In tema di protezione umanitaria, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459). Non valgono, del resto, a fondare la forma di protezione in esame le vessazioni poste in atto dallo zio del richiedente: e ciò in quanto la condizione di vulnerabilità dello straniero, ove dipendente da condotte violente di soggetti privati, va pur sempre raccordata alla capacità e volontà delle autorità pubbliche di reprimere detti comportamenti e postula, quindi, che dall’interessato sia allegata e dimostrata (anche a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ovviamente) una vana richiesta di tutela in tal senso, o sia altrimenti dedotto che, in termini generali, le dette autorità non possano e non vogliano offrire protezione (onerando, in tal modo, il giudice del merito di una indagine officiosa al riguardo).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21731/2020 proposto da:
P.N., rappresentato e difeso dall’avvocato Luca Castagnoli, corna da procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 14/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/10/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Bologna del 14 luglio 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, P.N., nato in *****, potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.
2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi ed è accompagnato da memoria illustrativa. Il Ministero dell’interno ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo oppone la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere il Tribunale ritenuto insussistente la minaccia grave alla vita o all’incolumità del ricorrente nel paese di origine.
Il secondo mezzo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per non avere il giudice del merito valutato l’esistenza di motivi personali di vulnerabilità oggettiva o soggettiva che giustificavano la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nonché con riferimento all’inserimento sociale del ricorrente in Italia.
2. – Si intende prescindere dal tema della validità della procura alla lite, su cui si è recentemente pronunciata Cass. Sez. U. 1 giugno 2021, n. 15177: tema investito dalla questione di legittimità costituzionale sollevata da Cass. 23 giugno 2021, n. 17970 che, con specifico riguardo alla compatibilità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, con la carta fondamentale, ha espresso un convincimento opposto a quello fatto proprio dalle stesse Sezioni Unite.
Esistono infatti ragioni per escludere il fondamento del proposto ricorso, che quindi può essere fin d’ora respinto, senza attendere la decisione cui è stata chiamata la Corte costituzionale.
Rammenta il ricorrente di aver dichiarato, avanti alla Commissione territoriale, di essere stato per anni sottoposto a condizione prossima alla schiavitù dallo zio, il quale, oltre ad averlo costretto a lavorare nei campi e ad attendere alle faccende domestiche, lo aveva fatto oggetto di continue minacce e violenze.
Il Tribunale ha rilevato che, provenendo il timore paventato da un agente privato, l’istante, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, avrebbe dovuto dimostrare che aveva invano richiesto la protezione dello Stato, o di altro organismo deputato a fornire tutela; ciò che non era avvenuto.
A fronte di tale rilievo, fondato sulla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, il ricorrente riconosce di aver effettivamente riferito al giudice di prime cure di “non avere mai pensato di rivolgersi alla polizia”: e tanto basta per escludere l’accesso alla domandata tutela. Non vale difatti opporre, in questa sede, le motivazioni poste a fondamento di tale condotta: per un verso, la questione investe un accertamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimità; per altro verso, e a monte, l’istante non spiega cosa fosse stato al riguardo dedotto avanti al giudice del merito. Infatti, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).
Con riguardo alla protezione umanitaria, poi, il Tribunale ha osservato: che non erano emerse situazioni di particolare vulnerabilità del ricorrente; che non rultava l’istante avesse instaurato legami personali del nostro paese “suscettibili di essere attinti da un provvedimento di rigetto”; che lo stesso richiedente non aveva mai allegato problemi di salute; che le condizioni del paese di origine non avevano mai assunto, secondo la descrizione fornita dal ricorrente, caratteristiche tali da far ritenere che in caso di rientro in patria il ricorrente dovesse misurarsi con condizioni di vita inumani o degradanti.
Tale accertamento, non censurabile nel suo nucleo fattuale, risulta improntato al rispetto del criterio dettato dalle Sezioni Unite, secondo cui in tema di protezione umanitaria, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459). Non valgono, del resto, a fondare la forma di protezione in esame le vessazioni poste in atto dallo zio del richiedente: e ciò in quanto la condizione di vulnerabilità dello straniero, ove dipendente da condotte violente di soggetti privati, va pur sempre raccordata alla capacità e volontà delle autorità pubbliche di reprimere detti comportamenti e postula, quindi, che dall’interessato sia allegata e dimostrata (anche a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ovviamente) una vana richiesta di tutela in tal senso, o sia altrimenti dedotto che, in termini generali, le dette autorità non possano e non vogliano offrire protezione (onerando, in tal modo, il giudice del merito di una indagine officiosa al riguardo).
3. – Non vi sono spese di giudizio su cui si debba statuire.
P.Q.M.
La Corte;
rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022