Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1233 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15723-2020 proposto da:

F.LLI INTELISANO SNC, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 11, presso lo studio dell’avvocato LUIGI RAGNO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFILIPPO CECCIO;

– ricorrente –

contro

COMUNE di CASTELMOLA (ME), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DEBORA MARIA PETTINATO;

– controricorrente –

contro

RISCOSSIONE SICILIA SPA – DIREZIONE GENERALE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5490/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di MESSINA, depositata il 26/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE CATALDI.

RILEVATO

che:

1. F.lli Intelisano s.n.c. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Messina, che aveva rigettato il ricorso della medesima contribuente contro la cartella di pagamento emessa per l’anno d’imposta 2008, relativa alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti, imposta rispetto ad un immobile adibito ad esercizio di attività alberghiera.

Si è costituito l’ente impositore Comune di Castelmola.

E’ rimasta intimata la concessionaria Riscossione Sicilia s.p.a. La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68.

Assume nella sostanza la ricorrente che il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere legittimo che la tariffa applicata alla struttura alberghiera non tenesse conto della maggiore o minore potenzialità, rispetto alla produzione dei rifiuti, dei locali (le camere degli ospiti, le cucine, il ristorante) del complesso ricettivo, destinati a funzioni tra loro diverse.

Il motivo è infondato.

Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare “Una volta legittimamente individuata la categoria degli esercizi alberghieri, – quale categoria che non può che essere oggetto di considerazione unitaria siccome espressiva di una “omogenea potenzialità di rifiuti”, in quanto tale distinta da quella riferibile agli immobili ad uso abitativo, – non e’, quindi, conforme al ripercorso assetto normativo una disarticolazione della categoria fondata (esclusivamente) su generici rapporti di affinità (con altra categoria), piuttosto che sui criteri legali di ripartizione del prelievo fiscale (criteri dettati dalla “relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica”).

Non pare, quindi, che possa acquisire rilevanza la distinzione, nell’ambito dell’esercizio alberghiero, tra zone più o meno produttive di una maggiore quantità di rifiuti, posto che il sopra richiamato principio di legittimità deve intendersi riferito all’esercizio dell’attività alberghiera nel suo complesso.

Del resto, è anche dalla gestione, e pulizia, delle camere dell’albergo che deriva la maggiore quantità di rifiuti prodotti; e, considera la Corte, non è dato rinvenire, nel sistema, alcuna disposizione che distingua all’interno della struttura ricettiva zone produttive di rifiuti in misura differenziata, come avviene, ad esempio, per gli stabilimenti industriali.”. (Cass. n. 20968/2019, in motivazione, punto 5.4).

2. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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