LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUOCHI TINARELLI Giusepp – Presidente –
Dott. SUCCIO R. – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI Pierpao – Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvato – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24340/2014 R.G. proposto da:
CAR SERVICE s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Luigi Quercia con domicilio eletto in Roma al viale del Vignola n. 5 presso lo studio dell’avv. Livia Ranuzzi (PEC liviaranuzzi.ordineavvocatiroma.org);
– ricorrente –
Contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC ags.rm2.mailcert.avvocaturastato.it);
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 680/13/14 depositata il 24/03/2014, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 26/11/2021 dal Consigliere Roberto Succio.
RILEVATO
che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha parzialmente accolto l’appello della società contribuente e in riforma della sentenza di primo grado ha dichiarato illegittimo in parte qua l’avviso di accertamento impugnato per IRES, IVA ed IRAP 2005;
avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione CAR SERVICE s.r.l. con atto affidato a sei motivi e illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.; l’Amministrazione Finanziaria resiste con unico controricorso e ha presentato autonomo ricorso avverso la medesima sentenza, che va qualificato come ricorso incidentale; a tal ricorso incidentale CAR SERVICE s.r.l. resiste con autonomo controricorso.
CONSIDERATO
che:
– va preliminarmente osservato che per costante giurisprudenza di questa Corte (tra molte, vedasi Cass. civ. n. 16221/2014) il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso. Tuttavia, quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi;
pertanto, il ricorso per cassazione dell’Amministrazione Finanziaria, posto in notifica il 10.11.2014 in data successiva alla notifica del precedente ricorso della società, avvenuta il 18.10.2014, va qualificato come impugnazione incidentale;
venendo allora all’esame dei motivi del ricorso principale di CAR SERVICE s.r.l., il Collegio osserva che il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1 per non avere la CTR rilevato la inammissibilità dell’appello dell’Ufficio, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della CTP di Bari che aveva statuito la illegittimità dell’atto impugnato in quanto carente di motivazione; detto motivo è strettamente connesso con il secondo motivo di ricorso e può allora esaminarsi congiuntamente a quest’ultimo, che censura la pronuncia impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1 e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere la CTR statuito in ordine alla legittimità dell’avviso di accertamento in quanto motivato nonostante tal questione non fosse più oggetto del thema decidendum stante il passaggio in giudicato del capo corrispondente della sentenza di primo grado;
detti motivi invero si pongono al limite dell’ammissibilità, in quanto sdrucciolevoli con riferimento al canone della c.d. “autosufficienza” dei motivi di ricorso; infatti nelle pagine del ricorso per cassazione dedicate alla trascrizione dell’atto di appello dell’Ufficio (da n. 8 a n. 10) parte ricorrente trascrive ma non completamente l’atto di gravame, il cui periodare è frequentemente interrotto da puntini di sospensione; in tal modo detta trascrizione risulta di dubbia completezza quanto al contenuto e rende incerta per questa Corte la completa ed esaustiva percezione dei motivi di appello effettivamente proposti;
in ogni caso, anche procedendo all’esame delle censure, sia il primo sia il secondo motivo non sono fondati; dalla sentenza impugnata si evince come la CTR abbia invero esaminato e trattato la questione relativa al difetto di motivazione dell’atto impugnato con ciò fornendo la prova della sua proposizione in appello, conseguentemente può escludersi la formazione di qualsiasi giudicato interno;
in ogni caso la CTP fa riferimento unicamente ai costi (non oggetto di impugnativa in appello) e con riguardo alla prova della pretesa, che correttamente è stata poi riesaminata dalla CTR, profili diversi da quelli qui oggetto di discussione;
né poi può ritenersi applicabile, come sostiene insistendo sul punto in memoria la società contribuente, alcuna estensione del giudicato formatosi riguardo all’anno 2006, alla presente annualità 2005;
e ciò in quanto, in primo luogo, alla luce del diritto unionale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8855 del 04/05/2016) le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08, la certezza del diritto non può tradursi in una violazione dell’effettività del diritto Euro-unitario;
– e in ogni caso, poiché trattasi di operazioni inesistenti, ogni operazione commerciale va valutata in modo autonomo e indipendente: la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente” (Cass. 6953/2015). Peraltro nel processo tributario, il vincolo oggettivo derivante dal giudicato, in relazione alle imposte periodiche, deve essere riconosciuto nei casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto, salvo che, in materia di IVA, ciò comporti l’estensione ad altri periodi di imposta di un giudicato in contrasto con la disciplina comunitaria, avente carattere imperativo, compromettendone l’effettività” (Cass.9710/2018). Nella specie, l’accertamento attiene a differenti operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere in diversi anni di imposta, sicché la sentenza non può assumere nessuna efficacia di giudicato nel presente giudizio (Cass. n. 12691/2018);
– il terzo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 per avere la CTR erroneamente ritenuto legittimo, perché motivato, l’impugnato avviso di accertamento, nonostante allo stesso non fosse stato allegato il PVC in esso richiamato, sconosciuto alla società ricorrente in quanto redatto nei confronti di un altro soggetto;
il motivo è infondato;
infatti, dalla lettura della sentenza impugnata si evince che la CTR ha ritenuto l’atto impugnato, con accertamento in fatto non più suscettibile di censura in questa sede, “adeguatamente motivato, in quanto consente di verificare l’iter logico-giuridico seguito dall’ufficio, nella determinazione del reddito e di conoscere i presupposti di fatto e di diritto su cui poggia la pretesa fiscale, garantendo il diritto di difesa, dalle argomentazioni proposte della contribuente, emerge, inconfutabilmente, che la finalità è stata pienamente raggiunta” (pag. 6 primo periodo);
