LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32112-2020 proposto da:
P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO LONGARINI;
– ricorrente –
contro
T.E., S.F., M.G., SC.RO. in proprio e nella qualità di erede di SC.BE., N.U., TE.DA., R.B.E., SC.DA. in proprio e nella qualità di erede di SC.BE., RU.IV., MO.EM., C.R. nella qualità di erede di C.A., UNIONE DEL COMMERCIO DEL TURISMO E DEI SERVIZI DELLA PROVINCIA DI TERNI in persona del legale rappresentante pro tempore, C.F. nella qualità di erede di C.A., V.C., PA.MA.RO., NO.GI., B.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PIETROPAOLI, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA TERESA LAVARI;
– controricorrenti –
contro
RU.IV., V.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PIETROPAOLI, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA TERESA LAVARI;
– controricorrenti –
contro
A.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA ROMANA GRAZIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato AMEDEO CENTRONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 95/2020 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 22/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ELENA BOGHETICH.
RILEVATO
Che:
1. Con sentenza n. 95 depositata il 22.6.2020, la Corte d’appello di Perugia, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da P.L. nei confronti della Confcommercio di Terni nonché di B.M., C.F. e C.R. (quali eredi di C.A.), D.F., I.L., Ma.Ma., M.G., Mo.Em., N.U., No.Gi., Pa.Ma.Ro., R.B.E., R.B.M., Ru.Iv., Sc.Da. (in proprio e quale erede di Sc.Be.), Sc.Ro. (quale erede di Sc.Be.), S.F., Te.Da., T.E., V.C., A.E., per accertamento del superiore inquadramento dirigenziale di cui al CCNL dirigenti aziende del Terziario e pagamento delle differenze retributive, per il periodo 1988 – 2011, e ha parzialmente accolto la domanda proposta in via riconvenzionale di condanna del P. al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.
2. La Corte territoriale, per quel che interessa, ha rilevato che il ricorso introduttivo del giudizio conteneva una “confusa e caotica” elencazione delle attività svolte dal P. ed era privo della descrizione della declaratoria contrattuale dell’inquadramento posseduto dal lavoratore (Quadro), con conseguente impossibilità di effettuare la sussunzione dei compiti espletati dal lavoratore all’uno (il livello posseduto, Quadro) o all’altro livello (quello preteso, Dirigente). La Corte di appello ha, inoltre, sottolineato che: la figura di “direttore” formalmente assegnata al lavoratore (secondo lo Statuto dell’ente, art. 23) mancava dei “tratti qualificanti la qualifica di dirigente previsti dal CCNL, non risultando affatto (né essendo stato offerto di provare) che il P. avesse l’autonomia e la discrezionalità proprie del profilo dirigenziale. Ne’ le competenze espressamente attribuite al direttore dallo Statuto (organizzazione degli uffici, conservazione dei documenti e disciplina del personale) appaiono rientrare nelle funzioni aziendali il cui espletamento presupponga in capo al lavoratore il possesso di un “elevato grado di professionalità”; dalla lettura dello Statuto emergeva un ruolo del “direttore” meramente consultivo rispetto agli organi muniti di potere decisionale (cioè il Presidente, la Giunta e il Consiglio) nonché il compito di segretario nell’ambito delle riunioni degli stessi organi; i capitoli di prova testimoniale dedotti nel ricorso introduttivo del giudizio erano assolutamente generici e imprecisi, e dunque inammissibili (in quanto si riferivano a compiti estranei alle mansioni ricoperte, di cui non si precisava l’arco temporale nonché “privi di riferimenti concreti ai caratteri dell’autonomia, della discrezionalità e del potere di iniziativa e d’imprimere direttive”), e tali carenze non potevano essere supplite dal potere officioso del giudice.
3. Avverso tale statuizione P.L. ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi di censura, illustrato da memoria; gli originari convenuti hanno resistito con tre distinti controricorsi.
4. Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
che:
1. con i due motivi di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 414,421,437 c.p.c., dell’art. 111Cost., dell’art. 6Cedu, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo, la Corte territoriale, errato nell’omissione dell’esercizio dei poteri di ufficio allo scopo di ricercare la verità materiale, posto che nel ricorso introduttivo del giudizio (trascritto per ampi stralci) erano stati indicati i compiti espletati dal P. e, pertanto, non si trattava di ricorso nullo, essendo stati ben evidenziati petitum e causa petendi, né può ritenersi che il procedimento c.d. trifasico sia requisito indefettibile del ricorso introduttivo del giudizio, caratterizzando, semmai, il ragionamento decisorio. La Corte territoriale doveva, dunque, istruire il processo per accertare il fatto descritto nel ricorso e, se riteneva che i mezzi istruttori articolati non fossero completi, doveva attivare i poteri istruttori d’ufficio, anche considerate le prove documentali che dimostravano, quantomeno dal 2005, l’incarico formale di “direttore” assegnato dalla Confcommercio.
2. Il ricorso è manifestamente infondato.
3. Preliminarmente va condivisa l’affermazione del ricorrente che ritiene di escludere profili di nullità del ricorso introduttivo del giudizio, posto che la sentenza impugnata (pur se nell’ambito di alcune argomentazioni richiama la “nullità” del ricorso) ha confermato la pronuncia del giudice di primo grado, che non ha adottato una pronuncia di rito (nullità del ricorso) bensì ha respinto la domanda nel merito (pag. 3 della sentenza impugnata: “il Tribunale di Terni, in persona del giudice del lavoro, rigettava il ricorso principale”).
3.1. La Corte territoriale, dunque, al pari del giudice di primo grado, ha escluso che il ricorso presentasse, ex art. 164 c.p.c., la totale omissione o la assoluta incertezza del “petitum” (inteso sotto il profilo formale del provvedimento giurisdizionale richiesto, e sotto quello sostanziale di bene della vita di cui si domanda il riconoscimento) o la carenza dell’esposizione della causa petendi, ritenendo (secondo una valutazione di fatto riservata al giudice di merito, e non censurabile in sede di legittimità) che l’esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, seppur consentiva di individuare nel suo nucleo essenziale petitum e causa petendi, non permetteva di ritenere fondata la domanda.
4. In ordine al mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c. (preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova), non è censurabile il mancato ricorso ai suddetti poteri con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (cfr. Cass. n. 6023 del 2009; Cass. n. 12033 del 2021). Sul punto, la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso i capi di prova testimoniale articolati in ricorso nonché il verbale di udienza ove è stata fatta istanza di esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.
4.1. In ogni caso, gli indicati poteri di ufficio non possono essere dilatati fino a richiedere che il giudice supplisca in ogni caso alle carenze allegatorie e probatorie delle parti, in assenza di una pista probatoria rilevabile dal materiale processuale acquisito agli atti di causa. Al riguardo deve richiamarsi l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti nel rito del lavoro dall’art. 421 c.p.c.) anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di illogicità della sentenza (cfr., ex aliis, Cass. n. 4688 del 2019; Cass. n. 7220 del 2021; Cass. n. 12033 del 2021): e tale vizio nei termini suddetti non è ravvisabile nella gravata pronuncia, avendo, la Corte territoriale, esposto – con argomentazioni coerenti sotto il profilo logico-giuridico – che le carenze del ricorso introduttivo del giudizio impedivano di effettuare la comparazione tra i livelli di inquadramento (posseduto e preteso) e i capitoli articolati per la prova testimoniale erano inammissibili (per mancanza di specificazione dei riferimenti temporali e per carenza di descrizione di compiti caratterizzati dai tratti tipici di autonomia e responsabilità dei dirigenti), a fronte della insufficienza della dizione formale di “direttore” risultante dagli atti e assegnata al P. nonché del raffronto tra i compiti attribuiti dallo Statuto al “direttore” e i tratti peculiari richiesti dal CCNL per il riconoscimento della qualifica dirigenziale.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..
6. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. i bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 10.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge a favore di A., in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 15.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge a favore della Confcommercio di Terni e degli altri controricorrenti, da distrarsi all’avv. Maria Teresa Lavari che si dichiara antistatario nonché in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 15.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge a favore di Ru.Iv. e V.C., da distrarsi all’avv. Maria Teresa Lavari che si dichiara antistatario.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022
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