Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.122 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giusepp – Presidente –

Dott. SUCCIO R. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpao – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4162/2013 R.G. proposto da:

A. CELLI PAPER s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dal prof. avv. Marco Miccinesi (marcomiccinesi.pec.ordineavvocatifirenze.it) e dal prof. avv. Francesco Pistolesi, (francescopistolesi.firenze.pecavvocati.it) con domicilio eletto in Roma in via Cola di Rienzo n. 109 presso lo studio dell’avv. Paolo Fiorilli (PEC paolofiorilli.ordineavvocatiroma.org);

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC ags.rm2.mailcert.avvocaturastato.it);

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 149/31/11 depositata il 22/12/2011, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 26/11/2021 dal Consigliere Roberto Succio.

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto in parte l’appello della società contribuente, dichiarando regolare la imputazione delle spese relative al contratto di service sia ai fini dell’imposizione reddituale sia ai fini dell’iva, confermando nel resto la sentenza di primo grado risultando in parte qua legittimo l’avviso di accertamento impugnato per IVA, IRPEG ed IRAP riferita all’anno 2003;

– avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione A. CELLI PAPER s.p.a. con atto affidato a undici motivi e illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109) commi 1, 4 e 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR erroneamente ritenuto indeducibili le spese di autonoleggio di cui alla fattura n. 2441 emessa dall’Agenzia di viaggi Oasis in quanto la fattura in oggetto è intestata alla A. CELLI NONWOVENS s.p.a. e non alla A. CELLI PAPERS s.p.a.;

– il motivo è inammissibile;

invero, la CTR ha ritenuto che trattavasi di costi privi dell’inerenza richiesta non solo in base alla mera intestazione della fattura, che indicava altro soggetto giuridico quale destinatario del costo e quindi da quest’ultimo andava portata in deduzione; essa invero ha accertato in fatto, con valutazione non più sindacabile in questa sede di Legittimità, che “non esiste la prova concreta di una diversa utilizzazione del servizio ai fini della inerenza” (pag. 3 della sentenza, righe 17-19);

pertanto, non avendo A. CELLI PAPERS s.p.a. dato prova di aver effettivamente essa e non altri fruito di tal costo, lo stesso non può esser dedotto dalla ricorrente;

– il secondo motivo di ricorso censura la pronuncia impugnata per omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, consistente nella erronea intestazione della fattura alla società A. CELLI NONWOVENS s.p.a., per avere la CTR in modo apodittico escluso la prova dell’utilizzazione del noleggio da parte della ricorrente senza tener conto di elementi e circostanze esposte in ricorso dalla contribuente dall’esame delle quali sarebbe potuta derivare differente decisione;

– il motivo è infondato; deve premettersi che ove il ricorrente denunci l’omessa valutazione di un documento, il vizio di motivazione può ritenersi sussistente soltanto nel caso di totale obliterazione del documento o di elementi deducibili dal documento che si palesino idonei a condurre – secondo una valutazione che la Corte di cassazione esprime sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza – ad una decisione diversa da quella adottata dal giudice di merito;

– sul punto, questa Corte ritiene costantemente (tra molte, vedasi Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21223 del 27/08/2018; Sez. L, Sent. n. 24 092 del 24/10/2013) che nel giudizio di cassazione, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia nel regime precedente alla modifica introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che qui rileva, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato a una diversa soluzione della vertenza. Ne deriva che il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base;

– nel presente caso, le circostanze che si assumono pretermesse, vale a dire che i dipendenti della A. CELLI PAPERS s.p.a. ricorressero a noleggi di auto per ragioni connesse alle trasferte, e che l’Agenzia Oasis gestisse i costi di viaggio riferibili alla ricorrente, non risultano di per sé decisive in quanto generiche e non idonee ex se a fornire prova del collegamento necessariamente esclusivo, ai fini dell’inerenza, tra l’attività svolta dalla società contribuente e il costo in parola;

– il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, (ora 108), comma 2 vigente ratione temporis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR erroneamente qualificato come spese di rappresentanza, anziché come costi di pubblicità, le voci di spesa relative a pranzi di lavoro e altri servizi offerti a clienti;

il motivo è fondato;

– come è noto, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10440 del 21/04/2021), ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite;