il quarto motivo di ricorso si incentra sulla nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1 per avere la CTR mancato di censurare l’operato dell’Ufficio per non avere lo stesso assolto all’onere probatorio su di esso incombente di dar prova che la CAR SERVICE avesse concluso le operazioni contestate come “soggettivamente” inesistenti, pure essendo consapevole o avendo potuto conoscere, con l’ordinaria diligenza, che le stesse si inserivano in un meccanismo fraudolento posto in essere dalla società cedente AMK s.r.l.;
il motivo è infondato;
la CTR infatti ha ritenuto che siano stati accertati nella loro esistenza “elementi rilevanti dai quali poter desumere ed affermare il diretto coinvolgimento della contribuente nelle presunte false fatturazioni, in quanto con la normale diligenza avrebbe potuto conoscere che il fornitore la società ABK srl era soggettivamente inesistente come evidenziato…” (pag. 7 terzultimo periodo); a fronte di tali elementi la società contribuente poteva resistere “solo attraverso elementi probatori che nella specie difettano” (pagg. 8-9 ultima e prima riga rispettivamente);
con tali affermazioni, il giudice dell’appello si è adeguato alla giurisprudenza costante e condivisibile di questa Corte Suprema secondo la quale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020) in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi;
il quinto motivo deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 per avere il giudice del gravame non aver manifestato alcuna ratio decidendi in merito alla valutazione delle plurime prove offerte dalla società che dimostravano non solo l’effettuazione reale delle operazioni con la SBK s.r.l. ma anche che le modalità di realizzazione delle stesse non avrebbero consentito, alla medesima, di conoscere la fittizietà del soggetto interposto, anche con l’impiego della normale diligenza;
il motivo è inammissibile;
esso costituisce infatti censura motivazionale; poiché la sentenza oggetto di gravame risulta depositata in data successiva all’11 settembre 2012 trova qui applicazione quanto ai motivi di ricorso e ai vizi deducibili per cassazione, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto “Decreto Sviluppo”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11-08-2012); tal disposizione, per l’appunto applicabile alle sentenze pubblicata a partire dall’11 settembre 2012, consente di adire la Suprema Corte per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
conseguentemente, poiché formulate in concreto con riferimento al previgente testo del n. 5 di cui sopra, tutte le censure di cui ai sopradetti motivi aventi per oggetto in sostanza il difetto di motivazione non sono consentite e devono esser dichiarate inammissibili; è costante l’orientamento di questa Corte nel ritenere (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;
in altri passi, poi, i medesimi motivi risultano comunque al di sotto della soglia dell’ammissibilità per una ulteriore ragione: le deduzioni ivi proposte nel concreto loro articolarsi ed esprimersi (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018) hanno ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie ed attengono quindi comunque, al più, alla sufficienza della motivazione; e in ogni caso risultano comunque inammissibili in quanto risulta qui applicabile l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012;
il sesto motivo censura la pronuncia impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non avendo il giudice dell’appello preso in esame la circostanza relativa al non avere l’Ufficio svolto alcuna verifica contabile nei confronti della CAR SERVICE s.r.l. onde riscontrare la partecipazione della stessa dalla frode contestata;
– il motivo è inammissibile, poiché del tutto irrelato con la ratio decidendi;
– trattandosi infatti di operazioni soggettivamente inesistenti, la verifica contabile nei confronti di CAR SERVICE s.r.l. nulla avrebbe potuto chiarire sia quanto alla esistenza o meno del soggetto interposto ABK s.r.l., sia quanto alla consapevolezza in capo al legale rappresentante di CAR SERVICE s.r.l. in ordine alla partecipazione alla frode, unici elementi centrali ed essenziali dell’indagine volta a chiarire la legittimità o meno delle operazioni in parola giustamente presi in esame dalla CTR ai fini del decidere;
– e comunque, l’articolazione del motivo risulta in concreto così formata da qualificarlo sul punto come censura di merito, volta a sollecitare la Corte a ricostruzione alternativa delle risultanze probatorie in atti e come tale in ogni caso inammissibile;
– per tali ragioni, il ricorso principale deve esser rigettato;
– venendo all’esame del ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, qualificato come incidentale, il solo motivo ivi dedotto censura la pronuncia gravata per violazione dell’art. 112 c.p.c. e in subordine per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis come modificata dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1 convertito nella L. n. 22 del 2012 e dell’art. 109 TUIR in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 o in subordine n. 3 per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla questione sollevata dall’Ufficio per cui non potevano esser dedotti i costi corrispondenti alla “commissione” versata all’interposto fittizio per l’emissione delle fatture;
– il motivo è inammissibile;
– invero, la questione ridetta, per quanto posta in appello, non risulta esser stata introdotta come ragione giustificatrice della pretesa tributaria in sede di avviso di accertamento;
– e come è noto, questa Corte ritiene con giurisprudenza del tutto costante che il Collegio condivide e alla quale intende pertanto dare convinta adesione e garantire di conseguenza continuità (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 5160 del 26/02/2020; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12467 del 10/05/2019; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9810 del 07/05/2014) che in tema di contenzioso tributario, il divieto di domande nuove previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, trova applicazione anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, alla quale non è consentito, innanzi al giudice d’appello, mutare i termini della contestazione, deducendo motivi diversi, sotto il profilo del fondamento giustificativo, da quelli contenuti nell’atto impositivo;
– pertanto, anche il ricorso incidentale è respinto;
– le spese di giudizio sono compensate.
PQM
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di Legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022
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