LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 23545 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:
Terre di Calabria s.r.l. in persona del legale rappresentante, e G.F., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Giuseppe Maria Cipolla e Rosella Zofrea per procura speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliati in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 134, presso lo studio del primo difensore;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria, n. 314/3/2014, depositata in data 25 febbraio 2014;
udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 23 novembre 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Terre di Calabria s.r.l. ed a G.F., quale ex legale rappresentante, un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2007, aveva contestato l’indebita percezioni di contributi pubblici a fondo perduto in quanto di provenienza illecita, con conseguente tassazione ai fini Ires, e l’indebita costituzione di un credito Iva; avverso l’atto impositivo la società e G.F. avevano proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza; avverso la decisione del giudice di primo grado la società e G.F. avevano proposto appello;
la Commissione tributaria regionale della Calabria ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: era infondato il motivo di appello con il quale gli appellanti censuravano la sentenza di primo grado per carenza di motivazione; era generica l’affermazione secondo cui i proventi in oggetto non potevano essere considerati come reddito; la circostanza, inoltre, che i contributi ricevuti erano stati sottoposti a sequestro non costituiva ragione di definitiva non tassabilità del provento illecito;
la società e G.F. hanno quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi pronunciata sulla questione della illegittimità del diniego di rimborso Iva;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6, 19 e 21, della Dir. 17 maggio 1977, n. 77/388/Cee, art. 17, della Dir. n. 2006/112/Ce, art. 167, del principio comunitario di proporzionalità, nonché dell’art. 2697 c.c., per avere erroneamente ritenuto, ove si ritenesse che la sentenza contenesse una statuizione implicita di rigetto, che la contribuente non avesse diritto alla detrazione dell’Iva, nonostante il fatto che le prestazioni erano state regolarmente fatturate e nessuna prova avesse fornito l’amministrazione finanziaria in ordine alla inesistenza delle prestazioni;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono infondati;
con riferimento, in particolare, al primo motivo di ricorso, con il quale si censura la sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., si osserva che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il giudice del gravame ha esaminato la questione della omessa pronuncia del giudice di primo grado, dando espressamente conto del fatto che “parte appellante lamenta la carenza di motivazione che darebbe causa alla nullità della sentenzà, ed ha, invece, ritenuto che la suddetta pronuncia si fosse espressa “all’esito di un percorso, in cui appaia, come nella specie, non trascurato alcun elemento rilevante”;
d’altro lato, la sentenza del giudice del gravame ha chiaramente evidenziato quali erano i motivi di appello proposti dalla ricorrente ed ha precisato che, mentre per una parte dell’atto di appello la stessa si era limitata a riproporre, in modo ripetitivo, le stesse argomentazioni già espresse in sede di ricorso introduttivo, ha delimitato la postulazione di giudizio contenuta nell’atto di appello alla sola questione del difetto di motivazione della sentenza e, a tal proposito, ha ritenuto non fondato il motivo, avendo accertato che, invece, la pronuncia del giudice di primo grado aveva contenuto esaustivo di tutte le questioni proposte;
in questo ambito, pertanto, non può neppure trovare accoglimento il secondo motivo con il quale si censura la sentenza per avere, eventualmente, pronunciato implicitamente, in senso sfavorevole alla contribuente, in ordine alle questioni della sussistenza del diritto della contribuente alla detrazione dell’Iva;
come emerge dallo stesso ricorso, invero, parte ricorrente, in appello, dopo avere ribadito le medesime argomentazioni già indicate nel ricorso introduttivo, si era doluta del fatto che la sentenza di primo grado “avrebbe dovuto pronunciarsi in merito a tutti i punti precedentemente riportati”;
in sostanza, la questione prospettata al giudice del gravame atteneva unicamente all’omessa pronuncia del giudice di primo grado e, come detto, su tale questione il giudice del gravame si è pronunciato;
non risulta, invece, una esplicita censura, in sede di appello, della infondatezza della decisione del giudice di primo grado, sicché, essendo stato limitato il giudice a tale specifica ragione di doglianza, non può ragionarsi, come invece prospettato dalla ricorrente, in termini di pronuncia implica del giudice del gravame, in quale tale aggredibile in questa sede per violazione di legge, ove la suddetta statuizione fosse comunque contraria alle previsioni normative di riferimento;
invero, questa Corte ha più volte precisato che la parte totalmente soccombente, deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, e queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse: tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (Cass. Civ., 5 novembre 2021, n. 32063);
come detto, la stessa ricorrente ha riprodotto il contenuto del proprio atto di appello dal quale si evince che la stessa si era limitata a censurare, con il motivo di appello, la sentenza di primo grado per non avere pronunciato sulle questioni sopra indicate, ed è entro questi limiti che deve essere ravviso l’oggetto del giudizio prospettato in grado di appello;
con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 111 Cost., commi 1 e 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4), e dell’art. 6 Cedu; nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1. n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti;
in particolare, si censura la sentenza per avere omesso di considerare che la ricorrente aveva prodotto una perizia giurata rilevante e significativa sotto il profilo della prova dell’esistenza dell’opificio industriale finanziato con i contributi regionali, e, in generale, del fatto della effettiva realizzazione del suddetto opificio industriale mediante l’utilizzo dei contributi regionali e dell’inerenza degli acquisti di beni e servizi operati presso i fornitori, sicché gli elementi di prova presuntiva addotti dall’amministrazione finanziaria erano inidonei a far venire meno la valenza degli elementi di prova prospettati dalla contribuente;
il motivo è infondato;
con riferimento al vizio di carenza di motivazione, va osservato che il giudice del gravame ha fatto proprie le considerazioni espresse dal giudice di primo grado, in particolare relativamente alla sussistenza di un procedimento penale che, di per sé, integrava il requisito della tassabilità dei proventi derivanti da fatti illeciti ed ha, altresì, tenuto conto delle deduzioni di parte ricorrente, in particolare delle non riconducibilità dei contributi nell’ambito del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, attesa la provenienza illecita, nonché dell’effettivo utilizzo di tali importi;
proprio in relazione, dunque, al contenuto della pronuncia di primo grado, il giudice del gravame ha ritenuto non rilevanti le questioni prospettate, non avendo la ricorrente compiuto una “specifica legittima censura diretta alla sentenza di primo grado”;
non può dunque ragionarsi né in termini di motivazione apparente, atteso il richiamo al contenuto della pronuncia di primo grado, né in termini di omesso esame di un fatto decisivo, posto che lo stesso è stato espressamente preso in considerazione dal giudice del gravame, ma lo si è ritenuto non rilevante;
con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, e dell’art. 2697 c.c., per non avere accertato la sussistenza del presupposto per l’applicabilità della previsione normativa, in particolare la provenienza illecita del contributo;
il motivo è infondato;
come già osservato in sede di esame del terzo motivo di ricorso, il giudice del gravame ha ritenuto sussistenti i presupposti per legittimare la pretesa dell’amministrazione finanziaria facendo espresso richiamo alle considerazioni espresse dal giudice di primo grado, sicché non è ravvisabile la dedotta violazione di legge, configurata sulla base della mancanza dei presupposti di cui alla L. n. 537 del 1993, art. 14, o della inversione dell’onere di prova;
questo passaggio motivazionale, che ha costituito in sostanza il profilo centrale della pronuncia del giudice del gravame, non è stato in alcun modo aggredito dalla ricorrente con il presente motivo di ricorso;
in conclusione, i motivi di ricorso sono infondati, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio;
si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuti.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 13.300,00, oltre spese prenotate a debito;
dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuti.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022