– la disposizione del TUIR rilevante è in questo caso l’art. 74 che nella formulazione all’epoca vigente prevedeva: “2. Le spese di pubblicità e di propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi. Le spese di rappresentanza sono ammesse in deduzione nella misura di un terzo del loro ammontare e sono deducibili per quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi. Si considerano spese di rappresentanza anche quelle sostenute per i beni distribuiti gratuitamente, anche se recano emblemi, denominazioni o altri riferimenti atti a distinguerli come prodotti dell’impresa, e i contributi erogati per l’organizzazione di convegni e simili. Le predette limitazioni non si applicano ove le spese di rappresentanza siano riferite a beni di cui al periodo precedente di valore unitario non eccedente lire cinquantamila”;

– per vero, il D.M. 19 novembre 2008 ha chiarito al comma 5 che “non costituiscono spese di rappresentanza e non sono, pertanto, soggette ai limiti previsti dal presente decreto, le spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute per ospitare clienti, anche potenziali, in occasione di mostre, fiere, esposizioni ed eventi simili in cui sono esposti i beni e i servizi prodotti dall’impresa o in occasione di visite a sedi, stabilimenti o unità produttive dell’impresa”; nondimeno però, come osservato correttamente in ricorso, il successivo comma 7 ne esclude la rilevanza diretta nella presente controversia, in quanto stabilisce che “le disposizioni del presente decreto si applicano alle spese sostenute a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007”;

quindi, non potendo attribuirsi rilievo interpretativo dirimente alla previsione regolamentare appena citata, va meglio esaminata la funzione dei costi in oggetto: le spese in questione, connotate dalla gratuità al pari delle altre spese di rappresentanza, sono caratterizzate da due elementi: sono rivolte in via esclusiva verso una particolare categoria di soggetti, vale a dire i clienti attuali e potenziali dell’impresa, e sono sostenute in occasioni specifiche. Il legislatore, ritenendo che tali spese siano altresì connotate da una forte caratterizzazione commerciale, ne ha disposto l’assimilazione, quanto al regime di deducibilità fiscale dal reddito d’impresa, agli ordinari costi di produzione;

invero, le spese sostenute per l’ospitalità dei clienti assumono un peso specifico diverso rispetto alle normali spese di rappresentanza, in quanto si tratta di spese più strettamente correlate alla produzione dei ricavi tipici dell’impresa, in quanto sostenute all’interno di un contesto commerciale ben definito, fortemente indirizzato, se non esclusivamente costruito, a promuovere con particolare efficacia la bontà dei prodotti dell’impresa (fiere, mostre, esposizioni, eventi similari e visite all’azienda), al fine di ottenerne l’acquisto da parte dei clienti, anche potenziali tali, e dirette a beneficio di quei soggetti attraverso i quali l’impresa consegue effettivamente i propri ricavi. Le spese in parola, per poter essere considerate deducibili senza le limitazioni di cui al comma 2, devono, allora, essere sostenute all’interno di particolari situazioni come quelle appena indicate, in cui devono essere esposti i beni e servizi prodotti dall’impresa, ovvero in occasione di visite a sedi, stabilimenti o unità produttive dell’impresa: tali contesti sono in effetti particolarmente favorevoli all’esaltazione del prodotto offerto. Per mostre, fiere ed eventi simili si devono intendere quelle particolari manifestazioni in cui l’impresa partecipa attraverso l’esposizione dei propri beni e servizi ed in cui si incontrano tutta una serie di attori connotati da un forte interesse e propensione commerciale (compratori, espositori, fornitori, ecc.);

– a fronte di tali elementi, la CTR ha invece commesso due errori di diritto: in primo luogo ha ritenuto che il disposto del D.M. 11 novembre 2008 fosse applicabile al caso in questione ed escludesse la natura pubblicitaria delle spese in argomento, il che non e’;

secondariamente, essa non ha rispettato i sopra esposti principi, in forza dei quali vanno considerare spese di pubblicità i costi (come quelli che ci occupano) aventi l’intento di agevolare in via diretta le vendite, non l’intento di promuoverne la realizzazione in via indiretta, come avviene per le spese di rappresentanza;

– pertanto, sul punto la sentenza va cassata con rinvio al giudice dell’appello che dovrà riesaminare la situazione di fatto alla luce delle indicazioni interpretative appena enunciate;

– il quarto motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 62 (ora 95) e art. 75 (ora 109) commi 1, 4 e 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR ritenuto indeducibili le spese sostenute dalla società ricorrente in occasione del soggiorno a Montecarlo di Lucca dell’ing. O. e dell’ing. M.;

