LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19835-2020 proposto da:
I.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. cronol. 16634/2020 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 14/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.
RILEVATO
– che viene proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso il decreto del Tribunale di Roma del 14.4.2020, il quale ha disatteso il ricorso avverso la decisione negativa della competente commissione territoriale;
– che non svolge difese il Ministero dell’interno intimato;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti dell’art. 380-bis c.p.c..
RITENUTO
– che le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
1) violazione e falsa applicazione della Dir. n. 2013/32/UE, art. 16, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non avere ritenuto il richiedente credibile, pur avendo il richiedente, contrariamente da quanto opinato dal Tribunale, compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la sua richiesta, onde il giudice ha violato il principio dell’onere probatorio attenuato;
2) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 7 e art. 14, lett. b), per non avere il giudice esercitato poteri istruttori officiosi, con riguardo alla situazione della Nigeria;
3) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché certamente egli si trova in una situazione di vulnerabilità;
4) violazione o falsa applicazione dell’art. 14, lett. c), dolendosi del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, perché il tribunale non ha bene indagato la situazione del paese;
– che il Tribunale ha ritenuto, anzitutto, il richiedente – cittadino nigeriano, il quale narra di essere fuggito perché temeva persecuzioni da una setta chiamata ***** – non credibile, ampiamente argomentandone le ragioni; ed ha rilevato il mancato compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e la mancanza di elementi adeguati, da cui desumersi che la situazione del soggetto sia quella narrata;
– che il giudice del merito ha, dunque, ritenuto insussistenti i presupposti normativi per il rifugio e la protezione sussidiaria;
– che Tribunale, con riguardo al citato art. 14, lett. c), ha escluso che sussistano lo stato di guerra conclamato o il conflitto generalizzato, tali da integrare i presupposti di legge;
– che, infine, il giudice ha rilevato l’assenza di ogni deduzione di profili di vulnerabilità integranti il presupposto della protezione umanitaria, non essendo essa integrata dalla dedotta prestazione di un lavoro per due mesi, senza produzione di nessuna busta paga, non avendo neppure il richiedente appreso la lingua italiana;
– che, ciò posto, gli esposti motivi necessitano di una trattazione congiunta perché tutti affetti dal medesimo vizio di palese inammissibilità;
– che, invero, essi presentano tutti il medesimo vizio di specificità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 366 c.p.c., comma 2, nn. 4 e 6, risolvendosi, le diverse censure proposte, nella generica indicazione di alcune disposizioni di legge che si assumono violate, senza una precisa identificazione delle affermazioni in diritto del provvedimento impugnato che si assumono contrastanti con le norme regolatrici della fattispecie e senza l’illustrazione di motivate ragioni dell’ipotizzato contrasto e, quindi, in una mera e apodittica contrapposizione delle tesi del ricorrente a quelle desumibili dalla sentenza impugnata;
– che, inoltre, le uniche argomentazioni difensive svolte tendono ad una riconsiderazione della situazione imperversante nel contesto di origine del richiedente, valutazioni che, impingendo il merito, sono inammissibili in sede di legittimità (cfr. i numerosi precedenti in termini (fra le tante, Cass. n. 19720 del 2018; Cass. n. 24397 del 2019; Cass. n. 23735 del 2019);
– che deve rilevarsi come non venga neanche censurata la ratio esposta dal provvedimento impugnato, il quale anzitutto ha escluso la stessa credibilità del racconto: e, al riguardo, questa Corte ha ormai chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass., ord. 30 ottobre 2018, n. 27503) e che “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di citi al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatorì (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; v. pure Cass., ord. 5 febbraio 2019, n. 3340); ed il giudizio di attendibilità del richiedente è giudizio sul fatto, non riproponibile in sede di legittimità;
– che, in particolare, il giudice del merito, nell’apprezzamento della credibilità del racconto del richiedente, si è attenuto al principio di procedimentalizzazione legale della decisione avendo operato la propria valutazione, alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, prendendo in considerazione, con delibazione non atomistica ma complessiva, tutte le circostanze dedotte in giudizio, mentre le censure mosse con il ricorso (che non mettono in rilievo ulteriori e decisivi elementi di fatto la cui valutazione sarebbe stata pretermessa) sono orientate piuttosto a criticare l’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, costituente però quaestio facti, censurata (in modo inammissibile) alla luce del paradigma di cui al previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in guisa di vizio motivazionale e non di omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti;
– che va altresì ribadito il principio consolidato, secondo cui è manifestamente inammissibile la doglianza concernente il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), atteso che, in presenza delle dichiarazioni inattendibili dello straniero, neppure occorre un approfondimento istruttorio officioso in riferimento all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui alle citate disposizioni; mentre è compiuta adeguata valutazione, da parte del giudice del merito, della situazione oggettiva del paese di provenienza, in rapporto ai presupposti di riconoscimento della protezione di cui al citato art. 14, lett. c), valutazione che il ricorrente censura in modo affatto generico e non congruente (cfr. Cass. n. 6897 del 2020; Cass. n. 27503 del 2018 e Cass. n. 21142 del 2019);
– che, del pari, la quarta censura è inammissibile, in quanto il Collegio di prime cure ha puntualmente esaminato, come dianzi già evidenziato, le condizioni socio-politiche della Nigeria, evidenziando come il richiedente non ebbe a dedurre alcuna situazione particolare di sua specifica vulnerabilità (cfr. Cass. n. 9304 del 2019);
– che, avendo il giudice del merito compiutamente approfondito l’esame in fatto della situazione nel rispetto dei principi enunciati da questa Corte in materia ed esponendo le ragioni per le quali ha reputato il richiedente privo dei requisiti idonei al riconoscimento dello status o della protezione sussidiaria o umanitaria, nessuna censura può essere promossa in questa sede, trattandosi, per l’appunto, di valutazioni fattuali non sindacabili dinanzi al giudice di legittimità (cfr., in termini, Cass. n. 4053, 4054 e 4055 del 2020; n. 1777 e 1778 del 2020; n. 21283 del 2019);
– che non occorre provvedere sulle spese, non svolgendo difese l’intimato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022