LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5142/2013 di R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– ricorrente –
contro
POLYCHEM SRL, elettivamente domiciliata in Roma Viale Gorizia 14 presso lo studio associato Sinagra Sabatini Sanci, rappresentata e difesa dall’avvocato Sandro Pincelli.
– controricorrente, ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. ABRUZZO n. 03/05/12, depositata il 14/02/2012.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 gennaio 2022 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Locatelli Giuseppe che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso principale e che sia dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
1. Polychem S.r.l. impugnò l’avviso di accertamento, ai fini Irpeg, Irap, Iva, per il 2003, che disconosceva costi indeducibili correlati all’acquisto di merci (per Euro 20.011.239) provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata in assenza delle esimenti, e recuperava l’Iva sulla merce importata dai medesimi Stati esteri ed estratta dal deposito Iva direttamente dalla società contribuente in totale evasione dell’imposta sul valore aggiunto.
2. La Commissione tributaria provinciale di Teramo, con sentenza n. 204/01/2009, in parziale accoglimento del ricorso, ha annullato l’accertamento in punto di ripresa connessa alla violazione degli obblighi Iva, e lo ha confermato nel resto.
3. La Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) dell’Abruzzo, in parziale accoglimento dell’appello principale della società, ha annullato la ripresa per indeducibilità dei costi; in parziale accoglimento dell’appello incidentale dell’ufficio, ha rideterminato in Euro 1.077.126,00 l’Iva evasa per il 2003; conclusivamente, ha condannato la società al pagamento delle spese del giudizio di appello, liquidandole in Euro 3.000,00.
4. In particolare, la C.T.R.: (a) quanto all’appello della società, ha ritenuto documentalmente provata, ai fini dell’imposizione diretta, la reale attività commerciale svolta dai fornitori esteri, la loro effettiva esistenza e la prevalenza dell’attività svolta; (b) quanto all’appello incidentale dell’ufficio finanziario, dato atto che il primo giudice aveva negato la ripresa dell’Iva perché la merce era stata estratta dal deposito Iva dal “consumatore finale”, ha invece ritenuto che una parte di essa (si tratta di 88 prelievi di merce per Euro 5.385.632) fosse stata ritirata direttamente dalla contribuente che, pertanto, su tali prodotti era tenuta a versare l’Iva, che invece non faceva carico alla medesima società per la parte residua dei beni prelavati dal deposito Iva direttamente dai cessionari.
5. L’Agenzia delle entrate ricorre con quattro motivi, illustrati con una memoria sensi dell’art. 378 c.p.c., avverso la decisione d’appello; la contribuente resiste con controricorso nel quale svolge ricorso incidentale con due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale (“1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, citato”), si deduce il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata, circa la ravvisata deducibilità dei costi sostenuti in Paesi a fiscalità privilegiata (ammontanti a Euro 20.011.239,00), in difetto di spiegazione, da parte della C.T.R., delle ragioni per le quali era stato ritenuto che le imprese cedenti esercitassero attività commerciale “prevalente”, con ciò superandosi le obiezioni dell’ufficio finanziario, che aveva lamentato la mancata produzione, da parte della contribuente, della documentazione di riscontro (a cominciare dai bilanci di una società operante in Paese black list) ed anche le ambiguità della denominazione della compagnia estera.
2. Con il secondo motivo (“2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., nonché dell’art. 110 t.u.i.r., comma 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1.”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha annullato in toto la ripresa dei costi indeducibili sostenuti nei confronti di soggetti ubicati in Paesi a fiscalità privilegiata, compreso quindi quello d’importo pari a Euro 21.788,00, la cui indeducibilità era dovuta alla mancata indicazione separata nella dichiarazione annuale, sebbene la contribuente, rispetto a tale specifica ripresa, non avesse svolto alcun motivo d’appello.
