LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27799/2017 R.G. proposto da:
COMUNE DI TORINO, rappresentato e difeso dagli avv.ti MARIAMICHAELA LI VOLTI, SUSANNA TUCCARI e MASSIMO COLARIZI ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Viale Buozzi 87;
– ricorrente – controricorrente al ricorso incidentale –
contro
E.D., + ALTRI OMESSI, rappresentati e difesi dagli avv. PAOLO MARIO FIORIO e VALENTINO FIORIO ed elettivamente domiciliati in Roma, via Duilio 12, presso lo studio dell’avv. VALENTINA GRECO;
– controricorrenti – ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 686/2017 della Corte d’Appello di Torino, depositata il 1.8.2017, N. R.G. 103/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.10.2021 dal Consigliere Dott. Belle’Roberto.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 1 agosto 2017, riformando la sentenza del Tribunale della stessa sede, ha accolto la domanda proposta dai lavoratori meglio indicati in epigrafe nei confronti del Comune di Torino (in prosieguo, anche: il Comune) di accertamento del diritto a mantenere, all’esito della riassunzione alle dipendenze del medesimo, il livello retributivo goduto presso il precedente datore di lavoro, Consorzio per lo Sviluppo dell’Elettronica e dell’Automazione (in prosieguo: CSEA), riconoscendo a tal fine un importo a titolo di assegno ad personam assorbibile e condannando l’ente a pagare a ciascuno dei predetti lavoratori le conseguenti differenze retributive, oltre alla maggior somma tra rivalutazione monetaria ed interessi legali.
2. La Corte territoriale nello storico di lite esponeva che:
– i lavoratori, già dipendenti del Comune di Torino ed addetti ai Centri di formazione professionale, erano stati trasferiti dal maggio 1997 al CSEA, al quale il Comune aveva affidato l’attività di formazione professionale, giusta convenzione decennale dell’anno 1996, rinnovata nell’anno 2007;
– la convenzione del 1996, all’art. 14, prevedeva, in caso di cessazione per qualsiasi causa degli effetti della convenzione, la prosecuzione dei rapporti di lavoro con il Comune, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2112 c.c.;
– tale impegno era stato ribadito nella convenzione del 2007 (art. 5);
– nell’anno 2012 il CSEA era stato dichiarato fallito ed il Comune aveva revocato la convenzione;
– i lavoratori, avevano proposto un precedente giudizio, definito con sentenza della Corte d’Appello di Torino, passata in giudicato.
3. A fondamento della decisione, il giudice dell’appello osservava che il precedente giudicato aveva ad oggetto due domande: la prima, accolta, riguardante il diritto dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il Comune; la seconda, respinta, diretta alla affermazione della responsabilità solidale del Comune per il pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal CSEA, poi fallito, ai sensi dell’art. 2112 c.c., comma 2.
4. Le domande oggetto di causa, invece, erano diverse nel petitum e nella causa petendi; inoltre, le questioni in discussione non erano deducibili nel giudizio in cui si era formato il giudicato, non essendo all’epoca avvenuta l’assunzione da parte del Comune.
5. Gli accertamenti contenuti nella motivazione del giudicato non costituivano precedenti logici essenziali e necessari delle domande in trattazione.
6. Con la convenzione del 2007, conclusa in un momento in cui le competenze in materia di formazione professionale erano state trasferite alla Provincia, il Comune aveva assunto l’impegno a garantire la prosecuzione del rapporto di lavoro dei dipendenti già trasferiti al CSEA, ai sensi dell’art. 2112 c.c.; la pattuizione doveva essere intesa, in conformità ai canoni di cui agli artt. 1362 e 1367 c.c., nel senso di riconoscere il diritto dei lavoratori non solo alla riammissione in servizio presso il Comune, ma anche alla conservazione del trattamento economico goduto presso il CSEA.
7. A tale conclusione non poteva opporsi il richiamo al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, che riguardava il passaggio di personale tra amministrazioni pubbliche e non era applicabile analogicamente in presenza di una specifica regolamentazione contrattuale.
8. Infine, il principio di parità di trattamento economico di cui al D.Lgs n. 165 del 2001, art. 45 era garantito dalla previsione di riassorbibilità dell’assegno ad personam.
9. Quanto al dipendente E.D., la Corte d’Appello riteneva che egli avesse diritto all’assegno ad personam non a far data, come i colleghi, dal 1.1.2013, ma dal 1.5.2013 e ciò in quanto il predetto era stato dipendente del CSEA in part time verticale, senza prestare servizio dal gennaio all’aprile di ciascun anno, sicché non poteva pretendere di essere retribuito per i corrispondenti mesi dopo il passaggio, a regime invariato, presso il Comune di Torino.
10. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il Comune di Torino, articolato in sette ragioni di censura, cui i lavoratori hanno resistito con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale, affidato a due motivi, oltre ad un terzo motivo riguardante il solo E.D.. Il Comune ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
11. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo il Comune, ricorrente in via principale, ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – erronea e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., per non avere la Corte territoriale riconosciuto l’efficacia preclusiva del giudicato di cui alla sentenza n. 1316/2013, che aveva già esaminato – e risolto in senso negativo – la questione dell’applicabilità del regime di cui all’art. 2112 c.c..
2. Ha dedotto che i due giudizi tra le medesime parti fondavano sul medesimo presupposto, fattuale e normativo, dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c., sicché sul punto i fatti costitutivi delle rispettive domande erano identici; a nulla rilevava il fatto che nella causa definita dal giudicato gli stessi fossero invocati ai fini della riammisssione in servizio e della solidarietà tra condebitori e nel giudizio in trattazione per la rivendicazione delle differenze retributive.
3. Con il secondo mezzo del ricorso principale si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – erronea e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ e dell’art. 324 c.p.c., sostenendosi che la sentenza impugnata, nell’accogliere una interpretazione degli accordi degli anni 1996 e 2007 diversa da quella consacrata dal giudicato – nel quale era stata sancita l’inapplicabilità, nel suo complesso, dell’art. 2112 c.c.- si era posta in contrasto con il giudicato.
4. Con la terza critica si torna a denunciare – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – l’erronea e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., per avere la Corte territoriale arrestato la propria analisi al contenuto delle domande proposte nei due diversi giudizi, senza considerare il rilievo oggettivo del giudicato in relazione a tutte le questioni che hanno costituito presupposto necessario della decisione assunta.
5. I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto sostanzialmente sovrapponibili, sono fondati.
6. In via preliminare giova distinguere il divieto di riproporre la stessa domanda già definita con pronuncia passata in giudicato – al quale si riferisce la regola secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile – rispetto al principio secondo cui l’assetto del rapporto giuridico fissato dal giudicato ha efficacia oggettiva anche rispetto a domande nuove, nascenti dal medesimo rapporto, che però presuppongano una diversa soluzione del punto di diritto già definito in detto giudicato.
7. In relazione a detto rilievo oggettivo del giudicato, non vi è questione di identità o meno della domanda in decisione rispetto a quella definita dal giudicato, ma, piuttosto, di identità del rapporto sostanziale che due domande, pur tra loro diverse, deducono come presupposto.
8. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto nel giudicato in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo del giudicato, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. sez. III 15 maggio 2018 n. 11754 e giurisprudenza ivi citata; Cass. sez. lav., 28 novembre 2017 n. 28415; 9 dicembre 2016 n. 25269; 16 dicembre 2015, n. 25304).
9. Il rilievo di tale giudicato esterno sul “punto fondamentale comune ad entrambe le cause” prescinde dalla proposizione di una specifica domanda di parte.
10. Alla base della giurisprudenza richiamata vi è la distinzione tra:
– pregiudizialità tecnica (o tecnico-giuridica o pregiudizialità in senso stretto), che si verifica qualora vengano in considerazione due o più rapporti giuridici, uno dei quali (quello pregiudiziale) appartenga alla fattispecie dell’altro, che dipenda da esso (quello pregiudicato);
– pregiudizialità logica, che si verifica, invece, quando nell’ambito di un unico rapporto giuridico l’accertamento di un diritto richieda il previo accertamento di una situazione giuridica comune ad altri diritti nascenti dal medesimo rapporto.
11. Nel primo caso l’accertamento di un diritto presuppone l’accertamento di un altro “diritto”; ad esso si riferisce l’art. 34 c.p.c., secondo cui l’accertamento di una questione pregiudiziale non è idoneo a passare in giudicato, salvi i casi in cui una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o per apposita domanda di una delle parti.
12. Nel secondo caso, invece, vi è un “punto pregiudiziale” – ovvero un antecedente logico necessario – comune a due diverse domande relative ad uno stesso rapporto giuridico; la pronuncia resa in proposito acquista l’efficacia del giudicato, indipendentemente da una domanda di parte. Si è detto al riguardo che il giudicato copre le questioni che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedotto in causa, alle quali si riferisce la locuzione “pregiudiziale in senso logico”.
13. Nella vicenda in esame ricorre questa seconda eventualità: viene in questione l’unico rapporto giuridico tra il Comune ed i lavoratori, disciplinato prima dalla convenzione dell’anno 1996 e poi, alla sua scadenza, quella dell’anno 2007, vale a dire quella applicabile in causa.
14. Tale convenzione è stata oggetto del giudicato di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1316/2013, tra le stesse parti, che nell’esaminare la disposizione dell’art. 5 della convenzione del 2007, qui rilevante, ha affermato che il richiamo all’art. 2112 c.c. da parte della convenzione era effettuato in senso “atecnico”, a prescindere, cioè, da un effettivo ri-trasferimento al Comune dell’attività della formazione professionale ed era solo diretto a garantire i lavoratori dall’eventuale perdita del posto di lavoro e ad assicurare loro, in ogni caso di cessazione degli effetti della convenzione, il riassorbimento alle dipendenze del Comune.
