Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1289 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BELLÈ Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18947-2020 proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIAL,E – rappresentato e difeso dagli avv.ti PAOLA MASSAFRA e ANGELO GUADAGNINO, ed elettivamente domiciliato in Roma, via C. Beccaria 29;

– ricorrente –

contro

S.A.M.G. e P.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 413/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 4/11/2019, NRG 446/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non o partecipata del 26/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO BELLE’.

RITENUTO

che:

1. la Corte d’Appello di Lecce ha rigettato gli appelli di S.A.M.G. e P.B., dipendenti I.N.P.S., avverso le distinte sentenze del Tribunale di Taranto che avevano l’una rigettato le domande del S. di riconoscimento delle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni C1, superiori a quelle di inquadramento, dal gennaio 1999 al marzo 2010 e l’altra accolto solo parzialmente (ovverosia con riconoscimento, dall’ottobre 2002 al dicembre 2006, degli emolumenti della posizione B1 in luogo della A2 di inquadramento) analoga domanda del P., rigettandola con riferimento alla maggiore pretesa delle differenze rispetto alla posizione C1;

2. la Corte territoriale rigettava altresì l’appello proposto in via principale, con autonomo gravame, dall’I.N.P.S. avverso la pronuncia favorevole al P.;

3. la Corte d’Appello riteneva infondata l’eccezione, sollevata dall’I.N.P.S., in ordine alla nullità dell’originario ricorso introduttivo del P. e, nel merito, affermava esservi stata prova dello svolgimento, da parte del P., delle mansioni ascrivibili alla posizione B1, come riconosciuto in primo grado;

4. essa rigettava quindi l’appello dell’ente sul punto, negando tuttavia al contempo che fosse dimostrato lo svolgimento di mansioni di livello C1, infondatamente rivendicate in appello dal lavoratore, con domanda ritenuta anche inammissibile perché nuova;

5. la Corte rigettava altresì la richiesta dell’I.N.P.S. volta ad ottenere la compensazione delle spese di lite del primo grado, sia perché a suo dire irritualmente proposta, nel contesto dell’appello proposto dal P., ma senza appello incidentale, sia perché la condanna era stata giustificata dal principio della soccombenza;

6. l’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo mentre i lavoratori sono rimasti intimati;

7. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

8. l’ente ha infine depositato memoria illustrativa.

CONSIDERATO

che:

1. l’unico articolato motivo afferma la nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4), in relazione ai principi di cui all’art. 111 Cost., in una lettura integrata con l’art. 6 C.E.D.U., e si fonda sull’assunto che il rigetto dell’appello proposto dall’ente avverso la pronuncia favorevole al P. sarebbe avvenuto sulla base di motivazione apparente o del tutto omessa;

2. da un primo punto di vista, viene richiamato il motivo di appello con il quale era stata sostenuta, reiterando l’eccezione proposta in primo grado, l’indeterminatezza del petitum e la nullità del ricorso introduttivo, su cui il Tribunale non aveva pronunciato;

3. la Corte territoriale ha in realtà affermato che i fatti ed i riferimenti normativi erano stati specificamente indicati in “su /ciente adempimento degli oneri imposti dall’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4”, ove il richiamo al n. 3 ed all’oggetto della domanda riguarda evidentemente anche il petitum, che non ha collocazione autonoma in quella norma, senza contare che sfugge, rispetto ad una domanda che la sentenza e lo stesso ricorso per cassazione, mancando appunto una esplicita indicazione pecuniaria, descrivono sostanzialmente come di condanna generica e dunque non estesa al quantum, quale potesse essere il petitum se non quello, incontestato, di richiesta delle differenze retributive conseguenti all’asserito svolgimento di mansioni superiori a quelle di inquadramento, secondo un assetto per definizione tale da non necessitare di essere specificato mediante conteggi;

4. ciò assorbe ogni questione sul fatto che il Tribunale avesse o non avesse motivato sul punto in quanto, non trattandosi di ipotesi in cui la eventuale invalidità avrebbe comportato la rimessione in primo grado ex art. 354 c.p.c., la decisione di appello si sostituisce ed integra quanto in caso non argomentato nel primo grado;

5. rispetto al merito, il motivo sostiene che la motivazione sviluppata attraverso il mero rinvio per relationem a quanto ritenuto in primo grado sarebbe del tutto apparente, non consentendo di apprezzare sia pure sinteticamente le ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione;

6. anche tale profilo è infondato, in quanto la sentenza individua, seppur sinteticamente, i profili di convincimento che hanno portato a condividere la decisione di primo grado, a tal fine richiamando le deposizioni testimoniali e la documentazione e, sotto il profilo delle mansioni superiori svolte, evidenziando la identità delle stesse rispetto a quelle degli altri dipendenti inquadrati in B1;

7. non può quindi affermarsi la mera apparenza della motivazione, anche tenuto conto che la piena fungibilità di mansioni entro l’Area, che il motivo di appello riferisce al CCNL 1998-2001, riguarda in realtà la successiva contrattazione 2006-2009, il che fa comprendere come il riferimento della sentenza impugnata alla coerenza dell’attività con il livello B1 fosse in sé sufficiente a rispondere all’obbligo motivazionale;

8. l’appello, per come trascritto nel ricorso per cassazione, conteneva altresì la censura alla sentenza di primo grado nella parte riguardante la condanna alle spese che, a dire dell’ente, stante il rigetto della domanda per quanto riguardava un inquadramento ancora superiore a quello riconosciuto e “quindi in virtù della soccombenza reciproca”, avrebbe dovuto indurre alla compensazione;

9. si deve in proposito evidenziare che, se è vero che della questione sulle spese la sentenza impugnata non parla nell’occuparsi dell’appello principale dell’I.N.P.S., di essa fa tuttavia menzione nell’affrontare il tema della corrispondente domanda proposta nell’appello introdotto dal P., affermando l’inammissibilità per mancanza di appello incidentale, ma anche l’infondatezza, per essere stata la pronuncia giustificata dal principio della soccombenza;

10. è del resto evidente che l’argomentazione su quest’ultimo punto non può non riguardare anche l’analoga questione sollecitata, nel processo riunito, con l’appello principale, sicché l’assunto in ordine all’assenza di motivazione o di una sua mera apparenza è infondato;

11. nulla sulle spese stante il fatto che i lavoratori sono rimati intimati.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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