3. Con il terzo motivo (“3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 110 t.u.i.r., commi 10 e 11, ed omessa ed insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1.”), l’Agenzia deduce l’errore di diritto della sentenza impugnata, nella parte che riconosce la deducibilità dei costi sostenuti con imprese con sede legale in Paesi black list, senza avere verificato se tali imprese svolgessero o meno attività economica avente il carattere della prevalenza o se comunque operasse la seconda esimente consentita dalla legge in ragione della prova, offerta dalla contribuente, circa la convenienza economica dell’operazione compiuta con il fornitore ubicato in un “paradiso fiscale”.
4. Con il quarto motivo (“4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e del D.L. 30 agosto 1993, n. 33, art. 50 bis, conv. nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, introdotto dalla L. n. 28 del 1997, art. 1, comma 2, in recepimento della Direttiva CE n. 95/7/CE, ed omessa motivazione su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1.”), con riferimento al rilievo di omessa applicazione dell’Iva sulle cessioni di beni estratti dal deposito Iva gestito dalla Metodo Sistem Integration S.r.l., l’Agenzia deduce che la C.T.R. ha ritenuto che le risultanze del registro del gestore del deposito Iva facessero piena prova del fatto che, di volta in volta, l’estrazione dei beni era stata effettuata dal terzo cessionario e non da Polychem S.r.l., senza considerare che quel registro è una scrittura privata, in quanto tale priva di fede privilegiata, ragion per cui il giudice d’appello non avrebbe potuto esimersi dal valutare gli elementi di prova (a cominciare dalle fatture accompagnatorie emesse da Polychem S.r.l.) che, al contrario, dimostravano che la contribuente era responsabile dell’estrazione dei beni dal deposito in totale evasione dell’Iva.
5. Con il primo motivo di ricorso incidentale (“1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, convertito in L. n. 427 del 1993, introdotto dalla L. n. 28 del 1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Insufficiente e/o omessa motivazione su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1.”), la contribuente censura la sentenza impugnata, nella parte che ha riformato il capo della decisione di primo grado che aveva annullato il rilievo dell’omesso adempimento dell’obbligo Iva, sul presupposto che la stessa Polychem S.r.l. avesse effettuato n. 88 prelievi di merce (per Euro 5.385.632,00) dal deposito Iva, come attestato dal registro dei movimenti dei beni del deposito, quando in realtà il registro del gestore non asseverava affatto tale circostanza. Sotto altro profilo, si fa valere il vizio di motivazione della sentenza impugnata che non si è pronunciata in merito alla condotta della contribuente che, in occasione dell’effettiva estrazione di merce dal deposito Iva, aveva correttamente provveduto ad emettere autofattura e a versare la relativa Iva. Infine, la contribuente si duole della decisione d’appello che, testualmente (cfr. pag. 38 del controricorso), “ha riformato d’ufficio il capo (del)la sentenza di I grado relativo al pagamento Iva, pur in assenza di specifica domanda da parte dell’Ufficio, a nulla rilevando che il suo atto di costituzione sia denominato “Controdeduzioni e appello incidentale””.
6. Con il secondo motivo (“2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62.”), si censura la sentenza impugnata che, benché la contribuente fosse risultata prevalentemente vittoriosa, in ragione dell’annullamento del rilievo (a) e di parte del rilievo (b) dell’avviso di accertamento, ha condannato la società al pagamento delle spese del grado.
7. Il primo motivo di ricorso principale è fondato e il terzo è assorbito.
7.1. Per le Sezioni unite della Corte la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159 (p. 7.2.), che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 (p. 2.4.); Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9557 (p. 3.5.)). Ancor più di recente, Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) ha avuto modo di ribadire che “nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.”.
7.2. In linea con la pacifica giurisprudenza sezionale (nei medesimi termini, ex plurimis, Cass. 13/07/2021, n. 19870, in motivazione), è il caso di ricordare che l’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati black list costituiva una presunzione legale relativa, atteso che il successivo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11, prevedeva due esimenti, tra loro alternative (nel senso che era sufficiente la dimostrazione di una delle due), stabilendo, in particolare, che le disposizioni del comma 10 non si applicavano qualora le imprese residenti avessero fornito la prova che “le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”.