– il motivo è inammissibile;

– invero, esso tende a sollecitare la Corte a una revisione del meritus causae, operazione non consentita in sede di Legittimità;

– il quinto motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia con riferimento al rilievo relativo alle spese sostenute per conto dell’ing. M., in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere la CTR toscana mancato di pronunciare sul punto, esprimendo una unica motivazione sia con riguardo alle spese sostenute nei confronti del soggiorno di cui si è detto a favore dell’ing. O., sia con riguardo alle spese relative al soggiorno in Italia dell’ing. M. mentre quest’ultimo costo era stato contestato dall’Ufficio, e difeso dalla società contribuente, sotto un profilo del tutto diverso;

– il motivo è fondato;

– invero, la CTR ha effettivamente del tutto omesso di render manifeste le ragioni in forza delle quali ha ritenuto non inerenti i costi in argomento, costi che sono stati ripresi a tassazione per ragioni del tutto diverse da quelle poste alla base del connesso recupero di cui sopra si è detto; il tutto si evince chiaramente sia dall’avviso di accertamento, sia dagli atti del giudizio di merito debitamente trascritti in ricorso per cassazione (pag. 26 sino a pag. 28 dell’atto) ai fini del rispetto del canone di autosufficienza dei motivi di impugnazione di fronte a questa Corte;

il sesto motivo deduce l’omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso, consistente nell’esistenza di un rapporto causale sottostante ai costi per provvigioni per avere la CTR reso motivazione difettosa quanto alla ritenuta indeducibilità delle provvigioni corrisposte agli agenti *****;

– il motivo è fondato;

– invero, la CTR sul punto si è limitata, dopo aver riportato le prospettazioni delle parti, ad asserire che “la carenza del rapporto causale ha inciso sulla deducibilità e la condivisione di tale motivazione da parte dei giudici di primo grado non è condivisibile” (pag. 4 ultima riga); tal affermazione risulta in effetti del tutto assertiva e meramente apodittica, in quanto non sono né riportate le motivazioni della CTP alle quale il giudice dell’appello aderisce, neppure in sintesi, né viene espressa da parte della CTR alcuna minima ragione di adesione consapevole alle ragioni di detta motivazione del primo giudice;

sul punto, questa Corte anche di recente ha sottolineato come (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 2397 del 03/02/2021) la sentenza d’appello non può ritenersi legittimamente resa “per relationem”, in assenza di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame;

– diversamente, infatti, la sentenza nel limitarsi a esprimere la propria adesione alla pronuncia di primo grado e alle argomentazioni della Commissione territoriale, senza riportarne il contenuto e prescindendo da qualsiasi riferimento ai fatti allegati dall’appellante, adotta in concreto una motivazione del tutto astratta, priva di ogni intellegibile aggancio con la fattispecie singolare portata alla sua cognizione;

– il settimo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, del D.L. n. 331 del 1993, artt. 46 e 47, 17 della VI direttiva CEE nonché del D.Lgs. n. 471 del 1997 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR erroneamente ritenuto illegittima, con pedissequo recupero dell’iva relativa, la tardiva numerazione e integrazione della fattura contestata (ricevuta e annotata nel 2005) relativa a un acquisto intracomunitario di precedente periodo d’imposta (essendosi realizzata l’operazione nel 2003);

– il motivo è fondato;

– risulta incontroverso che l’operazione oggetto della fattura de qua sia stata posta in essere nel 2003 e che la fattura stessa sia stata però emessa e quindi ricevuta dalla ricorrente nel 2005, anno nel quale è stata fatta oggetto della regolarizzazione intracomunitaria (lo si evince dalla prospettazione delle parti alle pagg. 36 e 37 del ricorso per cassazione);

