LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18944-2020 proposto da:
INTESA SANPAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato UGO SORRENTINO;
– ricorrente –
contro
D.J., C.A., quali ex soci della sciolta società
Italformaggi Srl, domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE PIZZUTI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 749/2020 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 25/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’01 /12/2021 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI.
RITENUTO
Che:
La società Italformaggi SRL propose, con atto di citazione notificato nel 2005, un giudizio nei confronti del Banco di Napoli- San Paolo, filiale di ***** inerente al rapporto ancora in essere – di apertura di credito con affidamento, mediante scopertura sul conto corrente n. *****, assumendo di essere creditrice della banca, perché la stessa in assenza di contratti scritti e senza comunicare le commissioni applicate – le aveva addebitato somme a titolo di interessi passivi, capitalizzati trimestralmente, spese e commissioni di massimo scoperto illegittime, in quanto scaturenti da tassi usurai e perché, in tal modo, le aveva arrecato pregiudizio, mettendola in condizione di non operare.
Il primo grado di giudizio, nel quale la convenuta banca aveva, tra l’altro, eccepito la prescrizione del diritto azionato decorrente dai singoli addebiti, si concluse con il rigetto della domanda.
L’atto di appello venne proposto da C.A. e D.I., ex soci della Italformaggi SRL, società cancellata dal Registro delle Imprese nel 2007.
La Corte di appello di Salerno, respinta l’eccezione di intrasmissibilità dei crediti della società ai soci per estinzione della prima, ha accolto in parte l’appello, ritendo che la banca non avesse assolto gli oneri probatori in ordine alla ricorrenza della prescrizione eccepita.
Intesa Sanpaolo SPA, già Banco di Napoli SPA, propone ricorso per cassazione con quattro mezzi, seguito da memoria. C. e D. replicano con controricorso e memoria.
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per irriducibile contraddittorietà o illogicità manifesta della motivazione, laddove è stata respinta l’eccezione di intrasmissibilità dei crediti della società per estinzione della prima.
Il motivo è inammissibile.
“La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass., Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014) e, quindi, quanto al contenuto della sentenza, l’ipotesi di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 ed all’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819 del 14/02/2020), oppure si palesi il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze (Cass. n. 16502 del 05/07/2017).
Nel caso in esame la motivazione c’e’ e la Corte distrettuale ha accertato in fatto che non ricorreva la rinuncia tacita o implicita in conseguenza della cancellazione della società e che i soci erano successori a titolo universale della società, attraverso un percorso plausibile che lega premesse e conseguenze del ragionamento seguito e che non risulta specificamente censurato, di guisa che la doglianza non coglie nel segno.
2. Con il secondo motivo si denuncia la omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, individuato nella eccezione sollevata dalla difesa della banca in ordine alla carenza di prova documentale offerta dagli attori.
Il motivo è inammissibile perché “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.” (Cass., Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014) e la questione circa l’esame dell’eccezione proposta in merito all’assolvimento o meno degli oneri probatori da parte degli attori non costituisce un fatto storico decisivo, nei sensi prima precisati.
3. Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per irriducibile contraddittorietà o illogicità manifesta della motivazione, laddove la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di prescrizione, assumendo che era onere della banca indicare le rimesse aventi carattere solutorio, a decorrere dalle quali va computato il termine prescrizionale, e si invoca l’applicazione del principio affermato da Cass. Sez. U. n. 15895 del 13/6/2019.
Il motivo è fondato e va accolto.
Le Sezioni Unite, in proposito, hanno affermato che “In tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte.” (Cass. sez. U. n. 15895 del 13/06/2019).
La Corte salernitana ha motivato il rigetto dell’eccezione rilevando il mancato assolvimento dell’onere probatorio, a carico della banca, circa le rimesse aventi carattere solutorio, da assolvere o mediante il deposito della documentazione atta a comprovarle o mediante la richiesta esplicita, in sede di svolgimento di CTU, di espunzione delle rimesse solutorie dalla depurazione della capitalizzazione trimestrale, ove decorso il termine decennale.
Giova rammentare che, secondo Cass. Sez. U. n. 24418 del 2/12/2010, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. E questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento: non così in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere.
In base ai principi richiamati, è necessario dunque distinguere i versamenti solutori da quelli ripristinatori della provvista: giacché solo i primi possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all’art. 2033 c.c.; con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre, per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo. I versamenti ripristinatori, invece – come precisato dalle Sezioni Unite – non soddisfano il creditore ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d’indebitamento del correntista: sicché, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti: per essi, quindi, la prescrizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Il che è quanto dire che ai fini della prescrizione assumerà rilievo anche la rimessa (solutoria) con cui il correntista ripiana l’esposizione debitoria maturata in ragione del rapporto di affidamento oramai cessato.
Erra, quindi, la Corte di merito, allorquando reputa che non potesse avere ingresso nel giudizio un accertamento della decorrenza della prescrizione basata sulla distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie: e ciò in quanto era la stessa proposizione dell’eccezione di prescrizione a imporre di prendere in esame tale profilo.
Infatti, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare (Cass. Sez. U. n. 15895 del 13/6/2019; conf. Cass. n. 31927 del 06/12/2019; Cass. n. 14958 del 14/07/2020).
Da quanto sopra discende che la Corte di merito avrebbe dovuto verificare il prodursi o meno della prescrizione avendo riguardo alla data in cui hanno avuto luogo le singole rimesse solutorie, anche avvalendosi del CTU, senza che fosse necessaria la formulazione di alcuna altra ulteriore richiesta da parte della banca.
4. Con il quarto motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e si sostiene che “l’appellante muove dall’erroneo presupposto della mancata pattuizione delle condizioni economiche contrattuali” (fol. 20 del ric.), che, invece, a dire del ricorrente sarebbe emersa dalla documentazione prodotta, come affermato dal giudice di prime cure, la cui decisione avrebbe dovuto essere confermata.
Il motivo è inammissibile perché privo di specificità, venendo meno, a cagione dell’oggettiva genericità delle contestazioni proposte, al comando in ragione del quale, costituendo il giudizio di cassazione un giudizio a critica vincolata da veicolarsi tassativamente attraverso uno dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., l’illustrazione del motivo impone che in esso trovino espressione le ragioni del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l’adozione (Cass. n. 4905 del 24/2/2020; Cass. n. 13066 del 5/6/2007).
Invero, nel motivo le critiche sono rivolte ai motivi di appello e viene valorizzata la presunta esattezza della decisione di primo grado, senza che – nonostante il pur ampio excursus giurisprudenziale – sia in alcun modo esaminata la decisione impugnata.
5. In conclusione, va accolto il terzo motivo del ricorso, inammissibili gli altri; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione per il riesame e per la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
– Accoglie il terzo motivo del ricorso, inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022