15. Sulla base di questo accertamento, il giudicato ha respinto la domanda dei lavoratori diretta ad affermare la solidarietà del Comune per il pagamento delle retribuzioni maturate presso il CSEA, secondo il regime di cui all’art. 2112 c.c., comma 2.
16. In sostanza, il giudicato ha accertato che il richiamo all’art. 2112 c.c. da parte della convenzione del 2007 era effettuato al solo fine di assicurare ai lavoratori il rientro alle dipendenze del Comune, non anche allo scopo di estendere loro il regime previsto dalla stessa norma codicistica.
17. Trattandosi di un punto pregiudiziale comune ad entrambe le cause, erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che esso non fosse coperto dal giudicato.
18. Invero, una volta stabilito dal giudicato che il richiamo all’art. 2112 c.c. contenuto nella convenzione del 2007 si riferiva unicamente alla garanzia dei lavoratori ad essere riassunti dal Comune (anche in mancanza di riassorbimento dell’attività trasferita), il giudice del merito non avrebbe potuto procedere ad una nuova interpretazione della convenzione, preclusa dal giudicato.
19. Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso principale, rispettiva mente diretti:
– il quarto – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per erronea e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 1367 c.c. nonché per violazione dei limiti di impugnazione – a censurare la nuova interpretazione della convenzione enunciata dal giudice dell’appello;
– il quinto – articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 sotto il profilo della erronea e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. in relazione all’art. 2112 c.c. – a sostenere in ogni caso l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c..
– il sesto – proposto per erronea e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 – ad affermare l’applicabilità in via analogica del suddetto art. 30.
– il settimo – articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 in relazione all’art. 2112 c.c. – a contestare il computo, nelle differenze di retribuzione riconosciute dalla sentenza impugnata, delle voci legate a situazioni temporanee (retribuzioni premiali o di posizione e indennità speciali).
20. Le considerazioni sopra svolte nell’accogliere il ricorso principale implicano il rigetto del ricorso incidentale, con il quale si contesta il regime degli accessori fissato nella sentenza impugnata (primo motivo del ricorso incidentale) e la compensazione delle spese dei due gradi di merito (secondo motivo del ricorso incidentale).
21. Vi è poi il terzo motivo del ricorso incidentale, riguardante il solo E.D..
22. Egli, già dipendente di CSEA in regime di part time verticale ciclico con prestazioni, come ha affermato la Corte territoriale, da svolgere tra il maggio ed il dicembre di ogni anno, essendo stato inquadrato presso il Comune, in esito alla pronuncia giudiziale di riammissione in servizio, come dipendente full time, per il 2013, ritransitando in part time dal 1.1.2014, ha chiesto il riconoscimento delle retribuzioni, ivi compreso l’assegno ad personam, anche per il periodo dal gennaio all’aprile 2013, che la Corte territoriale ha denegato sul presupposto che anche presso il precedente datore di lavoro in quei mesi egli non lavorasse, proprio per il regime orario in essere.
23. Il motivo di ricorso, facendo leva sul fatto che nel reinquadrare il lavoratore presso di sé il Comune lo avesse fatto inizialmente a tempo pieno, ritiene che da ciò deriverebbe in suo favore il diritto al riconoscimento delle predette retribuzioni.
24. Il motivo non può essere accolto, in quanto è evidente che la sentenza inter partes passata in giudicato e da cui è derivato il diritto alla prosecuzione dei rapporti “ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2112 c.c.” non può che avere disposto tale prosecuzione secondo le modalità pregresse tra le stesse parti.
25. Pertanto, il formale inquadramento full time del E.D. per il periodo dal giugno in poi, peraltro con riconoscimento delle retribuzioni fin dal precedente mese di maggio, non può dispiegare alcun effetto utile al fine di radicare un diritto del predetto lavoratore a percepire il compenso anche per i mesi antecedenti, rispetto ai quali egli non aveva alcun titolo ad un inserimento tale da comportare l’attuazione di prestazioni di lavoro e, quindi, neppure può riconoscersi ex post un qualche diritto a percepire retribuzioni o ristori di sorta.
26. Tutto ciò posto, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito.
La domanda originaria, comune a tutti i lavoratori, era fondata esclusivamente sull’applicazione dell’art. 2112 c.c. in forza del mero richiamo ad esso contenuto nella convenzione; ma dall’interpretazione della convenzione consacrata dal giudicato di cui s’e’ detto discende il rigetto della domanda.
27. Le spese dell’intero giudizio si compensano tra le parti per la complessità della questione trattata, quale risulta dal contrasto di giurisprudenza emerso in seno alla Corte d’Appello di Torino.
28. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti in via incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
PQM
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri.
Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta le domande originarie. Compensa le spese dell’intero processo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022
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