palesa idonea a rivelare il sopravvenuto difetto d’interesse del ricorrente a proseguire il processo stesso e a determinare così la cessazione della materia del contendere (v. Cass. 15 gennaio 2015 n. 963; Cass. 11 ottobre 2013 n. 23161; Cass. 15 settembre 2008 n. 23685; Cass. 6 dicembre 2004 n. 22806).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Le spese di lite, non essendo intervenuto “visto” e/o “accettazione” della controparte, vanno liquidate in base alla soccombenza.

Non sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, perché la ratio di tale disposizione va individuata nella finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose, sicché tale meccanismo sanzionatorio si applica per l’inammissibilità originaria ovvero per il rigetto, ma non per la cessazione di interesse ad una pronuncia sopravvenuta (cfr Cass. n. 13636 del 2015).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 3 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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