– la tesi secondo cui la violazione predetta, consistente nella mancata regolarizzazione D.L. n. 331 del 1993, ex art. 46, comma 5 determina la perdita del diritto alla compensazione operata con il meccanismo della doppia annotazione intracomunitaria, quale alternativa alla contestuale detrazione, non trova riscontro in alcun referente normativo specifico comunitario o nazionale dovendo per contro tenersi conto che l’intero sistema normativo del tributo armonizzato (al tempo regolato dalla Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio in data 17.5.1977) è fondato sul principio di neutralità della imposta volto a traslare l’onere economico del tributo sul consumatore finale;

la disposizione sopra citata, nella formulazione in vigore ratione temporis, prevedeva che “il cessionario o committente di un acquisto intracomunitario di cui all’art. 38, commi 2 e 3, lett. b) e c), o committente delle prestazioni di cui all’art. 40, commi 4-bis, 5, 6 e 8, che non ha ricevuto la relativa fattura entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione deve emettere entro il mese seguente in unico esemplare, la fattura di cui al comma 1 con l’indicazione anche del numero di identificazione attribuito agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, al cedente o prestatore dallo Stato membro di appartenenza; se ha ricevuto una fattura indicante un corrispettivo inferiore a quello reale deve emettere fattura integrativa entro il mese seguente alla registrazione della fattura originaria”;

– essa si colloca nel sistema IVA che è stato costantemente interpretato in senso sostanziale e non meramente formale dalla giurisprudenza comunitaria la quale ha precisato che, in difetto di una specifica disciplina dettata dalla Sesta direttiva, spetta agli Stati membri adottare nei rispettivi ordinamenti interni le norme idonee a consentire la rettifica e correzione di eventuali errori formali o materiali, mediante misure idonee a realizzare il principio della neutralità dell’IVA consentendo il recupero della imposta erroneamente indicata in fattura ed indebitamente versata al Fisco dal soggetto passivo ovvero non potuta portare in detrazione dal soggetto che l’aveva versata in rivalsa e che, comunque, garantiscano la Comunità dal rischio di perdita del gettito fiscale determinato da condotte fraudolente (cfr. Corte giustizia sentenza 19.9.2000 in causa C-454198, Schmeink & Cofreth AG e Manfred Strobei, punti 47-49);

– tali misure, ogni volta che prevedano l’adempimento di specifici oneri probatori e formali, non debbono eccedere quanto è necessario al perseguimento di tale scopo nel rispetto del principio di proporzionalità e realizzare un bilanciamento dei contrapposti interessi dei singoli operatori e della Comunità (cfr. Corte giustizia sentenza 213.2000, in cause riunite C-110/98 e C-147/98, Gabalfrisa, punto 52), tenendo fermo che il recupero della imposta indebita è subordinato alla verifica della buona fede del contribuente, salvo che questi abbia eliminato in modo oggettivo ogni potenzialità dannosa per l’Erario determinata dalla erronea fatturazione della imposta (cfr. Corte giustizia 19.9.2000, in causa C-454198 Schmeink & Cofreth AG e Manfred Strobel, punti 58-61 e 70; Corte giustizia sentenza in data 11.4.2013, C-138/12, Rusedespred OOD, punti 23-30). Detti principi sono stati ulteriormente puntualizzati e ribaditi nelle sentenze del Giudice Europeo in data 8.5.2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade s.p.a. (con riferimento alla disciplina della Sesta direttiva 77/388 del 17.5.1977 e succ. mod. ed in particolare al sistema della inversione contabile previsto per gli acquisiti intracomunitari dall’art. 21 paragr. 1 nel testo integrato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28 octies, e art. 17, comma 3 e del D.L. n. 331 del 1993, art. 47, n. 1)), in data 21.10.2010, causa C-385/09, Nidera Handelscompagnie BV ed in data 12.7.2012, causa C-284/11, EMS Bulgaria Transport OOD (queste ultime con riferimento alla ordinaria disciplina della detrazione IVA contenuta negli artt. 167, 168 e 178 della direttiva 2006/112);

– per quanto concerne in particolare la inosservanza di taluni obblighi “aggiuntivi” ed altre irregolarità contabili relative alle formalità di esercizio del diritto a detrazione determinate dagli Stati membri (a ciò autorizzati dall’art. 18, n. 1, art. 22, nn. 2 e 4, art. 28 septies, n. 2 e art. 28 nonies, nn. 7 e 8 – relativi agli scambi intracomunitari – Sesta Direttiva e dagli artt. 214 e 273 dir. 2006/112), la predetta giurisprudenza è ferma nel ritenere che il diritto alla detrazione IVA in quanto modalità di attuazione del principio di neutralità fiscale è da porre a fondamento del sistema del tributo armonizzato e non può pertanto trovare di norma alcun limite (cfr. Corte giustizia sentenze: in data 18.12.1997, cause riunite C-286194, C-340 e 401195, C-47/96, Molenheide; in data 21.3.2000, in cause riunite C-110/98 e C147/98, Gabalfrisa; in data 1.4.2004, causa C90/02, Bockemuhl; in data 8.5.2008, Ecotrade cit.; in data 16.2.2012, causa C-118/11, EON Aset Menidjmunt; in data 12.7.2012, EMS, cit.);