Ebbene, nella specie, la sentenza impugnata è viziata da motivazione apparente, secondo l’accezione sopra illustrata, perché, senza minimamente confrontarsi con le risultanze del processo e gli elementi probatori offerti dalle parti, aderisce in maniera acritica e pedissequa alla tesi della contribuente circa la sussistenza delle cennate esimenti.
8. Il secondo motivo è fondato.
La C.T.R. è incorsa nel dedotto vizio di ultrapetizione perché, senza che la società avesse interposto appello avverso il relativo capo della pronuncia di primo grado, ha annullato del tutto la ripresa concernente i componenti negativi di reddito derivanti da acquisti nei confronti di imprese di Stati a fiscalità previlegiata, anche in relazione a quella (esigua) parte dei costi (per un ammontare di Euro 21.788,00) la cui ripresa a tassazione era dovuta alla loro omessa separata indicazione nella dichiarazione dei redditi della contribuente.
9. Il quarto motivo è infondato.
9.1. L’aporìa giuridica (desumibile dalla rubrica del mezzo d’impugnazione) della prospettazione di un unico vizio sotto gli eterogenei parametri dell’errore di diritto e del vizio di motivazione della pronuncia d’appello, recati rispettivamente dall’art. 360, c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è agevolmente risolta facendo applicazione del principio di diritto per cui l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (Cass. 30/12/2015, n. 26110).
9.2. Nel caso in esame è chiaro che la critica si appunta contro la ricostruzione, operata dal giudice di merito, delle modalità dell’estrazione dal deposito Iva della merce d’importazione, la quale, in linea teorica, è profilo censurabile esclusivamente come vizio dello sviluppo argomentativo della decisione, ma certamente non assumendo a parametro la violazione di legge.
A giudizio della Corte, al contrario di quanto opina l’ufficio finanziario, la motivazione della sentenza impugnata, in relazione a questo specifico aspetto dell’accertamento fiscale, non è affatto carente laddove, apprezzati complessivamente i dati oggettivi e gli elementi di prova dedotti dalle parti, con giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, perviene alla conclusione che l’appellata non era tenuta al versamento dell’Iva per quella parte della merce estratta dal deposito Iva non direttamente dalla contribuente, ma dalle imprese cessionarie.
10. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.
Valgono al riguardo le considerazioni svolte nel p. 9, trattandosi di censura che, seppure riferita al dictum della C.T.R. che ha reputato parzialmente legittima la ripresa dell’Iva sulla merce estratta dal deposito Iva, in sostanza è strutturata in termini pressoché identici allo (speculare) quarto motivo del ricorso principale dell’Agenzia. Per completezza, è priva di fondamento perché contraddetta dal contenuto della sentenza impugnata (che, a pag. 3, menziona espressamente l’appello incidentale dell’Agenzia sul relativo capo della decisione di prime cure) la doglianza della contribuente secondo cui la C.T.R. avrebbe riformato in parte la decisione della Commissione provinciale in relazione alla ripresa dell’Iva benché l’ufficio finanziario non avesse interposto appello contro la relativa statuizione di primo grado.
11. Il secondo motivo è inammissibile.
La cassazione della sentenza impugnata (per effetto del parziale accoglimento del ricorso dell’Agenzia) comporta la caducazione del capo della sentenza d’appello in punto di spese. Il che determina la sopravvenuta carenza d’interesse della contribuente ad ottenere una pronuncia di legittimità sulla questione delle spese del grado di appello, quale aspetto che, per effetto del rinvio alla Commissione regionale, è nuovamente rimesso alla cognizione del giudice di merito.
12. In conclusione, accolti il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo e rigettato il quarto motivo, rigettato il ricorso incidentale della contribuente, la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale, con rinvio al giudice a quo anche per le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della contribuente, ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022