LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BELL' Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20079-2020 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, – rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso la medesima in Roma, via dei Portoghesi 12, elettivamente domiciliato;
– ricorrente –
contro
P.M., – rappresentata e difesa dagli avv.ti GIOVANNI FILOSA e MARIO DELLA PORTA, ed elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle Milizie 9, presso lo studio dell’avv. STEFANO D’ACUNTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 642/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 15/11/2019, NRG 45/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 26/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO BELLE’.
RITENUTO
che:
1. La Corte d’Appello di Salerno, decidendo in sede di rinvio in relazione al quale le era stato demandato da questa S.C. di verificare se l’organo del Ministero che aveva proceduto per il licenziamento disciplinare nei confronti di P.M., D.S.G.A. presso *****, fosse effettivamente competente, ha preso atto che il decreto di irrogazione della sanzione proveniva dal Dirigente dell’Ufficio Scolastico di ***** e, pur implicitamente riconoscendo che la manifestazione di volontà potrebbe in astratto provenire anche solo da chi fosse preposto all’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (di seguito, UPD), ha ritenuto che però nel caso di specie anche “già la formazione di volontà” non fosse riconducibile all’organo collegiale, ma al solo Dirigente, sicché il licenziamento era da ritenere illegittimo;
2. il Ministero ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui la P. ha resistito depositando controricorso;
3. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
4. il Ministero ha infine depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO
che:
1. il primo motivo di ricorso afferma la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 1, e art. 55-bis, commi 2 e 4, (art. 360 c.p.c., n. 3), ed assume che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che l’atto di licenziamento, per quanto sottoscritto dal solo Dirigente dell’UPD, non fosse riferibile all’intero UPD;
2. il secondo motivo, dichiaratamente subordinato al primo, afferma invece la nullità della sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione e violazione dell’art. 112 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 4), e con esso si rileva che la Corte territoriale aveva ritenuto l’illegittimità della sanzione sul presupposto che la “contestazione” fosse stata formulata da organo incompetente, sebbene dalla lettura integrale della sentenza impugnata emergesse senza dubbio che tale termine fosse stato utilizzato per indicare il decreto con cui il Dirigente aveva irrogato la sanzione del licenziamento, sicché, nell’ipotesi, che lo stesso motivo afferma come “non creduta”, in cui si fosse ritenuto che la decisione avesse avuto riguardo alla contestazione, si sarebbe dovuta rilevare la nullità della sentenza per avere essa pronunciato senza alcuna corrispondente domanda sul punto;
3. i due motivi possono esser esaminati congiuntamente, stante la loro connessione;
4. è evidente come dalla sentenza rescindente di questa S.C. derivi il riconoscimento della competenza rispetto alla sanzione disciplinare impugnata in capo all’UPD ed il dipendere della validità di essa dal fatto che appunto sia stato l’UPD a provvedere, non avendo altrimenti senso la cassazione della precedente pronuncia, se avesse potuto ritenersi ininfluente il fatto che a provvedere fosse stato il solo Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale;
5. ciò posto, è intanto evidente l’inconferenza del secondo motivo;
6. esso è formulato affermando che, se la Corte territoriale avesse deciso sull’invalidità della contestazione disciplinare, avrebbe violato la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per essersi in causa dibattuto sulla legittimità del (successivo) licenziamento;
7. purtuttavia il motivo stesso afferma che la sentenza andrebbe intesa nel senso che essa avrebbe impiegato il termine contestazione, facendo però riferimento in tal modo al licenziamento;
8. quest’ultima affermazione va condivisa, ma da ciò deriva l’inutilità del motivo, perché, risultando (può dirsi addirittura pacifico) che la Corte territoriale abbia deciso sul licenziamento, l’indicazione di esso, in un passaggio, come “contestazione”, costituisce una mera imprecisione, inidonea ad inficiare la pronuncia;
9. quanto alla riferibilità dell’atto di licenziamento all’UPD, la Corte territoriale ha affermato che non solo la “manifestazione” della volontà attraverso il decreto di licenziamento proveniva dal Dirigente e non dall’UPD, ma che “già la formazione” della volontà appariva non riconducibile all’organo collegiale, circostanza desunta dalla mancanza di intestazione dell’atto all’UPD stesso;
10. quello così enucleato è giudizio di fatto, in merito al significato ed alla portata da attribuire all’atto contenente il licenziamento;
11. come precisato da questa S.0 in caso analogo (v. Euro 3467/2019, seppure con esiti finali diversi) tale interpretazione, per essere efficacemente contestata in sede di legittimità, deve essere censurata attraverso il richiamo ai canoni ermeneutici (art. 1362 c.c. ss.), come non è avvenuto nel caso di specie;
12. non vi è luogo, dunque, né a discorrere di errori di diritto di altra natura, né ovviamente può avere rilievo, in mancanza della veicolazione secondo i canoni di cui si è detto, l’insistenza del Ministero su una diversa interpretazione di quel decreto, in quanto in tal modo non si propone una critica di legittimità, ma tout court una pura e semplice rilettura del merito, inammissibile in questa sede;
13. è parimenti irrilevante il richiamo del Ministero, in memoria, a C. n. 20417/2019, ove si ritenne, tra l’altro in un caso in cui l’UPD era organo monocratico, che la mancata spendita della veste di preposto all’UPD da parte del dirigente firmatario del provvedimento non inficiasse la validità della sanzione, in quanto qui il punto non attiene alla riferibilità all’UPD dell’atto, in quanto firmato dal dirigente senza spendere la sua qualità, quanto al fatto che la Corte di merito, con specifico accertamento che resiste all’impugnazione per quanto detto in precedenza, ha ritenuto che già la formazione della volontà sanzionatoria e non solo la sua manifestazione non derivassero dall’organo (in questo caso, collegiale) competente;
14. il ricorso va dunque dichiarato complessivamente inammissibile, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità;
15. quanto alla istanza di condanna per responsabilità aggravata, premesso che non ricorrono gli specifici presupposti di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2, si ritiene che neppure si possa affermare un’abusività della condotta processuale che giustificherebbero la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3;
16. non ogni pronuncia di inammissibilità del ricorso comporta di per sé abuso dello strumento processuale e tale requisito va in particolare escluso allorquando, come è nel caso di specie, le questioni sottese al motivo poi dichiarato inammissibile manifestano in sé elementi di complessità che non consentono di sanzionare ulteriormente la condotta impugnatoria.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore dei procuratori antistatari.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022