– ulteriormente si è chiarito che il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione deve individuarsi esclusivamente nella duplice condizione: a) che la obbligazione in rivalsa, avente ad oggetto la imposta detraibile, sia stata adempiuta dal soggetto passivo ovvero sia divenuta esigibile (art. 17, paragr. 1, VI dir..; art. 167, dir. n. 2006/112); b) che il soggetto passivo abbia destinato i beni e servizi acquistati/utilizzati per i quali è tenuto in rivalsa al pagamento della imposta “ai fini di sue operazioni soggette ad imposta” (art. 17, paragr. 2, VI dir.; art. 168, paragr. 1, dir. n. 2006/112). Le altre formalità che caratterizzano le modalità di esercizio del diritto rimangono estranee alla fattispecie costituiva del diritto a detrazione, configurando meri “obblighi formali a fini di controllo” la cui violazione non autorizza affatto gli Stati membri “a precludere al soggetto passivo l’esercizio di tale diritto” (cfr. Corte giustizia 21.10.2010, causa C-385/09, Nidera, cit. con riferimento alla violazione dell’obbligo, di cui all’art. 213 dir. n. 2006/112, di dichiarare preventivamente, per la registrazione ai fini IVA, l’inizio dell’attività economica);

il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige pertanto il riconoscimento al soggetto passivo del diritto alla detrazione dell’Iva a monte, tutte le volte che siano rispettate le condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto, anche se taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi (cfr. Corte giustizia 8.5.2008, Ecotrade, cit, punto 63, con riferimento all’inadempimento degli obblighi formali della autofatturazione della doppia annotazione nei registri acquisti e vendite, previsti dall’art. 18, n. 1 e art. 22, nn. 7 ed 8 nella versione ex artt. 28 septies e 28 nonies-VI dirett. e dal D.L. n. 331 del 1993, art. 47, comma 1 in attuazione del sistema della “inversione contabile” previsto per gli acquisti intracomunitari; id. 21.10.2010, Nidera, punti 47-51 cit.; id. 12.7.2012, EMS, cit., punto 71) l’adempimento degli obblighi formali, pertanto, assume rilevanza ai fini dell’accertamento del diritto a detrazione soltanto nelle misura in cui risulti necessario a fornire alla Amministrazione finanziaria le “informazioni indispensabili a consentirle in linea di principio di verificare se i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, circostanza che comunque spetta al giudice nazionale accertare” (cfr. Corte giustizia sentenza 12.7.2012, EMS, cit. punto 72 in cui si specifica che tale situazione si verifica nel caso in cui la “cessione intracomunitaria non è stata dissimulata e le informazioni relative ad essa sono reperibili nella contabilità del soggetto passivo”; id. sentenza 8.5.2008 Ecotrade, cit., punto 64; le informazioni indispensabili relative alla operazione intracomunitaria, erano ritracciabili, nel caso di specie, 1) nelle fatture passive emesse dai soggetti prestatori di servizi residenti in altro Paese membro, 2) nel registro Iva degli acquisti, ove tali fatture erano state annotate, erroneamente, in esenzione d’imposta, non essendo state invece, come dovuto, annotate anche nel registro Iva degli acquisti, con conseguente omessa indicazione nella dichiarazione fiscale annuale dell’ammontare della relativa imposta).

nel caso di specie non pare dubbio che l’Agenzia fiscale intenda desumere la “perdita” del diritto a detrazione (e corrispondentemente la maggiore debenza IVA nel periodo di imposta verificato) sull’assioma – sconfessato dalla giurisprudenza sopra richiamata – secondo cui il mancato adempimento degli obblighi formali (in questo caso la tardiva emissione da parte del soggetto che ne era onerato con conseguente, nell’anno 2003, omessa annotazione nei registri acquisti e vendite; annotazione correttamente poi operata nell’anno 2005, in cui è stata emessa e ricevuta la fattura in parola) verrebbe a determinare la insussistenza della fattispecie costitutiva del diritto. La tesi deve essere respinta in quanto l’Amministrazione finanziaria, da un lato, trasferisce indebitamente, in assenza di espressa previsione normativa, sul piano dei presupposti di validità della situazione giuridica attiva riconosciuta al contribuente elementi formali estrinseci alla fattispecie, in quanto previsti esclusivamente al fine di consentire le verifiche da parte dell’Erario dei vari passaggi del bene o del servizio;

– deve allora concludersi che nell’ambito di operazioni intracomunitarie per beni o servizi resi da parte di soggetti residenti in altri Paesi membri i quali hanno emesso regolari fatture consegnate al cessionario/committente italiano, che – ai sensi dell’art. 21 n. 1 lett. b) della sesta direttiva nella versione risultante dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28 octies, art. 17, comma 3 e del D.L. n. 331 del 1993, art. 44, comma 1 conv. in L. n. 427 del 1993, applicabile ratione temporis assume la posizione di soggetto tenuto al pagamento della imposta, la omessa annotazione di tali fatture nei registri IVA degli acquisti e delle vendite ai fini della compensazione dell’Iva a debito con l’Iva a credito in attuazione del principio di neutralità fiscale, non determina la perdita del diritto alla detrazione, laddove siano state soddisfatte le condizioni sostanziali della esigibilità della imposta dovuta dal cessionario/committente e della destinazione dei beni o servizi, da quello acquistati od utilizzati, ad operazioni assoggettate ad imposta, sempre che tali condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente ed esibita alla Amministrazione finanziaria in sede di verifica (così Cass. 3586/2016);

inoltre, ritiene in ultimo la Corte che altre siano e debbano essere le valutazioni sulle sanzioni, che attengono all’inosservanza delle condizioni formali, in quanto suscettibili di arrecare pregiudizio quantomeno alle azioni di controllo dell’Ufficio, al di là della spettanza del diritto di detrazione;

l’ottavo motivo di ricorso censura la pronuncia gravata denunciandone la nullità per omessa pronuncia con riferimento al rilievo relativo ai sussidi occasionali di cui alla lett. g) dell’avviso di accertamento in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione relativa alla deducibilità delle spese sostenute presso il negozio *****;

– il motivo è infondato;

– invero la CTR, sul punto, ha invero preso posizione espressamente, anche se sinteticamente, (nel terzultimo periodo di pag. 5) facendo riferimento agli “altri rilievi” e richiamando sul punto la “completa adesione alle motivazioni contenute nell’avviso di accertamento” operata dai primi giudici che ha ritenuto non esser soggetta a censura;

– il nono motivo di ricorso si incentra sulla nullità della sentenza per omessa pronuncia con riferimento al rilievo relativo alla quantificazione come spese di rappresentanza delle voci di costo relative alle spese sostenute nel contesto della fiera *****; il motivo può esaminarsi congiuntamente con il successivo decimo motivo che deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia con riferimento al rilievo relativo alle spese di rappresentanza e ad altri costi indeducibili oltre che relativo alla deducibilità di costi per pranzi offerti ai clienti, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e con l’undicesimo motivo, che denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia con riferimento al rilievo relativo ai costi sostenuti in occasione di viaggi e soggiorni qualificati come spese di rappresentanza e l’asserita indeducibilità delle spese sostenute da dipendenti;

detti motivi sono inammissibili per difetto di autosufficienza, non avendo parte ricorrente trascritto in ricorso per cassazione (non risultando sufficiente il mero rimando a pag. 45 dell’atto, quanto al nono motivo, non corredato dal deposito in questo giudizio del ricorso di fronte alla CTP) il proprio atto nel giudizio di primo grado nel quale l’eccezione era stata proposta: ciò impedisce a questa Corte di valutarne la tempestività e ne provoca quindi la inammissibilità;

– comunque, anche rispetto ai suddetti profili, qui denunciati, la CTR si è espressa (nel terzultimo periodo di pag. 5) facendo riferimento agli “altri rilievi” e richiamando sul punto la “completa adesione alle motivazioni contenute nell’avviso di accertamento” operata dai primi giudici che ha ritenuto non esser soggetta a censura;

– per le sopra esposte ragioni sono quindi accolti il terzo, il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso; i restanti motivi sono rigettati;

– la sentenza è quindi cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame limitatamente ai motivi accolti.

PQM

accoglie il terzo, il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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